La quarantena finanziaria

23/03/20

Sono misure severe, ne sono consapevole: rimanere a casa, rinunciare a radicate abitudini non è affatto facile, ma non abbiamo alternative. In questo momento dobbiamo resistere, perché solo in questo modo riusciremo a tutelare noi stessi e a tutelare le persone che amiamo. Il nostro sacrificio di rimanere a casa è peraltro minimo se paragonato al sacrificio che stanno compiendo altri concittadini. Negli ospedali, nei luoghi cruciali per la vita del Paese c’è chi rinuncia e chi rischia molto di più. Penso in particolare e innanzitutto ai medici, agli infermieri; ma penso anche alle forze dell’ordine, alle forze armate, agli uomini e alle donne della protezione civile, ai commessi dei supermercati, ai farmacisti, agli autotrasportatori, ai lavoratori dei servizi pubblici e anche dei servizi dell’informazione.”

Giuseppe Conte

Con questo preambolo il Presidente del Consiglio italiano ha annunciato, nella tarda serata di sabato 21 marzo 2020, ulteriori misure restrittive delle attività umane per arginare un’epidemia di COVID-19 in Italia che ancora non accenna a diminuire la sua velocità di propagazione presso la popolazione del nostro Paese. In particolare, si dispone che d’ora in avanti solamente un numero limitato di aziende ed esercizi, ristretto alle filiere produttive di beni e servizi definiti “essenziali” possa rimanere regolarmente aperto; mentre tutte le altre imprese dovranno restare chiuse.

È oramai ovvio, come afferma lo stesso Conte verso la fine del suo discorso, che “L’emergenza sanitaria, ma lo avevamo previsto, sta tramutando in piena emergenza economica”. In questo articolo cercherò di spiegare come, a mio avviso, si debba procedere per affrontare questa emergenza economica: traducendo in ambito aziendale le stesse precauzioni di isolamento e quarantena che già vengono prescritte agli esseri umani in campo sanitario, mettendo il Paese in “quarantena finanziaria”.

In ambito sanitario la cittadinanza viene essenzialmente suddivisa in quattro categorie: 1) i sani, ai quali viene prescritto di limitare il più possibile le interazioni sociali, in modo da non ammalarsi e continuare a garantire la sopravvivenza del Paese; 2) i malati asintomatici oppure lievi, ai quali viene prescritto un isolamento assoluto per evitare di diffondere ulteriormente il contagio; 3) i malati gravi, ai quali vengono messi a disposizione i reparti di terapia intensiva degli ospedali per salvare la vita; 4) i morti, coloro che avevano ahimè un quadro clinico grave già prima di contrarre il COVID-19 e quindi non ce la fanno neppure con l’aiuto della terapia intensiva.

A mio parere, per affrontare l’emergenza economica bisognerebbe suddividere tutte le aziende italiane nelle stesse quattro categorie:

1) i “sani” sono tutte le attività che continuano ad operare regolarmente (ed essere regolarmente pagate dai loro clienti per i loro beni o servizi) anche durante la crisi: penso ad esempio ai supermercati o alle farmacie;

2) i “malati asintomatici” sono tutte quelle aziende che da un lato non hanno “sintomi” perché durante la crisi continuano ad operare ed ad avere clienti che domandano i loro beni e servizi, ma dall’altro sono comunque “infetti” perché vendono i loro beni o servizi ad una platea di clienti costretti dalle proprie condizioni finanziarie a richiedere dilazioni di pagamento anche molto lunghe nel tempo. Qui penso ad esempio alle banche, ai fondi immobiliari e alle società di pubblica utilità che potrebbero avere difficoltà a ricevere rispettivamente le rate del mutuo, le rate dell’affitto e il saldo delle bollette da parte di molti dei loro clienti;

3) i “malati gravi” sono tutte quelle aziende che sono state forzatamente chiuse dalle decisioni del governo. Hanno perso tutto il “respiro” delle proprie vendite e devono essere “intubate”, cioè devono ricevere aiuti economici immediati per poter far fronte alle spese incomprimibili fino a quando non potranno far ripartire la propria attività;

4) è infine necessario fin da subito aprire gli occhi sulla realtà che alcune delle aziende alle quali il governo ha imposto lo stop si trovavano già prima dello scoppio di questa crisi in una situazione finanziaria talmente compromessa che con ogni probabilità non riusciranno a riaprire al termine di questa emergenza.

