Operazione Am Kalavi: “meglio prevenire che curare”

Con l’Operazione “Am Kalavi” (Leone nascente), Israele ha colpito gli impianti nucleari iraniani di Natanz, Fordow, i numerosi quartieri strategici e zone residenziali di alto profilo, tra cui Qeytarieh, Niavaran, Chitgar, Mehrabad, Narmaq, Saadat Abad, Andarzgoo, Sattarkhan, Shahrak-e Mahallati, Shahrak-e Chamran, Kamraniyeh, Farahzadi, Ozgol, Marzdaran, e decapitato i vertici militari di Teheran, uccidendo i generali Hossein Salami (comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica) e Mohammad Bagheri (capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Iraniane), nonché Ali Shamkani, consigliere di Khamenei e Mohammad Mahdi Tehranchi, scienziato coinvolto nel programma di sviluppo nucleare.
Gli iraniani hanno già annunciato rappresaglie, con i primi droni che sono stati lanciati e abbattuti sui cieli della Giordania, così come è altamente probabile che gli israeliani continuino l’operazione e che, anzi, essa abbia risvolti sul terreno e non solo nei cieli.
Che qualcosa stesse per accadere era stato abbastanza palese nei giorni scorsi, quando gli Stati Uniti avevano rapidamente spostato da altre aree sistemi antiaerei in Medio Oriente, nelle vicinanze delle proprie basi militari e che potrebbero servire non solo a tutelare le proprie infrastrutture ed il proprio personale, ma anche a contribuire alla difesa del territorio di Israele, qualora l’offensiva iraniana sia abbastanza massiccia e radicata da mettere in crisi il sistema di difesa multilivello di Tel Aviv.
Ad operazioni militari ancora in corso è complesso e inopportuno trarre conclusioni, ma sotto il profilo politico appare abbastanza evidente che Israele non potesse accettare supinamente la linea impartita dagli Stati Uniti circa la fase negoziale con l’Iran sul nucleare. Secondo le indiscrezioni uscite sulla proposta americana presentata a Teheran, Washington era disposta ad accettare un livello di arricchimento dell’uranio al 3%, quindi per esclusivo uso civile.
Secondo Tel Aviv, questa percentuale avrebbe comunque consentito agli iraniani di proseguire sulla strada del loro programma nucleare che è, per giunta, uno degli obiettivi strategici dichiarati di Teheran, come ha confermato anche il presidente Massoud Pezeshkian.
Da questo punto di vista, le tesi di Washington sulla necessità di negoziare e la strategia secondo cui “Israel must be like a mad dog, too dangerous to bother” (come sintetizzò lo storico ministro della Difesa israeliano Moshe Dayan) portata avanti da Tel Aviv sono inconciliabili. Specie perché la minaccia percepita del programma nucleare iraniano è molto forte in Israele e i tentativi di “appeasement” fatti dagli USA anche negli anni scorsi e che, è bene ricordarlo, sono stati costellati di fallimenti, non generano di certo fiducia nei vertici politico-militari dello Stato ebraico.