Libia: l'Italia dovrebbe tornare all’11?

(di Tiziano Ciocchetti)
25/05/22

La situazione internazionale è monopolizzata dalla guerra in Ucraina, mentre i Paesi della UE cercano soluzioni alternative alla fornitura di gas proveniente dalla Federazione Russa. In particolar modo l’Italia, con una dipendenza quasi totale dall’estero per il proprio fabbisogno energetico, naviga a vista, in attesa di chissà quali soluzioni da parte di Bruxelles.

Ciò che è chiaro è che all’Italia serve il gas!

Nel 2020, ad esempio, la domanda nazionale di gas è stata pari a 71,3 miliardi di m³, di cui meno del 6% estratto in Italia. Il restante quantitativo è stato importato dall’estero, ovvero dalla Russia, dall’Algeria, Azerbaijan e in ultimo dalla Libia.

In questo ultimo anno di caro bollette i media nazionali hanno scarsamente evidenziato il fatto che, negli ultimi dieci anni, abbiamo importato dalla nostra ex colonia il 7,1% del fabbisogno nazionale di gas.

Secondo i dati del MiSE, nel 2019, la Libia ha esportato verso l'Italia oltre 5,7 miliardi di m³ standard di gas naturale. Significativo il fatto che, l’anno successivo (2020), le importazioni di gas dalla Libia siano calate a 4,5 miliardi di m³, con una diminuzione pari al 21,8%. Tale calo potrebbe essere stato causato dalla forte instabilità del Paese nordafricano nonché da una politica ondivaga dei governi italiani.

Il gas ci giunge attraverso il GreenStream, un gasdotto gestito da Eni e NOC (National Oil Corporation) lungo 520 km che collega la costa libica con quella italiana. La struttura trasporta gas naturale dalla Centrale di Compressione Gas di Mellitah (MGCS, Mellitah Gas Compression Station) situata a circa 80 km da Tripoli fino al Terminale di Ricevimento Gas in arrivo di Gela, in Sicilia (SRT, Sicily Receiving Terminal), attraversando il Mar Mediterraneo meridionale. Una volta arrivato a Gela, il gas viene immesso nella rete di trasporto nazionale italiana.

Il gas naturale che viene compresso e immesso nel GreenStream proviene dal giacimento offshore di Bahr Essalam e da quello di Wafa, situati rispettivamente a circa 110 km dalla costa di Tripoli e a 540 km a sudest della città. 

La capacità produttiva di Bahr Essalam sarebbe pari a 31.000 barili di condensato al giorno (28 milioni di m³). Mentre l’estrazione giornaliera di gas naturale dal sito di Wafa sarebbe pari a 13 milioni di m³.

Come i nostri lettori sanno, alla fine del 2021, si sarebbero dovute tenere in Libia libere elezioni (?). Tuttavia, lo stato attuale della situazione nel Paese nordafricano vede contrapposti due governi.

Nella capitale Tripoli, c’è l’esecutivo di Abdul Hamid Dbeibah: nominato per gestire la fase di transizione verso le elezioni per un governo democraticamente eletto.

A Tobruk, in Cirenaica, troviamo Fathi Bashagha, ex ministro degli Interni, nominato lo scorso 10 febbraio dalla Camera dei Rappresentanti libica in risposta al nuovo fallimento del governo di transizione nell’organizzazione delle elezioni. In realtà. L’accordo di cessate il fuoco del 2020 non ha mai stato rispettato realmente dalle due fazioni in lotta per il potere.

La scorsa settimana, infatti, Fathi Bashagha, Il primo ministro libico del Governo di Stabilità Nazionale della Libia (GSN), designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk, ha dovuto lasciare Tripoli a seguito di alcuni scontri armati durante il tentativo di stabilirsi all’hotel Corinthia. Fonti libiche riferiscono che il capo dell’esecutivo libico – “rivale” del Governo di Unità Nazionale (GNU) del premier e ministro della Difesa ad interim, Dbeibah – è stato “accompagnato” fuori dalla capitale dalla 444 ͣ brigata, unità formalmente sotto il controllo del dicastero della Difesa, comandata dal capitano Mahmoud Hamza, miliziano seguace dell’Islam salafita.

Gli scontri armati scoppiati durante e dopo il tentativo di insediamento di Bashagha avrebbero provocato almeno due morti fra i miliziani di Misurata.

Ora, con il mondo “distratto” dalla guerra in Ucraina si potrebbe presentare l’occasione per l’Italia di riconquistare una posizione privilegiata nello scenario libico. Ciò comporterebbe, ovviamente, la messa in campo di capacità diplomatiche/militari, comunemente chiamate Politica. Un nuovo esecutivo, sperando in una maggioranza coesa (sic!) potrebbe sostenere il premier del GSN, nonché creare una milizia con reali capacità di combattimento, e instaurarlo a Tripoli. In pratica si tratterebbe di rivisitare il progetto del 2015, dell’allora presidente del consiglio Renzi, per una forza di stabilizzazione della Libia.

Ovviamente ciò comporterebbe una reazione da parte di Ankara, attualmente l’ostacolo maggiore per i nostri interessi in Libia. Tuttavia dobbiamo pur rischiare se vogliamo uscire da una condizione di assoluta sudditanza energetica.

A tal proposito, Indro Montanelli e Mario Cervi scrivevano, ne “L’Italia del Novecento”, in merito alla guerra italo-turca che “non fu certo per un impeto di entusiasmo che Giolitti (nella foto di apertura a sx), un uomo con poca fantasia ma dai nervi d’acciaio, decise nel 1911 l’impresa di Libia, ossia la guerra alla Turchia per la conquista della quarta sponda. La decisone fu dettata da un’assoluta necessità di ordine nazionale, se non si voleva andare incontro a guai gravissimi…”.