La morte a Natale

(di Paolo Palumbo)
12/12/18

Un attentato terroristico è sempre un evento scioccante per chi lo subisce, ma un attentato di matrice islamista in un mercatino di Natale nella città di Strasburgo, capitale del parlamento europeo, è certamente un colpo mediatico di grande effetto. I terroristi oramai li conosciamo, sappiamo che la ricerca della spettacolarità è uno dei punti fondamentali del loro modus operandi. Allo stesso modo abbiamo svelate quelle che sono le reazioni della polizia con la solita caccia al killer, ovviamente già noto alla giustizia da tempo memorabile. La cosa che spaventa di più è il luogo prescelto per questo ennesimo assalto armato islamista il quale, sebbene non sia ancora pervenuta alcuna rivendicazione ufficiale, riporta alla cronaca quello che è il vero pericolo per l’occidente. Il terrorismo colpisce quando meno le lo aspetti, non ha un’agenda precisa: gli jihadisti rimangono nelle loro tane silenziosi per mesi, anche anni, per poi manifestarsi in tutta la loro spietatezza quando meno te lo aspetti. Difesa Online è tra i giornali che ha messo in evidenza il pericolo che si cela dietro questo “silenzio” non solo da parte di al-Qaeda, ma anche di altre piccole organizzazioni le quali – grazie a cellule dormienti – stanno presumibilmente riorganizzandosi, traendo ispirazione dalle macerie dello Stato Islamico o da una rinata al-Qaeda.

L’Europa di questi ultimi mesi è apparsa sempre più goffa, soffocata da un muro di problemi di natura economica, divisa tra le conseguenze della Brexit e l’Italia che non vuol far rientrare i conti. Per carità, questo non significa che l’intelligence abbia smesso di lavorare, tuttavia il problema “islamismo/radicalizzazione” ha raggiunto una dimensione talmente microscopica da sfuggire alle maglie della giustizia. La nuova tipologia di attentati – ne abbiamo avuto diversi esempi – tende a svilupparsi in maniera occulta, partendo da una radicalizzazione individuale lenta e progressiva che non può essere fermata, tantomeno imbrigliata dalle forze di polizia. Ogni qualvolta accada un fatto come quello di Strasburgo, veniamo inondati da pagine e pagine di resoconti sulla radicalismo islamista, sui giovani nati da famiglie immigrate e sulle condizioni di apparente disagio in cui vivono. Quando sentiamo la frase “già noto alla giustizia” puntiamo immediatamente il dito sugli organismi di polizia i quali, per la vulgata comunue, “avrebbero dovuto arrestare il sospettato prima che colpisse”. Ma su quali presupposti? Un ladro o uno spacciatore non è un terrorista, sebbene la sua nazionalità sia sospetta, non può essere incarcerato preventivamente per terrorismo a meno che non ci siano sospetti fondati (molto fondati) su una sua presunta radicalizzazione o contatti con organizzazioni jihadiste. Questi due elementi sfuggono troppo spesso all’occhio guardingo delle forze dell’ordine, ma non a quelli della comunità in cui vive il sospettato. Chérif, il pistolero di Strasburgo, è definito come “criminale comune” in procinto di essere fermato dalla gendarmeria; eppure il marocchino è riuscito egualmente a sfuggire tre volte all’arresto, grazie ad uno schermo di complici pronti ad entrare in azione per coprirne i movimenti.

Un dilemma simile diventa irrisolvibile soprattutto se messo a confronto con la legislazione francese per la quale l’espulsione di un potenziale terrorista come Chérif diventa un caso difficoltoso. Mesi fa, il costituzionalista Dominique Chagnollaud ha rilasciato un’intervista su Le Figaro spiegando quali siano gli impedimenti connessi all’allontanamento di soggetti – cittadini francesi – come il marocchino Chérif, classificato “Fiché S”. Ci troviamo di fronte alle consuete paure, guantate di bianco, delle democrazie occidentali che non riescono a reagire con decisione ad un’offensiva islamista che trae vigore proprio da questo atteggiamento cauto e ipocritamente “umanitario”.

