Cosa succede dopo Papa Francesco? Conclave, geopolitica e sopravvivenza della Chiesa cattolica

(di Gino Lanzara)
28/04/25

La morte è un passaggio ineludibile; quando il portale più oscuro ed indecifrabile lo attraversa il vicario di Cristo, la dimensione mistica assume caratteri ancor più forti, stante i significati ideologici e religiosi, che a maggior ragione non possono trovarsi scissi dall’essenza e dalle conseguenze di ciò che quello stesso uomo ha compiuto come monarca e governante. La grandezza dello stato non conta, quel che vale è il significato intrinseco di una carica e di una struttura politica che, nelle sue manifestazioni, riecheggia procedure ed echi imperiali che, onusti di più di 2000 anni, guardano con noncuranza al sedile frettolosamente destinato al presidente dell’attuale stato egemone. In tutto ciò, mentre l’ectoplasma di Stalin continua a chiedere di quante divisioni disponga un papa che, come rimarcato nel 1953 alla morte del dittatore sovietico, rammentava che dall’eternità dove stava lo poteva vedere da sè, il merchandising dell’emotività porta ad amplificare un naturale senso di distacco che trascura parrocchie esangui; come stigmatizzato da Lorenzo Vita, questa è un’era in cui i curiosi si confondono con i fedeli ed i turisti con i pellegrini, dove gite di massa in località montane abruzzesi trovano affinità con selfie da primo premio alla fiera campionaria dell’idiozia più animalesca, in una costante dimostrazione di abissali povertà d’animo. Ma è la politica che continua a diffondersi come fumate, nere o bianche si vedrà, in attesa di gridare una volta ancora il re è morto evviva il re; non a caso il Vaticano non si è mai occupato solo del trascendente, ma ha interpretato di sovente un ruolo fondamentale nell’ambito delle relazioni internazionali, data la sua natura super partes.

Nella macchia di colore colta dall’alto, di fianco al grumo scuro delle autorità civili, spiccava la porpora sanguigna dei principi della Chiesa, testimoni del miracolo millenario dell’esistenza della sopravvivenza di una struttura politica, la Chiesa Cattolica, che da 2.000 anni, affronta epoche e sfide, diffondendo un messaggio costante ed organizzando una burocrazia capillare ed una diplomazia capace di raggiungere ogni angolo del globo. Come accade con ogni fine, Papa Francesco ha acquietato il valzer delle opinioni, in un temporaneo cessare delle polarizzazioni che, inevitabilmente, riprenderanno a lievitare già dalla prima fumata, al netto del saldo tra pregi e difetti, in un declino che richiama il Tramonto dell’Occidente di Spengler.

Francamente, a fronte di talune tematiche, viene spontaneo pensare che, se la santificazione divina è cosa già di suo oggettivamente difficile, lo è ancor di più in via laicale, non essendo sufficienti particolari titoli, men che meno quelli giornalistici di qualsiasi rango siano. Rimaniamo dunque su un secolarismo storico, magari meno gradevole ma più realistico e comprensibile, che poi è quello che vede insorgere via via le umane incertezze.

Sotto il papato di Bergoglio, la Chiesa cattolica ha visto ridursi i suoi numeri e si è fatalmente indebolita, risentendo delle variabili geo culturali non sempre ben interpretate. In Occidente il Vaticano stenta a trovare appigli con la quotidianità; negli USA, è assurto a simbolo di interpretazioni tradizionaliste affini alla visione di Vance, con possibili riavvicinamenti all’anglicanesimo; in Africa ed in America Latina la situazione è estremamente fluida, mentre con la Cina è addivenuto ad un entente cordiale pagato a caro prezzo. È proprio il rapporto con la Chiesa statunitense che si è logorato negli anni di pontificato bergogliano, un deterioramento manifestatosi con la creazione di una sorta di chiesa parallela anima di uno scisma improprio perché non coinvolgente la Chiesa, desiderata tradizionalista e conservatrice, ma il suo capo.

È un quadro poco attraente per il successore venturo che, in un’Europa che non ha desiderato che tenui richiami alla sua storia intessuta alla religione, dovrà incentivare una difficile nuova spinta vocazionale. Se si passa la battuta, un miracolo, per un’organizzazione abituata a ragionare in termini millenari secondo una geopolitica ecclesiale che necessita di tempistiche diverse ma che non può non tenere conto dei giochi politici tratteggiati da The Remnant Newspaper, che si pone più di un dubbio sulla capacità di sopravvivenza petrina, e che divide in un possibile emiciclo le posizioni più liberal o più conservative in procinto di scontrarsi, in un contesto in cui Papa Francesco ha polarizzato le posizioni, creando cardinali potenzialmente in grado di caratterizzare il conclave.

Come in ogni organizzazione politica, ci sono dunque correnti, per cui c’è da attendere per comprendere chi regnerà e chi sarà destinato al vassallaggio. Al momento della sua elezione, a Bergoglio sono stati affidati diversi compiti istituzionali, non tutti portati a compimento. Se è vero che ex cathedra, come cantava Caterina Caselli, Nessuno mi può giudicare nemmeno tu, nel cosiddetto ordinario anche il papa può essere criticato, uno dei punti di faglia che divide la Chiesa e che porta alla formazione di fazioni, non sempre rispettose del principio di proporzione o efficacia.