In assenza di misure mirate per ciascuna delle quattro categorie, il “contagio finanziario” potrebbe propagarsi più o meno così: un bar pasticceria (il nostro malato grave), chiuso dai provvedimenti del governo già da alcuni giorni, alla fine del mese di marzo non sarà in grado di pagare la fattura al consorzio di allevamento bestiame (il nostro malato asintomatico) che gli fornisce il latte e la panna. A quel punto l’allevamento andrà in difficoltà economiche e non avrà soldi per pagare la società di autotrasporti (il sano) che mette a disposizione i camion frigoriferi che portano la carne dello stesso allevamento alla macelleria di quartiere piuttosto che al supermercato. A quel punto la nostra società di autotrasporti alimentari, una società che oltre ad essere perfettamente sana svolgeva un ruolo di importanza strategica nella nostra società durante questa emergenza, subisce un perfetto “contagio finanziario”.

Per imporre alla nostra economia quella “quarantena finanziaria” che si rende necessaria per evitare uno scenario come quello appena descritto, il governo dovrebbe istituire nel più breve tempo possibile una grande Agenzia di Garanzia di Liquidità e Solvibilità.

Questa agenzia avrebbe i seguenti compiti:

  • accettare iscrizioni da parte di tutte le aziende italiane che ritengono di attraversare un momento di difficoltà da quando è iniziata questa crisi (presumibilmente la quasi totalità)

  • ottenere dati economici e finanziari sull’azienda iscritta. A questo fine, l’agenzia dovrebbe ottenere un accesso immediato non solo alle dichiarazioni fiscali e IVA degli ultimi 3 anni, ma anche ai movimenti di conto corrente e a tutto l’archivio di fatture elettroniche che coinvolgono l’azienda in entrata ed in uscita da quando è stata introdotta la fatturazione elettronica, con particolare enfasi sulle fatture recenti non ancora pagate e/o incassate

  • sulla base di un algoritmo standard e pubblicato in maniera trasparente, analizzare i dati di liquidità, redditività, indebitamento e soprattutto di capitale circolante dell’azienda, confrontando i valori degli ultimi giorni (cioè da quando è iniziata questa crisi) con il 2019 e la media degli ultimi 3 anni

  • produrre un “rating”, cioè un giudizio finale che classifica l’azienda in base alla sua situazione attuale. Per riconciliare la prassi in questo campo con la similitudine con il piano sanitario offerta sopra, si potrebbe pensare di assegnare una “A” alle aziende “sane”, una “B” alle aziende “malate asintomatiche”, una “C” alle aziende “malate gravi” e una “D” alle aziende non più in grado di proseguire la loro attività al termine di questa emergenza

  • offrire all’azienda un piano di aiuti personalizzato.

Come appena detto, il piano di aiuti deve essere personalizzato per ciascuna azienda. Tuttavia, a grandi linee gli aiuti dovrebbero essere di questo tipo:

  • per le aziende “A”, un monitoraggio mensile automatico della redditività e della liquidità, con possibilità di riclassificare l’azienda mensilmente qualora la situazione finanziaria dovesse aggravarsi

  • per le aziende “B”, un plafond di denaro utilizzabile per convertire in liquidi, immediatamente e a valore nominale, qualsiasi fattura emessa verso un cliente e difficile da incassare. Èchiaro che per evitare abusi l’Agenzia dovrebbe mantenere un monitoraggio quotidiano automatico dell’utilizzo della liquidità da parte dell’azienda. Dopotutto, il concetto di “quarantena finanziaria” è proprio questo: l’Agenzia “isola” l’azienda “B” dai mancati pagamenti dei suoi clienti, ma in cambio si assicura che l’azienda “B” paghi i propri fornitori il più regolarmente possibile. Il plafond (così come l’intera situazione finanziaria dell’azienda) è rivisto mensilmente

  • per le aziende che sono state bloccate dai provvedimenti recenti, e che quindi non sono né “A” né “B”, la scelta più difficile e dolorosa che dovrà fare l’Agenzia, sulla base del bilancio totale che le sarà messo a disposizione, è quella di classificare l’azienda come “C” o “D”. Per fare questa scelta non è sufficiente l’applicazione di un algoritmo standardizzato, ma serve un’analisi più approfondita, che passi in primo luogo da una valutazione di quanto l’azienda è “strategica” per il tessuto economico del Paese, e in secondo luogo da un breve colloquio da parte di un gestore dell’Agenzia con l’amministrazione e la proprietà dell’azienda in oggetto, per comprendere le reali intenzioni di queste ultime

