Intervista al capo di stato maggiore della Difesa, generale Enzo Vecciarelli

(di Andrea Cucco)
04/03/21

Come si valuta un militare? Si può rispondere in molti modi: dalla tempra, dall'intelligenza, dagli amici (e dai nemici...), dalle decorazioni sul petto, dalla carriera, dal coraggio e perfino dalla simpatia o antipatia; ognuno ha il suo parametro preferito e - da essere umano - può anche sbagliare liberamente.

Si può quindi giudicare il capo (militare) delle nostre Forze Armate? La risposta è in questo caso una sola: "a tempo debito".

Vi sono servitori del Paese che a distanza di pochi anni si dimenticano, altri che si rimpiangono, qualcuno che ancora si detesta. Il sentimento tende ad essere piuttosto omogeneo perché sono gli effetti delle loro azioni a definirli, una sorta di "karma" (che però sono altri a scontare!).

Il lavoro del CHOD (Chief of defense) Vecciarelli è stato in questi anni impegnativo e "sorprendente". Pur non essendo un "proverbiale comunicatore", è riuscito a denunciare alla politica criticità della Difesa improrogabili, ha permesso primi passi nella diffusione di una meno improbabile "cultura militare", ha infine assecondato la riorganizzazione di comandi e strutture in precedenza poco operativi, scoordinati o addirittura inefficenti.

Il compito, se pensiamo alla vastità ed agli impegni "straordinari" dell'apparato militare, è ben più ampio e complesso. Ed i risultati - mi ripeto - saranno apprezzati e valutabili solo col tempo.

Al momento è comunque nostro dovere cercare di comprendere lo stato dei "lavori in corso".

Generale Vecciarelli, ha recentemente lanciato diversi allarmi sull'inadeguatezza dello strumento militare alle nuove sfide e minacce. Quali sono le vie e le strategie per risolvere i gap?

Nell’ambito dei più autorevoli consessi istituzionali ho recentemente avuto l’opportunità di parlare dello “stato di salute” delle Forze Armate italiane. Non alludevo, tuttavia, a una mera analisi statistica; viceversa intendevo mettere a fuoco la capacità dello strumento militare di assolvere le missioni istituzionali per le quali esiste che, in ultima analisi, vuol dire concorrere alla sicurezza del paese e proteggerne i suoi interessi strategici. Ho quindi ritenuto opportuno avviare uno studio approfondito, avviando la c.d. Pianificazione Generale Interforze. Un processo orientato su due direttrici fondamentali che, al di là dei tecnicismi, da una parte garantisse il mantenimento delle capacità operative dei sistemi già in uso, ancora in grado di generare un effetto operativamente significativo, e dall’altro, il rinnovamento, potenziamento e in alcuni casi l’acquisizione di capacità imprescindibili, soprattutto guardando al futuro.

Alludo a un percorso di modernizzazione orientato a perseguire una interoperabilità ancor più marcata e profonda tra le componenti, ma anche lo sviluppo di capacità nei domini spaziale, cibernetico e digitale, per loro natura trasversali, pervasivi e con ampi margini di innovazione e crescita. Va da se, tuttavia, che un simile percorso, la diffusa instabilità e frammentazione del panorama di riferimento e la complessità degli scenari nei quali opereremo, rendono imprescindibile lo sviluppo di adeguate capacità decisionali, supportate da un efficace quadro informativo: elementi abilitanti e, al tempo stesso, fattori di crescita di un moderno sistema difesa.

Come accennato, tutti i sistemi dovranno essere pienamente integrati tra loro e coi sistemi informativi e di comando, vedendo così moltiplicato l’effetto complessivo generato.

La profonda e dettagliata analisi effettuata, ci ha inoltre consentito di individuare criticità e opportunità, divenute priorità ove operare con maggiore incisività finanziaria e programmatica, in modo da generare effetti concreti sia in relazione alla nostra capacità di difendere lo stato e gli interessi strategici nazionali, sia di adempiere agli impegni che il Paese ha assunto in seno alle Alleanze, NATO e UE in primi, in uno scenario, lo ricordo, complesso, competitivo e frammentato.

