Con la cerimonia di ieri a Palazzo Guidoni si è ufficialmente insediato l’ammiraglio di squadra Giacinto Ottaviani come primo direttore nazionale degli armamenti. Un passaggio che segna l’avvio operativo della nuova direzione nazionale degli armamenti, organismo voluto per separare le funzioni di procurement e innovazione tecnologica da quelle del segretariato generale della difesa. Una svolta organizzativa che va ben oltre la ridefinizione degli organigrammi: siamo di fronte a un cambio di paradigma, che punta a trasformare la filiera tecnico-industriale della difesa in uno strumento più rapido, integrato, strategico.

Il ministro della difesa Guido Crosetto, intervenuto alla cerimonia, ha evidenziato il momento cruciale che il Paese sta attraversando: “È il momento del cambiamento. Difesa e industria della Difesa devono accelerare radicalmente. Innovazione tecnologica, capacità produttiva e agilità amministrativa devono diventare i pilastri della strategia nazionale. Viviamo tempi difficili, che esigono risposte forti. L’Europa ha bisogno di un’Italia forte. E noi dobbiamo fare la nostra parte, senza timore. La nostra industria è forte, la nostra competenza è riconosciuta. Dobbiamo solo crederci e lavorare insieme, uniti”. Non è una retorica dell’emergenza, ma la constatazione pragmatica che l’Italia – come l’intera Europa – sta affrontando una nuova epoca di instabilità e confronto geopolitico in cui la capacità di risposta dipende ormai dalla rapidità con cui si passa dall’idea all’applicazione, dal progetto alla disponibilità operativa.

L’istituzione della direzione nazionale degli armamenti risponde alla necessità di concentrare in un’unica figura autorevole e tecnica il governo dell’intera catena dell’approvvigionamento e dello sviluppo dei sistemi d’arma. L’obiettivo è rafforzare la governance, accelerare i processi decisionali, ridurre i colli di bottiglia amministrativi e garantire una gestione più integrata delle risorse e dei programmi. In sintesi: rendere l’apparato militare più pronto, flessibile e tecnologicamente competitivo.

L’ammiraglio Ottaviani è il profilo adatto per affrontare questa sfida. Classe 1964, ha maturato una lunga esperienza sia in ambito operativo – al comando di unità navali anche in contesti NATO e anti-pirateria – sia in ruoli direttivi e strategici. Ha gestito la formazione cyber della Difesa, diretto la politica del personale militare e ha un solido background accademico: laurea in fisica, MBA della Boston University, master in strategia globale e sicurezza alla Sapienza di Roma. Non è un funzionario prestato alla tecnica, ma un ufficiale con visione sistemica e competenze manageriali. Esattamente ciò che serve in una struttura chiamata a coniugare capacità industriali, innovazione e strategia.

La sfida che attende la nuova direzione è colossale: in un contesto in cui le minacce si evolvono più velocemente delle dottrine, occorre anticipare i bisogni operativi con cicli di sviluppo più brevi, più interconnessi con il settore privato e meglio integrati con le esigenze delle forze armate. Droni autonomi, intelligenza artificiale, guerra elettronica, armi ipersoniche: la corsa è già in atto, e l’Italia non può permettersi di restare spettatrice. Serve un centro nevralgico capace di coordinare ricerca, sviluppo e procurement con una visione d’insieme.

La direzione nazionale degli armamenti dovrà essere, nelle intenzioni del ministro e del governo, proprio questo: un laboratorio strategico dove si elabora pensiero, si sviluppa tecnologia e si realizzano capacità operative coerenti con gli scenari futuri. Non più un meccanismo passivo di acquisizione, ma un attore propositivo, collegato con l’industria, con l’Europa e con l’Alleanza Atlantica.

Tuttavia la questione non si esaurisce nei confini nazionali. In un mondo in cui saranno i colossi geopolitici a confrontarsi – Cina e Stati Uniti in primis, ma anche Russia, India,… – la dimensione nazionale di un singolo Paese europeo non ha la massa critica, né i fondi, per reggere il confronto in solitaria.

Il dato più eloquente? L’Europa ha fino ad oggi mantenuto in parallelo oltre 160 sistemi d’arma principali. Gli Stati Uniti? Circa 30. Una moltiplicazione inefficiente che genera costi spropositatidispersione di risorseincompatibilità operative e tempi infiniti di sviluppo.

Se il nuovo ruolo della direzione nazionale degli armamenti sarà quello di rendere più efficiente e reattivo il sistema italiano, resta il nodo continentale: o l’Europa sceglie di adottare programmi e progetti comuni, o continuerà a inseguire, divisa e distante, un mondo industriale avanzato che forma alleanze per vincere singoli bandi di gara.

Negli Stati Uniti, ogni grande programma prevede la formazione di alleanze tra aziende concorrenti: si uniscono per vincere, ma gareggiano per convincere. Una competizione sana, che alimenta innovazione e riduce sprechi. Eppure, lo stesso principio veniva attuato anche nell’Unione Sovietica, dove più uffici di progettazione lavoravano sul medesimo requisito operativo: a prevalere – in teoria – era il progetto tecnicamente migliore, più funzionale, più efficace. Se il sistema è sano, la concorrenza porta al prodotto migliore. Se invece è viziato da logiche opache o antichi favoritismi, il risultato è un’arma inefficiente, un programma in ritardo, una strategia mutilata.

La nomina dell’ammiraglio Ottaviani è dunque più di un avvicendamento: è un primo passo concreto verso un’Italia – e auspicabilmente un’Europa – capace di trasformare l’ambizione strategica in capacità reale.

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