  • se una azienda viene classificata “C” (obbligatoriamente, se è strategica per il Paese; altrimenti, se aveva raggiunto la crisi in una situazione finanziaria accettabile e la proprietà/amministrazione è realmente motivata a ripartire una volta terminata l’emergenza), l’Agenzia somministra un paniere di aiuti che include: 1) un accesso facilitato agli ammortizzatori sociali per quei lavoratori che dovessero perdere il lavoro; 2) la possibilità di dichiarare nulli contratti di fornitura già sottoscritti (questa possibilità richiede molto probabilmente un provvedimento legislativo ad hoc); 3) l’erogazione di prestiti a fondo perduto senza segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. In cambio, la proprietà/amministrazione si impegnano a pagare regolarmente le forniture irrinunciabili, e a fornire garanzie (anche personali) riguardo alla ripartenza dell’attività aziendale a fine emergenza

  • se un’azienda viene classificata come “D” si prevede l’accesso facilitato ed immediato agli ammortizzatori sociali per tutti i dipendenti, oltre che per le famiglie che derivavano un sostentamento economico dall’attività di quell’azienda. Inoltre, si prevede una procedura semplificata di liquidazione finale dell’azienda. Si chiederà il lettore perché la classificazione “D” debba esistere in primo luogo, e non si possano invece salvare tutte le aziende. Le risposte sono due: primo, le risorse pubbliche per realizzare tutto quanto scritto in questo articolo fino a qui sono necessariamente limitate, e non è saggio impiegarle laddove non riuscirebbero a sortire alcun risultato soddisfacente. Secondo, in un’economia matura come quella italiana, uno “sfoltimento” di capacità produttiva inefficiente è necessario per velocizzare la ripresa una volta terminata la fase dell’emergenza.

Vorrei puntualizzare che questo articolo tratta degli aiuti da mettere in campo per le aziende, cioè le persone giuridiche. Il tema degli aiuti e degli ammortizzatori sociali per le persone fisiche, cioè per tutti i soggetti che dovessero perdere un reddito in questa fase di emergenza (anche a seguito dei provvedimenti proposti in questo articolo), è certamente fondamentale ma non può essere affrontato qui. Questo tema richiederà un articolo e una trattazione a parte.

A questo punto il lettore avrà certamente tre quesiti da pormi:

  1. Perché serve una nuova agenzia governativa per fare tutto questo? Non si potrebbero utilizzare le banche e gli altri intermediari finanziari già esistenti per organizzare questi aiuti?

  2. Quale ruolo spetta ai sindacati e alle associazioni di categoria, specie nelle aziende di tipo “C” per le quali si rendono inevitabili le riduzioni di personale, e ancora di più nelle aziende di tipo “D” per le quali si decreta la morte dell’intera azienda?

  3. La domanda più importante: da dove prendere i soldi per realizzare tutto quanto scritto fino a qui?

La risposta alla prima domanda è molto semplice: utilizzare le banche per erogare gli aiuti proposti sarebbe come impiegare un poliziotto risultato positivo al COVID-19 a presidiare il posto di blocco lungo la strada. Come già scritto sopra, le banche e gli intermediari finanziari sono già per conto loro “malati asintomatici”, in quanto già nei prossimi giorni saranno travolti da un’ondata di sofferenze di proporzioni spaventose. Per questo motivo, se gli aiuti dovessero transitare per una banca prima di approdare all’azienda da aiutare, la banca (che con ogni probabilità ha già un’esposizione creditizia nei confronti di quell’azienda) sarebbe costretta a scegliere tra due alternative. La prima alternativa sarebbe quella di “pareggiare” l’aiuto da erogare con l’esposizione esistente, con il risultato che l’aiuto resterebbe in capo alla banca e non andrebbe a sortire nei confronti dell’azienda la funzione emergenziale desiderata. La seconda alternativa sarebbe quella di fare effettivamente arrivare l’ossigeno aggiuntivo all’azienda, ma al costo di aumentare il rischio che la banca detiene verso quell’azienda oltre i limiti prudenziali. In questo secondo caso si verificherebbe da azienda a banca quel “contagio finanziario” da malato grave (l’azienda) a malato asintomatico (la banca) già descritto sopra.

Molto meglio quindi che l’Agenzia governativa proposta eroghi direttamente l’aiuto all’azienda, e che le banche eventualmente si iscrivano all’Agenzia come tutte le altre aziende. Solo così il governo avrebbe il controllo completo e diretto delle “occlusioni” di liquidità da sbloccare nell’intero sistema dell’economia italiana. In più, se gli aiuti transitano per il sistema bancario vi sarebbe inevitabilmente una segnalazione aggiuntiva alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, che invece nel caso degli aiuti direttamente concessi dall’Agenzia da me proposta sarebbe esclusa. È necessario aggiungere, infine, che per realizzare l’Agenzia proposta si rende necessaria una profonda revisione della legislazione sugli aiuti di stato, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo.