Va da se, infine, che sotto il profilo geostrategico, la nostra attenzione si è rivolta in via prioritaria (ma non esclusiva) al c.d. Mediterraneo allargato, inteso come vero e proprio “sistema” multi-dominio. Tutto questo, con la consapevolezza che l’investimento nella Difesa è anche un importante volano di crescita del Sistema Paese, che ne beneficerà in termini di credibilità, competitività, stabilità e sviluppo economico e tecnologico.

Dopo il conflitto in Artsakh è chiaro che i sistemi antidrone non devono più neutralizzare dei "giocattoli" che sorvolano una caserma. Cosa sta facendo a riguardo?

L’utilizzo e l’impiego di sistemi a pilotaggio remoto (APR), soprattutto di classe Mini e Micro, si sta diffondendo con grande velocità e con capacità e funzionalità sempre più evolute. Il loro impiego alternativo per scopi criminali o terroristici è effettivamente un rischio reale. Il rilevamento, l'identificazione e la neutralizzazione di sistemi che volano in prossimità d’infrastrutture e aree sensibili è quindi una capacità di fondamentale importanza. Poiché le caratteristiche di tali sistemi permettono spesso di eludere sia le installazioni difensive di punto, sia i sistemi di scoperta della Difesa Aerea Nazionale, è stato necessario sviluppare dispositivi dedicati e procedure ad hoc. In tale ottica, abbiamo cercato in primo luogo di capitalizzare i nuovi sviluppi tecnologici ricercando soluzioni integrate di comando e controllo (C2) basate su capacità informatiche sempre più all’avanguardia.

La Difesa ha quindi avviato ambiziose iniziative di sviluppo nel settore, volte ad implementare soluzioni allo stato dell’arte, capaci di operare in modo integrato nella più ampia architettura di Difesa Aerea Nazionale e garantire al tempo stesso la protezione delle forze e di aree e obiettivi sensibili. In tale prospettiva, abbiamo creato due Centri di Eccellenza federati tra loro, quello di Amendola, a valenza generale e quello di Sabaudia, più specifico per la parte mini – micro, ci siamo già dotati di alcuni sistemi allo stato dell’arte e stiamo attivamente supportando lo sviluppo di soluzioni innovative, in sinergia con l’industria nazionale.

Esistono gravi carenze di munizionamento da una parte e di capacità (es. land attack navali) dall'altra. Ha lanciato un allarme. Risultati?

L’impiego dello strumento militare in uno scenario fortemente competitivo, nel quale cioè ci si confronta con un nemico di capacità analoghe alle nostre, purtroppo ormai nella disponibilità anche di attori non statali, postula la disponibilità di armamento e munizionamento, in misura maggiore di quanto è attualmente disponibili nei nostri depositi e arsenali.

È un’esigenza nazionale e, al tempo stesso, parte del nostro impegno nella NATO, per la Difesa collettiva. Le munizioni tuttavia, come sa, scadono e gli armamenti tecnologicamente più complessi richiedono aggiornamenti periodici. In tal senso, ho già disposto di recente il finanziamento di un programma di approvvigionamento di munizionamento di vario calibro per tutte le componenti, nonché lo sviluppo di moderni sistemi d’arma che possano incrementare l’efficacia dei sistemi disponibili. Avere carri, navi, aerei moderni e non poterne garantire la piena funzionalità per mancanza di munizionamento, rischierebbe infatti di rendere vani gli sforzi fatti.

Per questo è stato necessario focalizzare l’attenzione su quest'area e destinare risorse coerenti con i nostri impegni e il nostro ruolo.

Solo per citare alcuni esempi, nel prossimo futuro disporremo del Vulcano, sia nella versione terrestre che navale, del Teseo, nella sua versione ammodernata e più performante, del Nuovo Siluro Pesante e integreremo le linee aerotattiche con nuovi armamenti (da lancio e da caduta guidata).

Perché ci permettiamo il lusso di aggiornare sistemi obsoleti come il carro Ariete?

Uno dei compiti del capo di SMD è quello di assicurare che lo Strumento Militare sia integrato, bilanciato, rilevante e, soprattutto, in grado di conseguire gli effetti necessari a tutela della sicurezza del Paese.