Per rimanere sul politico, la Chiesa propone una visione geopolitica che si estrinseca nell’ambito del soft-power; il Vaticano cura uno sguardo globale in un mondo globalizzato, dove la sua diplomazia non utilizza categorie morali, ma concreto realismo, laddove la politica è caratterizzata dal multilateralismo più che dal bilateralismo e dalla politica delle porte aperte con tutti, così spalancate da rendere talvolta difficile distinguere le differenze rendendo inefficace l’azione diplomatica stessa. La geopolitica di Papa Francesco attiene dunque ad una realtà non eurocentrica o unipolare di stampo westfaliano, ma multipolare, in cui si auspicherebbe la coesistenza di diverse identità nazionali, etniche, religiose. Cosa non facile, visto il fallimento della missione del cardinale Zuppi in Ucraina e Russia, che ha portato a chiedersi come sia stata stabilita e con chi, la politica estera della Santa Sede.

La Chiesa si muove in diverse dimensioni: politica, finanziaria, sociale, cercando di applicare ovunque gli stessi precetti con la stessa interpretazione delle fonti secondo un’unica gerarchia; cosa abbastanza aleatoria, visto che se anche la teologia non tiene conto della geografia, contesti culturali e politici non omogenei sono destinati ad influire sulle scelte di appartenenza politica. Nel continente americano la religione è da sempre elemento politico, ed oggi vedere un nord a maggioranza protestante ed un Sud latino e cattolico non è più reale date migrazioni e cambiamenti politici. Comprensibile dunque la difesa dell’ortodossia di Papa Ratzinger post tentativo di avvicinamento dem americano all’Islam1, per puntare ad est, disegnando un’ipotetica idea religiosa euro asiatica. Papa Francesco si è mosso politicamente invece verso il sud globale. Mentre il Nord America puntava ad un papa riformista, Francesco andava oltre, verso il terzomondismo e ad una sua visione di capitalismo inclusivo. Mentre Ratzinger ha geopoliticamente rimarcato il legame tra tradizione cattolica e identità europea, Bergoglio ha disegnato un nuovo limes nella geografia vaticana del potere. Ricordando quanto detto in occasione dell’ascesa dell’ISIS, configurando una terza guerra mondiale combattuta a pezzi, per spostarsi poi verso la chiesa nazionale cinese, ci si potrebbe chiedere quanto ciò abbia influito positivamente nella diffusione del messaggio evangelico o se, invece, non abbia privato di significato il nucleo cattolico occidentale impoverito dalla secolarizzazione. Ecco allora pensare a Bergoglio non come al papa degli ultimi ma della transizione verso una Chiesa più tradizionale, ora tuttavia più debole e divisa ed in difficoltà nell’opera di mediazione politico-diplomatica2, dove la sua politica estera deve comunque intendersi rivolta a promuovere i propri interessi, né più né meno come accade per qualunque altro Paese, ma con risultati poco brillanti, basti volgersi a Pechino3, dove esiste l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi sottoposta al potere del PCC, o alla gestione con i rapporti (peggiorati) con le chiese ortodosse, salvo schierarsi con la Chiesa russa in occasione del conflitto ucraino.

Concludendo, la Chiesa cattolica si è indebolita, sia per effetto dell’aggravamento della situazione internazionale, sia per movimenti interni che contestano la politica della Chiesa stessa e che, negli USA, hanno contribuito all’elezione di Trump, evento decisamente inusuale ma che indica che i fedeli non seguono più le indicazioni vaticane. Difficile tornare indietro, tanto da far pensare ad altro papa di transizione, di compromesso, che lavori per la ricomposizione del quadro generale, rivedendo diversi pontificati, non solo quello bergogliano, visto che il Concilio Vaticano II ha introdotto una democratizzazione tale da indurre ciascuno a ritenersi libero di criticare ed agire. La forza politica della Chiesa comunque ancora esiste e pulsa, basti vedere il parterre dei capi di Stato alle esequie di Francesco, una forza tuttavia resa incerta sia all’interno sia in politica estera.

Si apre un Conclave apparentemente difficile, per cui alcuni si augurano tempi più lunghi quale segnale di ponderazione; ci sono posizioni polarizzate, ma c’è anche un congruo numero di porpore che ancora ondeggia, mentre mancano cardinali espressione di realtà storicamente e strategicamente importanti come Milano, Palermo, Venezia, Parigi, un evidente errore di valutazione.

Attenzione però, perché il calice potrebbe essere anche più amaro: sarebbe infatti poco saggio dimenticare il peso finanziario statunitense sull’obolo di San Pietro. Il tempo delle decisioni e della futura condotta politica è probabilmente già iniziato prima ancora delle esequie di Francesco.

1 Vd. discorso di Obama ad Al Azhar

2 Vd. supervisione del negoziato tra Cuba e USA; insuccesso nella mediazione tra Maduro e l’opposizione venezuelana; difficoltà in Sud Sudan e nella Repubblica democratica del Congo; appelli inascoltati per la Palestina, per i Rohingya.

3 Nel giardino della scuola centrale del PCC si trova la tomba di Matteo Ricci, missionario gesuita italiano morto nel 1610, dopo essere stato ammesso alla corte dell’imperatore Ming, Wanli. La Cina indicata tra le delegazioni partecipanti al funerale di Francesco non è la Repubblica popolare, ma Taiwan.

Foto: presidenza del consiglio dei ministri