Quello pubblicato da Marco Mostarda su "Inter Populum" con il titolo "Before Small Wars: Early Thoughts On The Strategy Of Colonial Warfare And Their Relevance" è, probabilmente, il più centrato studio recente sull'evoluzione teorico-strategica delle "small wars" in epoca coloniale. Oltre a questo, però, il saggio di Mostarda offre spunti di riflessione particolarmente utili in una fase in cui gli eserciti occidentali, dopo vent'anni di operazioni di controguerriglia, devono rivalutare la loro dottrina e capacità nella conduzione di una guerra convenzionale.
I teorici vittoriani delle "small wars" - su tutti Callwell e Da Costa Porter - hanno fatto della riluttanza ad abbracciare l'intrinseca natura asimmetrica delle guerre coloniali il loro marchio di fabbrica. Una tendenza descritta come l'idea che la "guerra irregolare dovesse essere mantenuta il più 'regolare' possibile". Questo non significava rifiutare la realtà oggettiva del conflitto coloniale, ma superarle, riuscendo a riportare la guerra sul campo "regolare", ove la superiorità tecnologica avrebbe avuto la meglio, infliggendo un colpo decisivo al nemico.
La necessità di ricondurre le "small wars" all'arte della guerra convenzionale, che nel milieu militare britannico trovava estimatori principalmente nel nocciolo duro della nascente scuola continentalista del “Roberts Ring”, ha anticipato le teorie contemporanee dello storico militare israelo-olandese Martin Levi van Creveld sulle guerre a bassa intensità e della professoressa britannica Mary H. Kaldor sulle "New Wars" (illuminante, a tal proposito, l'introduzione di Andrea Baccaro all'edizione italiana dell'opera di Callwell). Pur criticando fortemente le contemporanee interpretazioni clausewitziane “classiche” – entro cui van Creveld riconduce anche il filone di pensiero jominiano – delle guerre asimmetriche, definendole come qualcosa di “diverso” rispetto ai conflitti del passato, dunque impossibili da ricondurre entro gli schemi analitici del generale prussiano, egli ha riconosciuto l’importanza di approcciarsi ai singoli conflitti analizzandone i particolari, senza accettare “sistemi universali” di condotta (come nel caso della COIN)
L'approccio di violenza e "regolarizzazione" ascendente alla controinsurrezione d'epoca coloniale era determinato dalla "natura esterna" delle guerre imperiali, mentre, nelle interpretazioni moderne della controguerriglia, ad essere privilegiato è un uso selettivo della violenza, connesso all'accettazione della asimmetria del conflitto. Questa differenza fondamentale è stata evidenziata da Thomas R. Mockaitis, tracciando i confini teorici tra le scuole britannica delle "small wars" e francese della COIN.
L'idea espressa dal tenente dei Royal Engineers e veterano della Guerra anglo-zulu Reginald da Costa Porter di recuperare dai principi della guerra regolare quelli che potrebbero essere applicati alla guerra irregolare anticipa il recupero che oggi si fa - di converso - delle tattiche dei conflitti asimmetrici per combattere quelli convenzionali, che, a volte, ne ricalcano le caratteristiche (empty battlefield, dispersione, avanzate in profondità di colonne, estensione e pesantezza delle linee logistiche, difficoltà di costruire strategie e tendenze operazionali razionali); in questo criticando il "metodismo" neo-jominiano che ha animato certe prove militari in Ucraina.