La componente pesante, come sa, è una delle “core capabilities” attraverso le quali assicurare in primo luogo deterrenza e, eventualmente, capacità di risposta. In tal senso essa è per protezione, mobilità e ingaggio, una capacità irrinunciabile tanto in contesti operativi di Collective Defence, quanto nell’ambito delle Crisis Response Operations, caratterizzate dal rischio di repentini incrementi della minaccia.

La stessa NATO, nell’ambito dei recenti documenti di indirizzo politico (come la Political Guidance 2019) ne richiama l’importanza, in termini di disponibilità ed efficienza, auspicandone, alla luce della rinnovata enfasi assunta dalla “Difesa Collettiva”, un rafforzamento già a partire dal 2024.

Vi è per tali ragioni l’urgenza di assicurare un livello di efficienza almeno sufficiente, per un arco temporale di un decennio, ottimizzando lo sforzo finanziario. Si tratta cioè di soddisfare la necessità di continuare a generare un effetto in tale segmento capacitivo, in termini operativi ed addestrativi, ammodernando la piattaforma già presente nei nostri Reparti Carri, guardando tuttavia già al futuro, per dotare la Difesa di un carro armato di nuova generazione, che intercetti le più avanzate soluzioni tecnologiche disponibili e rappresenti il pilastro della componente nel lungo periodo. Un programma ambizioso, che vedrà l’industria nazionale protagonista, ma che abbraccia un arco temporale necessariamente lungo, che richiede quindi una soluzione mitigatrice quale quella prospettata.

Droni armati? Il ministro Pinotti già 5 anni addietro era possibilista... E con il taglio degli F35 andremo ancor più in sofferenza nella compensazione di intere linee di volo. Li acquisiremo?

Gli APR con capacità cinetica - già utilizzati da altri Paesi NATO - sono certamente d’interesse per noi e trovano un solido razionale di impiego all’interno della più ampia strategia della Difesa volta a migliorare le capacità di protezione e supporto alle forze di terra, nonché di ingaggio di obiettivi, anche in ambienti non permissivi – c.d. Joint Precision Strike – senza peraltro venire meno ai principi del D.I.U. (necessità e proporzionalità) e al quadro giuridico nazionale.

L’Italia è tra le nazioni leader nell’impiego di APR, con i quali opera con successo da oltre 15 anni in tutti i principali Teatri Operativi; l’obiettivo è quindi quello di far evolvere questa capacità sfruttandone le caratteristiche peculiari (accuratezza dei sensori, prolungato stazionamento sull’area di operazioni, flessibilità d’impiego con possibilità di riorientare la missione in fase tattica, collegamento in tempo reale con la catena decisionale) per disporre - a fronte di dotazione d’armamento e sistemi di puntamento e guida di elevata precisione - della capacità di ingaggiare obiettivi, anche di opportunità, nonché intervenire a difesa del personale operante nell’area di interesse, in modo efficace, tempestivo preciso e sicuro.

Dal punto di vista operativo, d’altronde, gli APR sono aeromobili a tutti gli effetti e il loro impiego non differisce molto da quello dei velivoli a pilotaggio “tradizionale”, fatta eccezione per l’aspetto del controllo da remoto, che tuttavia è sempre responsabilità di personale pienamente qualificato e addestrato.

Droni imbarcati: dopo gli Usa perfino la Turchia li sta progettando. L'Italia?

Le moderne operazioni aeronavali abbracciano uno ampio spettro di missioni, da quelle più tradizionali (proiezione di capacità militari), ai compiti di natura constabulary (antipirateria, contrasto alle attività terroristiche, controllo della legittimità dei traffici marittimi), alle iniziative di soccorso umanitario o supporto alla popolazione civile. Tale scenario richiede la disponibilità di un flusso informativo robusto, esauriente, tempestivo e organico alla Forza Navale per conseguire un adeguato livello di Situational Awareness ed esercitare un efficace Comando e Controllo (C2) delle operazioni, peraltro integrato in ottica multi - dominio.

