La Jihad globale è colpa dell’America?

(di Giampiero Venturi)
18/11/15

L’Operation Cyclone con cui gli Stati Uniti finanziarono la guerriglia afgana durante l’invasione sovietica, rimane ancora oggi il più grande programma di aiuti mai gestito dalla CIA. L’appoggio iniziato dal momento in cui la 40esima armata entrò in Afghanistan, riguardava forniture militari attraverso triangolazioni con Paesi terzi, fra cui brillavano Arabia Saudita e Pakistan. L’aiuto alla galassia mujaheddin non consisteva solo in equipaggiamenti e armi, tra cui i leggendari Stinger capaci di impantanare l’Armata Rossa in un vero e proprio Vietnam, ma anche e soprattutto in tecniche operative.

Il servizio segreto pakistano (l’Inter Services Intelligence, per ironia della sorte abbreviato in ISI…) fu nella sostanza il delegato CIA nella gestione logistica della guerriglia che aveva tra le provincie pakistane di Khyber Pakhtunkhwa e le aree tribali a cavallo con l’Afghanistan il campo base per tutte le attività antisovietiche.

Fin quando l’URSS rappresentò un nemico comune, la guerriglia dei mujaheddin rimase avvolta da una corteccia romantica percepita in Occidente come una leggenda di resistenza e liberazione tutta afgana.

Gli altarini furono scoperti dopo. Con la ritirata sovietica del 1989 l’Afghanistan si liberò del giogo comunista ma ripiombò in un nuovo feudalesimo con interi eserciti dotati di arsenali e affinate capacità operative in giro per il Paese e senza controllo.

La fine della guerra e dell’Operation Cyclone lasciarono un’eredità ancora maggiore: nonostante le lacerazioni interne e l’impossibilità di un unico coordinamento fra le varie fazioni musulmane, per la prima volta nella Storia recente si era creata l’idea di un cartello islamista. Jihadisti sunniti arabi o sciiti iraniani accorsi per difendere la terra islamica, grazie agli aiuti di Washington erano riusciti dove anche 600 anni di Storia avevano fallito: armare e fomentare un nuovo fondamentalismo.

Che la leggenda di Bin Laden sia nata lì può essere irrilevante. Molto più interessante è notare come l’ascesa al potere dei Talebani a Kabul negli anni successivi sia passata attraverso l’appoggio economico e militare del Pakistan, a sua volta foraggiato a piene mani dagli USA. Proprio Islamabad fu la prima a riconoscere nel 1997 insieme all’Arabia Saudita il nuovo regime fondamentalista.

La vicinanza dei waahbismo saudita alle ideologie talebane appare uno snodo importante per capire alcuni aspetti degli attuali scenari di geopolitica. L’Arabia Saudita (con i suoi cugini del Golfo) rappresenta la principale fonte di finanziamento dello jihadismo sunnita globale. Che l’intelligence di Ryad, la Ri'asat Al-Istikhbarat Al-'Amah, contempli la sharia nello statuto, non può essere un dato secondario…

Non è questa la sede per approfondire l’origine e le ragioni dei rapporti tra USA, Arabia Saudita e Pakistan. Due fattori hanno però contribuito nel passato a implementare il trittico:

  • la paura dell’Iran sciita che ha allineato Sauditi e Stati Uniti sullo stesso obiettivo dell’isolamento di Teheran

  • le ottime relazioni fra l’allora URSS e l’India, che hanno convinto Washington a tollerare la creazione di un arsenale nucleare a Islamabad

In entrambi i casi siamo di fronte al fatto che Arabia Saudita e Pakistan godono di un forte ascendente negli Stati Uniti, moltiplicato dalla potenza petrolifera e dagli assets finanziari di Ryad.

A inizi anni ’90 intanto, proprio mentre i Talebani riunificavano l’Afghanistan, una certa continuità fra jihad e politica estera americana trovava la sua sponda europea anche nella ex Jugoslavia. I finanziamenti dell’Amministrazione Clinton alle milizie bosniache di Izebtegovic sono noti a tutti. L’identificazione della 7a muslimanska brdska brigada dell’Esercito Bosniaco col titolo specifico di “muslim” a molti a suo tempo sfuggì.

Un dettaglio? Forse, fatto è che in Bosnia si è ripetuto lo stesso copione di Kabul: pur di contrastare la Serbia e il suo regime scomodo, si è ricorsi al patto col diavolo. Fra il ‘93 e il ‘95 oltre all’immancabile appoggio saudita, ai fratelli islamici bosniaci si affiancarono infatti miliziani hezbollah e sciiti iraniani. L’unità speciale El Mudžahid formata da volontari stranieri islamici fu al centro di molte polemiche già all’epoca.

Sauditi e iraniani insieme nel nome di Allah? La creatività geopolitica di Washington non conosce limiti…

Il massacro di Srebrenica da più fonti si dice sia stato permesso (e forse gonfiato nei numeri) per preparare l’opinione pubblica mondiale all’escalation anti serba del conflitto. Una sorta di Pearl Harbour dei Balcani per intenderci…

Verità o fantasia, rimane il fatto che l’eredità della “guerra santa” nella ex Jugoslavia è di circa 3000 jihadisti con esperienza di guerra, oggi liberi di circolare a Sarajevo e dintorni. Non solo. A Osve, Zenica, Gornja Maoca, Tuzla, Dubnica e nella stessa Sarajevo sono già comparsi gruppi salafiti. Nelle aree rurali si parla di campi di addestramento e bandiere nere dell’Isis e di un numero crescente di lotti di terreno acquistati da banche saudite. Un dettaglio anche questo… (leggi anche "I Balcani e la cattiva coscienza").

A fine secolo, la storia si ripete in Kosovo. Il santo protettore dell'UCK sono proprio gli USA. Terminato il conflitto, esteso in nome di Allah per un biennio anche alla limitrofa Macedonia, molti miliziani si riciclano nel Parlamento di Pristina. La Serbia cristiana viene annichilita, mentre la classe dirigente europea si arricchisce di nuove figure dal passato compromesso col fondamentalismo.

Parlando di inizio millennio, gli esempi sono evidenti: la Seconda Guerra in Iraq; il sostegno all’opposizione di Assad e la guerra civile in Siria; la caduta di Gheddafi e la conseguente anarchia libica; lo stretto legame con una Turchia sempre meno laica…

Dire che la nascita e lo sviluppo dello Stato Islamico siano in qualche modo collegati alla politica estera americana non appare una forzatura.

Come è possibile? L’America è caduta nella trappola islamista?

Quanto i venti di guerra in Medio Oriente e il terrorismo in Europa dipendano da errori di calcolo americani o da scelte compromettenti, non è facile stabilirlo.

Appare fuori discussione che una nuova idea di fondamentalismo, appena embrionale trent’anni fa, oggi si è consolidata godendo di quattro benefici indiscutibili:

  • patrocinio di Paesi in grado di condizionare mercati e politica internazionale (Arabia saudita, Qatar, Emirati Arabi e Turchia su tutti);

  • esperienza di guerra sul campo in teatri diversi, non solo mediorientali;

  • mezzi tecnologici e informatici impensabili solo dieci anni fa;

  • una base sociale rabbiosa e in crescita demografica contrapposta a un Occidente imbelle e sempre più sterile.

Con queste premesse, non ci resta che attendere. Finché ce ne sarà il tempo.

(foto: White House)