La risposta alla seconda domanda invece è più spinosa. In una situazione di emergenza come questa è impensabile istituire per ciascuna azienda da prendere in esame dei “tavoli di trattativa” tra azienda, sindacati e rappresentanti delle istituzioni, tipici del sistema di relazioni industriali prevalente in Italia da molti decenni. Il funzionamento dell’Agenzia proposta ed il processo decisionale descritto sopra, nonché l’urgenza della situazione, richiedono massima rapidità e massima trasparenza, non estenuanti trattative sindacali. È certamente auspicabile un coinvolgimento diretto dei sindacati e di tutte le altre principali parti sociali nella stesura iniziale delle regole di funzionamento e governance dell’Agenzia; nella determinazione dei criteri oggettivi, verificabili e trasparenti in base ai quali verrà espresso il rating dell’azienda iscritta; nella delineazione generale degli interventi da prescrivere alle aziende di ciascun livello di rating; e nella supervisione a regime dell’attività dell’Agenzia tramite una adeguata rappresentanza nel Consiglio d’Amministrazione della stessa. Non è invece pensabile, come già detto, un coinvolgimento diretto dei sindacati nella trattazione di ciascun caso aziendale.

Infine, per ultimo l’argomento più importante: come questa Agenzia di Garanzia di Liquidità e Solvibilità dovrebbe finanziarsi.

Da circa vent’anni c’è una parola che di tanto in tanto emerge nel dibattito pubblico, come un torrente carsico: Eurobond. Gli Eurobond sono un ipotetico meccanismo solidale di distribuzione dei debiti a livello europeo attraverso la creazione di obbligazioni del debito pubblico dei Paesi facenti parte dell’eurozona, da emettersi a cura di un'apposita agenzia dell’Unione Europea, la cui solvibilità sia garantita congiuntamente dagli stessi Paesi dell’eurozona (fonte: Wikipedia).

Da quando è scoppiata anche nel nostro Paese l’emergenza economica causata dalla pandemia di COVID-19, personalità estremamente autorevoli e trasversali rispetto al nostro panorama politico hanno dato nuovo slancio alle loro argomentazioni a favore della creazione di questi Eurobond.

Vorrei invece esprimere, da italiano con interessi imprenditoriali concentrati in Italia e negli altri Paesi dell’Europa mediterranea, la mia totale contrarietà all’introduzione degli Eurobond, specie in questo frangente di emergenza. Gli Eurobond sono infatti uno strumento controverso e divisivo poiché costringerebbero i Paesi dell’eurozona finanziariamente più “virtuosi” (tipicamente situati nel nord del continente) ad accollarsi, anche solo parzialmente, porzioni di debito non loro.

Sia che il lettore sia un ardente europeista, sia che sia un incallito sovranista, vorrà trovarsi d’accordo con me su questo: se l’amministratore del nostro condominio convoca una riunione d’emergenza mentre la palazzina in cui viviamo prende fuoco, tu e gli altri vi adoperate per trovare una soluzione rapida e condivisa che ponga fine all’incendio. Non ti metti a sollevare un argomento di discussione che provoca litigi con i tuoi vicini da 10 anni a questa parte, perché sarebbe il modo più sicuro per restare tutti paralizzati davanti all’incendio, con il rischio di lasciare che tutto bruci.

Per questo io propongo che l’Agenzia di Garanzia di Liquidità e Solvibilità descritta in questo articolo venga finanziata con un’emissione diretta di moneta da parte della Banca Centrale Europea, senza impattare né sul bilancio dello stato, né sul bilancio dell’Unione Europea, né tantomeno sul bilancio dei nostri partner europei. Così facendo, tutti i Paesi dell’eurozona, virtuosi oppure no, e tra parentesi tutti avviati a trovarsi nella stessa situazione di emergenza dell’Italia fra qualche settimana, potranno copiare una soluzione di intervento diretto a sostegno delle nostre economie, e che rimanda a data da destinarsi qualunque discussione irrisolta sul bilancio dell’Unione Europea, sui parametri di Maastricht, sul Patto di Stabilità eccetera eccetera eccetera.

Verrà un tempo in cui l’emergenza sarà finita e potremo tornare a dividerci fra falchi e colombe, euroscettici ed europeisti, globalisti e sovranisti. Se risolviamo questa emergenza grazie a soluzioni nuove e condivise. Altrimenti osserveremo paralizzati la nostra casa bruciare, e alla fine avremo perso tutto. E avremo perso tutti.

Paolo Silvagni

(Laureato in economia, ex consulente finanziario, imprenditore)

Foto: web / Difesa Online / BCE