Mario Chima: Caimano 69 - Sabbia e polvere

Mario Chima
Ed. Indip.
pagg. 579

In Italia gli alpini si mandano in Russia e in Mozambico, quindi niente di strano se gli incursori della Marina invece che nel proprio elemento si ritrovino a combattere i Talebani tra i monti e le sabbie afghane. Eredi della X Mas della Regia Marina, i nostri Comsubin nulla hanno da invidiare agli U.S. Navy Seals se non il numero e le risorse assegnate.

Questo è il primo libro scritto da un nostro incursore in servizio, autorizzato dai superiori. “Mario Chima”, classe 1969, narra la storia e le tappe della dura selezione e dell’ancor più duro addestramento del Gruppo Operativo Incursori (GOI), dandoci subito un saggio di un’azione-tipo: la liberazione di ostaggi in una piattaforma petrolifera occupata da terroristi.

Nei capitoli successivi ci muoviamo in Afghanistan, dove le nostre forze speciali operano all’interno della nostra Task Force 45 (TF-45), alle dipendenze del COFS (Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali).

Caimano 69 è il nominativo del distaccamento Comsubin impegnato insieme agli incursori di altri reparti (i soliti noti: quelli del Nono, i ranger del 4° rgt alpini paracadutisti, il RAO del 185°, il 17° stormo incursori dell’AM e così via).

La TF-45 è stata operativa fino al 2016 (v. articolo) e il nostro ne ha fatto parte tra il 2005 e almeno fino al 2012. Le operazioni previste comprendevano Combat Shooting, Land Warfare, Military Operation in Urban Terrain (MOUT), Combattimento in spazi ristretti (ASAR), Personal Security Detail (PSD), Azione diretta (Direct Action, DA), ricerca e cattura di elementi ostili, meglio se di notte. Le operazioni si alternano a informali periodi di relax al campo base, tra cameratismo e grigliate.

Nel libro si descrive la durezza dei combattimenti, il rischio continuo di morire in agguato o per un IED, la scadente qualità dei soldati afghani rispetto alla capillare organizzazione tribale della guerriglia afghana. Ma abbiamo anche uno spaccato sull’addestramento dei nostri incursori, tecnologico ma pur sempre basato sugli uomini, e sorprende la frequenza con cui anche i sottoposti nella scala gerarchica possono partecipare a continue discussioni tattiche e all’elaborazione delle missioni.

Le operazioni descritte nel libro sembrano prese dalle librette, tale è la precisione espositiva di panoplia e procedure operative. Sono operazioni complesse, dove le funzioni di comando e controllo sono gestite centralmente via radio con l’ausilio di droni, radio, gps, visori notturni e armi di ogni tipo, ma alla fine a vedersela sul terreno è pur sempre la pattuglia appiedata. Il nostro evita di dare troppe informazioni su luoghi e uomini, ma è intuibile ritenere che le azioni descritte si svolgono tutte fra Camp Arena (Herat) e Farah, lungo la Ring Road, con l’impegno più duro a Bala Mourghab. Le azioni descritte in dettaglio sono almeno otto:

  1. la cattura di un insurgent in un villaggio (cap. 4 , p. 134-160);

  2. un RECON “in una zona a 200 km a NE di Herat” (= Bala Mourghab) supportando l’esercito afghano (cap. 5, p. 205-243). I nostri devono arretrare dopo un violento scontro a fuoco.

  3. un’operazione di ricerca e bonifica in appoggio a forze militari italiane sotto attacco, vittime di IED (cap. 6, p. 244-287 e cap. 7, p. 289-319; dovrebbe trattarsi del fatto d’arme a Bala Mourghab del 2 agosto 2012);

  4. gli scontri al passo di Sabzak, 2200 mt di quota, a nord di Herat (dal 3 al 4 settembre 2009; cap. 8, p. 320-355); i nostri Lince sono attaccati con RPG.

  5. il tentativo di catturare altri insurgents in un villaggio (cap. 10, p. 375-404); l’operazione fallisce perché gli elicotteri per sbaglio passano oltre l’obiettivo.

  6. la scorta a elementi della nostra Intelligence ad Herat (cap.11, p. 405-414);

  7. la successiva cattura in un villaggio ostile degli insurgents da noi identificati (ibidem, p. 429-446);

  8. la cattura di sette insurgents responsabili di attacchi IED, uno dei quali aveva distrutto un Medevac spagnolo (25 luglio 2012, ndr.) percorrendo a SW la Highway One (cap. 12, p. 447-474).

Alla fine per la sua squadra arriva il cambio e si può tornare a Pisa con il solito Hercules. Lui rivede moglie e figlia, ma la pace dura poco: presto sarà ricoverato per PTSD, lo stress differito. Rischia di dover abbandonare il GOI, ma viene reintegrato come istruttore, destino di tutti gli incursori “anziani”.

Non manca una descrizione accurata della sezione addestramento, dove il nostro è tuttora in servizio, dopo una lunga esperienza in Iraq (2003) Beirut (2006) e per l’appunto Afghanistan (non oltre il 2012). Ma il libro, anche se utile a chi voglia farsi una cultura sugli incursori, ha un valore aggiunto: il lato umano.

Chiunque sia, Mario Chima è un italiano che spesso pensa alla moglie e alla figlia, ricorda i commilitoni e guarda il cielo stellato, ricordandoci di non essere una macchina da guerra e che i soldati sono sognatori.

Da parte mia consiglio solo di rivedere l’impianto tipografico in caso di ristampa: le citazioni sono riportate in corpo troppo ridotto e le microscopiche note in calce sono illeggibili. Sarebbe gradita anche qualche mappa e una tavola riassuntiva delle tante sigle usate nel testo e decodificate in nota.

Marco Pasquali