Una parte significativa del contributo informativo a tali operazioni, deriva dall’impiego degli aeromobili imbarcati che, in virtù delle intrinseche caratteristiche che li contraddistinguono, rappresentano piattaforme ideali per la condotta di attività Intelligence, Surveillance & Reconnaissance (ISR). Al riguardo, la Difesa sta lavorando da tempo in tale segmento e valutando iniziative di sviluppo per dotarci di una capacità APR imbarcata, per potenziare le attività di raccolta informativa e sorveglianza delle Unità Navali, garantire una più efficace capacità di individuazione, selezione, discriminazione di obiettivi e, al tempo stesso assicurare un’adeguata protezione alle Unità.

Quante missioni internazionali sono davvero fondamentali per l'interesse nazionale? Quali concluderemo a breve?

Ci troviamo oggi in un contesto globale completamente trasformato. La pandemia ha impresso una forte accelerazione a dinamiche competitive con attori statuali e non, alla ricerca di nuovi posizionamenti anche in aree di nostra tradizionale competenza, utilizzando sistemi e tecnologie all’avanguardia, spesso in conflitti a “intensità variabile”, a poca distanza dal nostro territorio.

A preoccupare, oltre alla tenuta dei delicati e instabili equilibri geopolitici, sono le possibili criticità di lungo periodo, anche indirette: divaricazione economica, squilibri sociali, vulnerabilità degli stati più fragili, volatilità dei mercati, tutti elementi che vengono costantemente analizzati nell’ambito dello Stato Maggiore nella sua interezza.

In questo impegnativo scenario le Forze Armate si pongono a difesa del Paese e delle sue istituzioni, con convinto ed immutato senso dello stato, spirito di servizio e unità d’intenti. Tale visione unitaria, ha consentito di sviluppare un piano armonico di relazioni internazionali, avendo chiare le aree di interesse nazionale, secondo le linee guida del Ministro della Difesa.

In particolare, le missioni e operazioni all’estero, elemento centrale della politica di Difesa e Sicurezza, assumono rilevanza politica e strategica per garantire la tutela dei nostri prioritari interessi. L’Italia, per sua tradizionale vocazione, auspica che i propri interventi militari rientrino nel più ampio quadro delle iniziative promosse dalle Organizzazioni Internazionali a cui appartiene (ONU, NATO, EU) ed impiega il proprio strumento militare in armonia con i mandati internazionali.

Il quadro geostrategico attuale non sembra dunque consentire, almeno a breve, una diminuzione dell’impegno. Al contrario, siamo pienamente consapevoli che lo Strumento Militare nazionale dovrà affrontare uno sforzo crescente – tenendo anche conto della proiezione degli effetti derivanti dalla pandemia COVID-19 – prioritariamente nella Regione Euro-Mediterranea e nelle zone contigue, senza tralasciare le aree più lontane: Balcani, Maghreb (con specifico riferimento alla Libia) e Sahel, Corno d’Africa, Golfo di Guinea, oltre al Medio Oriente e alla Penisola Arabica.

Ciò, in sinergia con le Alleanze e i Paesi delle Coalizioni a cui aderiamo, consentirà di concentrare l’attenzione dello Strumento Militare nelle aree per noi prioritarie. Se guardiamo all’Iraq, ad esempio, la Coalizione (Operazione Inherent Resolve) sta progressivamente passando il testimone alla NATO. In Iraq, riteniamo che la presenza militare nazionale sia fondamentale per la ricostruzione e la tenuta delle forze di sicurezza locali. Il nostro impegno sarà assicurato e siamo pronti a far transitare le nostre capacità da OIR (la Coalizione) a NMI (la NATO). In prospettiva, la NATO Mission in Iraq potrà divenire un modello alternativo in cui l’Italia potrà giocare un ruolo importante, mantenendo il ruolo di interlocutore privilegiato del paese medio-orientale.

Allo stesso modo, in Afghanistan, come noto, a seguito degli accordi USA – Talebani del 29 febbraio scorso, l’Operazione NATO di Train Advise Assist “Resolute Support” sta diminuendo la sua consistenza numerica e, ove le condizioni lo consentiranno e la decisione politica sarà presa, sarà avviata la progressiva chiusura dei Comandi regionali. Chiaramente l’Italia è pronta a modellare il proprio in coerenza con i piani della NATO. Al di là della singola operazione, tuttavia, desidero richiamare l’attenzione sull’interconnessione che le caratterizza e sull’effetto complessivo che esse generano, in termini di stabilità e sicurezza. È quello che puntiamo.