Ma cosa è un sospettato “Fiché S”? In Francia esiste un immenso repertorio denominato FPR ovvero “fichier des personnes recherchées” che raccoglie i dossier di circa 400.000 sospettati, condivisi dalla polizia, gendarmeria e servizi di intelligence. Il casellario francese – formato agli inizi degli anni Sessanta – è suddiviso in diverse categorie tra cui la sezione S dedicata alle persone valutate come potenziale minaccia per la sicurezza dello Stato. I sospettati di categoria S sono a loro volta classificati secondo una scala di valori corrispondenti alla loro pericolosità, la quale arriva fino a un massimo grado di 16. Ovviamente gl’iscritti in queste liste non sono tutti terroristi: alcuni sono semplici attivisti politici, altri tifosi particolarmente agitati o debitori verso il Tesoro. I più aggressivi possono essere messi sotto sorveglianza sia fisicamente, sia grazie alle intercettazioni, tuttavia – fa notare Louis Caprioli ex dirigente dell’anti terrorismo francese – sono operazioni scostanti e non continuative.

Diversa è la situazione dell’archivio FSPRT, da non confondersi con l’FPR.

Nel 2015, dopo i terribili attentati al Charlie Hebdo, fu istituito lo FSPRT (fichier des signalements pour la prévention et la radicalisation à caractère terroriste) dedicato specialmente al problema della radicalizzazione. Ad oggi, nello schedario, troviamo i nomi di circa 20.000 persone registrate secondo parametri che riguardano il luogo di residenza, i precedenti e anche il profilo psicologico. L’UCLAT (Unité de coordination de la lutte antiterroriste) è la responsabile per l’inserimento dei soggetti a rischio nel repertorio occupato per ¾ da maschi. Tramite questa lista il governo francese, grazie al lavoro capillare della Direction générale de la sécurité intérieure, mantiene uno stretto controllo sugli islamisti suscettibili di diventare attentatori.

Ciò che stupisce di più è come nonostante la miriade di organismi preposti al controllo, il mercatino di Natale di Strasburgo non sia stato presidiato in maniera adeguata poiché già nel 2000 gli jihadisti di al-Qaeda avevano preso di mira quel luogo. Strasburgo, insieme alla zona di Lione e Parigi, è infatti un caposaldo dell’islamismo e molti dei classificati S risiedono in quella zona della Francia: alcuni degli attentatori del Bataclan provenivano proprio da questa regione, avvalorando l’esistenza di una cellula strasburghese molto attiva.

Prendendo le mosse da un vecchio adagio sulla crescente potenzialità del male, ricordiamo dunque che il terrorismo non dorme mai e nonostante i notiziari non spendano più lunghi reportage sullo Stato Islamico o su al-Qaeda il pericolo è concreto. La frammentazione delle macro organizzazioni ha creato numerosi satelliti, anche di dimensioni irrisorie, che nascondono potenzialità letali messe in atto da singoli zelanti islamisti “della porta accanto” armati di pistola o di un semplice temperino. Se ne sono accorti anche i numerosi europarlamentari, impegnati per le strade di Strasburgo nel consueto consumo di caffè, pizze o cene luculliane; sono gli stessi che si vestono da paladini della tolleranza, pronti a sparare a zero sull’operato delle forze dell’ordine, ma che al minimo rumore ficcano la testa sotto il tavolo. In quegli istanti essi sperano di sentire una sirena o di vedere un uomo mascherato di nero con la scritta “POLICE” sulla schiena; lo stesso uomo che condannano non appena usa le maniere un po’ forti con qualche terrorista per estorcere un’informazione. Sono i signori europarlamentari la cui benevolenza verso il diverso si consuma nei loro salotti o nelle hall degli alberghi o tra gli scagni del Palazzo europeo, tra un sorriso e qualche battuta, senza mai aver varcato il confine di qualche banlieu o ficcato il naso in un café di periferia. Programmi, progetti, migliaia di pagine scritte per comprendere il processo di radicalizzazione, senza avere la minima cultura di cosa significhi sicurezza, ma soprattutto con la ferma volontà a non perdere i loro miserrimi privilegi. Si confondono di proposito i concetti di tolleranza e difesa della comunità, poiché è un gioco di parole nelle mani della politica che fa il suo tornaconto. Il terrorismo vive e si nutre di questo malinteso, poiché devia l’interesse dal vero problema, confondendosi tra mille altri falsi problemi. L’equazione Natale/Islam/Terrorismo è ora sul piatto dei soliti benpensanti, xenofobi di estrema destra, come lo è la formula Radical Chic che vuole eliminare la nostra tradizione per paura di offendere chi non la pensa come noi. Finché si viaggia su questi due binari di ottusità, i terroristi troveranno la strada spianata.