Quando dire la verità diventa un atto di coraggio

In tempi in cui le atrocità si rincorrono da ogni lato, e ogni dichiarazione rischia di diventare un processo mediatico, esiste ancora il coraggio di raccontare una verità scomoda. Una verità che non giustifica mai l’orrore, ma pretende almeno di ricordare i fatti, quelli ignorati dai cori dell’indignazione selettiva.
Una signora ebrea, che vive in Italia e ha conosciuto sulla sua pelle le conseguenze dell’odio, ci ha confidato parole dure ma lucide: “No, loro da sempre fanno finta di trattare, poi rompono gli accordi con un colpo di tosse. Sono totalmente inaffidabili. Da 45 anni l’Iran è lo Stato più pericoloso del Medio Oriente, votato alla sparizione di Israele, degli ebrei e dei cristiani in quanto infedeli. Ha finanziato ogni movimento terroristico nella regione e attentati contro Israele e l’Occidente. Una vera piaga per l’umanità.”
Sono parole amare, scomode, ma per dovere di cronaca le riportiamo: riflettono un punto di vista storicamente radicato.
Nel silenzio mediatico seguito all’attacco contro l’ospedale nel Negev, in Israele, la reazione di molti è stata quella di ricordare – non a caso – le strutture colpite a Gaza. Ma c’è una differenza, e sarebbe ipocrisia ignorarla: negli ospedali israeliani i sotterranei ospitano sale operatorie d’emergenza; a Gaza – come documentato -tunnel operativi, depositi d’armi e centri di comando di Hamas.
La propaganda si nutre di semplificazioni. La verità, invece, è complessa. Ignorarla, o peggio censurarla in nome della correttezza ideologica, serve solo chi la violenza la promuove, la finanzia e la pratica.
Herbert Pagani, artista e pensatore libero, lo diceva già nel 1975 in un video oggi drammaticamente attuale. Figlio di Giulia Arbib, ebrea bengasina, insegnante e cuoca straordinaria, lanciava un grido d’allarme che abbiamo colpevolmente ignorato per decenni.
Non è facile dire queste cose. Ma è necessario. Perché criticare ogni atrocità è un dovere, sempre. Ma dimenticare chi l’ha pianificata per quarant’anni non è più solo una colpa: è complicità.