Gli F-35B hanno limiti e difetti sconosciuti alla versione A e saranno insufficienti ad equipaggiare le unità navali italiane. L'AM li deve avere ad ogni costo?

L’F-35B, Short Take-Off and Vertical Landing (STOVL), versione a decollo corto ed atterraggio verticale, permette in larga parte lo svolgimento delle stesse tipologie di missioni della versione F-35A, combinando capacità multiruolo di assoluta eccellenza, caratteristiche stealth avanzate, elevata integrazione dei diversi sensori di bordo, capacità di scoperta, identificazione e precisione di ingaggio, suite di comunicazioni con capacità net-centriche e logistica di supporto innovativa, che permettono al sistema di esprimere capacità multi-missione uniche, sia in scenari aria-aria che aria superficie. Inoltre, la versione STOVL permette l’impiego sia su Unità Navali tipo LHA/LHD/CV (Amphibious Assault Ships and Aircraft Carrier), sia da piste corte o semi-preparate.

La scelta di dotare l’A.M. di velivoli F-35B, nasce nei primi anni 2000 in ragione di un’esigenza operativa ancora attuale, che e trova riscontro anche in altri Paesi (Regno Unito, Giappone e Singapore) in ragione della mobilità e flessibilità operativa del sistema F-35B, in grado di garantire la riduzione del footprint logistico e flessibilità di rischieramento su basi operative avanzate, aumentando la capacità e la possibilità di risposta immediata della componente aerotattica. Tale capacità è un abilitante fondamentale per le forze terrestri e marittime, a sostegno di ogni operazione di superficie. Inoltre.

Le tempistiche stabilite dall’attuale profilo di consegne degli F-35B per l’Italia, seppur non ottimali a causa dei tagli del passato, permetterà comunque il conseguimento di una credibile capacità nazionale Portaerei, consentendo un significativo salto generazionale rispetto al velivolo AV-8B, in armonia con le consolidate intenzioni e priorità dei Vertici politici e militari della Difesa; il conseguente programma di assegnazione delle macchine è dunque funzionale a garantire un’adeguata e bilanciata ripartizione degli assetti, in vista del conseguimento di una capacità operativa iniziale “sea based” e “land based”.

È serio discutere ancora di F-35 quando ci si dovrebbe esclusivamente dedicare, come altri paesi, alle prossime due generazioni o teatri operativi come lo spazio e la cyber-security?

In realtà nessun paese importante ha adottato una strategia simile. Se è infatti vero che registriamo una crescente attenzione nei confronti di spazio e cyber, ciò non avviene a scapito dei sistemi d’arma più moderni del segmento tradizionale (solo in apparenza).

Quando parliamo di F-35 parliamo di un sistema di sistemi, particolarmente evoluto, che conferisce un vantaggio competitivo anche in campo informativo e nella gestione del C2 multi-dominio. Ciò che vedo è integrazione moltiplicazione di effetti, coi domini emergenti, non antitesi capacitiva.

Trovo poi complesso pensare di poter sviluppare (o partecipare allo sviluppo) sistemi ancor più evoluti, senza aver sviluppato le competenze e conoscenze che solo la partecipazioni a programmi di tale complessità e sofisticazione possono dare. In quest’ottica, stiamo riservando anche noi grande attenzione allo sviluppo capacitivo nei settori spazio e cyber, in sinergia con le realtà istituzionali, industriali e del mondo accademico e della ricerca.

Lo sviluppo tecnologico e le cosiddette “disruptive technologies” sono al tempo stesso un’opportunità da valorizzare e una minaccia da mitigare e, in tale ottica, le Forze Armate Italiane non perderanno le opportunità offerte dai nuovi domini abilitanti.

Foto: ministero della difesa / Camera dei deputati / Esercito Italiano / U.S. DoD / Aeronautica Militare / Marina Militare