Della NATO si parla ad ogni piè sospinto da ogni analista o pseudo tale, peggio da parte di decisori o pseudo tali.

Le attuali diatribe e valutazioni in merito alla NATO sono viziate dalla mancanza di memoria (e spesso di logica) dalle due parti dell’Atlantico, maggiormente da parte europea, con una posizione diversa e sempre più sfumata a seconda della distanza di un’ipotetica linea del fronte (variabile anch’essa).

La mancanza di memoria e la scarsa conoscenza delle dinamiche (e della situazione pregressa) hanno un peso sulle decisioni da prendere in materia di Difesa Comune (europea o ancora “occidentale”?)

Le origini

Gli Stati Uniti, derogando da una prassi, anzi un credo”, che ha sempre previlegiato i rapporti bilaterali (l’esempio per eccellenza è l’ottocentesca “alleanza eterna” con la Francia, il cui simbolo, deviato nel tempo, è stato la Statua della Libertà) accettarono di firmare il Trattato dell’Atlantico del Nord, nell’aprile del 1949, solo su forte sollecitazione dei partner europei, che temevano l’espansionismo sovietico dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Inizialmente era stato concepito come un trattato di sicurezza collettiva, non come un’alleanza o un’organizzazione permanente.

La situazione cambiò in seguito all’invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord nel 1950 (che, formalmente portò a una mobilitazione e da una partecipazione mondiale a fianco degli USA, con casi estremi come una forte presenza colombiana ed una, del tutto dimenticata e molto marginale, dell’Italia).

Quell’attacco servì ad avvertire che l’Unione Sovietica avrebbe potuto colpire la NATO con poco o nessun preavviso.

I responsabili politici statunitensi, ancora freschi e memori delle vicende che avevano coinvolto e portato alla partecipazione USA nella Seconda guerra mondiale, anticipando quelli europei si resero conto che una deterrenza e una difesa efficaci richiedevano più di un impegno scritto, soprattutto un organismo politico in grado di mobilitare rapidamente – in caso di attacco a sorpresa – forze permanenti mantenute previamente sotto un comando comune.

Fu così che il Trattato del Nord Atlantico si evolse nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico.

Gli Stati membri nominarono dei rappresentanti permanenti nel Consiglio del Nord Atlantico, l’organo di governo della nuova organizzazione, e concordarono di creare una struttura di comando militare integrata, guidata da un comandante supremo (… e per ricordare il peso attribuito a questa funzione la prima nomina ricadde, all’inizio del 1951, sul generale “vincitore” della guerra in Europa il generale Dwight D. Eisenhower, futuro presidente degli Stati Uniti,).

Da allora, la NATO ha organizzato la difesa collettiva attraverso un processo integrato, che prevede l’assegnazione a ciascun membro del tipo di capacità che deve procurarsi e dispiegare.

Sebbene i membri siano responsabili del pagamento e della messa in campo delle proprie forze armate, il comando congiunto pianifica, addestra e, se necessario, comanda le operazioni della NATO.

Fondamentale ricordare che in termini di credibilità e prontezza, il deterrente reale della NATO è costituito dalle armi nucleari statunitensi, comprese quelle dispiegate in Europa e condivise con le forze alleate.

La pianificazione e le operazioni di difesa integrate hanno guidato i Paesi della NATO per oltre sette decenni, ma questo approccio ha funzionato solo perché gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo unificante (ma anche dominante …). Le forze terrestri, navali e aeree degli Stati Uniti hanno svolto (ed ancora svolgono) molte delle funzioni militari critiche dell’alleanza ed al riguardo basti pensare ai componenti principali della rete di difesa aerea integrata, che protegge i cieli europei, le reti di comunicazione e le capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione.

In cambio della disponibilità di questo ombrello di sicurezza, gli Stati Uniti chiesero ai partner della NATO di integrare pienamente le loro forze armate sotto la guida di militari statunitensi che hanno sempre occupato posizioni chiave nella struttura di comando della NATO, con il capo del comando europeo degli Stati Uniti nel ruolo di comandante supremo della NATO.

Una imposizione vessatoria per i paesi europei? Certamente no, visto che la maggior parte di essi, Germania (che ricevette i maggiori benefici) in testa, fu felice di farlo, considerando l’integrazione una forma di assicurazione concreta che gli Stati Uniti sarebbero intervenuti in loro difesa. La maggior parte ma non tutti, visto che la Francia di Charles de Gaulle, memore ed ancora impegnata in una visione coloniale ed autonoma dei propri interessi, non voleva delegare nulla in termini di relazioni estere e potere contrattuale, adducendo di non avere piena fiducia nel fatto che Washington avrebbe sempre condiviso gli interessi di sicurezza (e di potere) di Parigi.

Alla fine, la Francia non solo sviluppò una propria deterrenza, con proprie armi nucleari, ma nel 1966 lasciò la struttura militare della NATO, pur rimanendo membro dell’alleanza.

Sebbene la Francia sia stato l’unico paese europeo a desiderare autonomia decisionale e di deterrenza (motivata dai rancori della prima crisi israeliana e dalla crisi del Canale di Suez, alcuni sottolineano anche per la politica di esportazione della propria industria di difesa, con una marcata resistenza alla standardizzazione), non è stato l’unico paese a cercare una maggiore autonomia per le proprie forze armate.

Negli anni ’70, quando all’interno della NATO emersero divergenze sulla guerra in Vietnam, alcuni membri europei temevano di essere trascinati in una guerra che non ritenevano riguardasse la loro sicurezza.

All’inizio degli anni ’80, la ferma posizione del presidente Ronald Reagan nei confronti dell’Unione Sovietica ha generato crescenti timori che l’Europa potesse finire come una rovina fumante e irradiata in uno scontro tra Mosca e Washington, senza poi dimenticare che in tempi più recenti alcuni Paesi europei divergevano nettamente da priorità statunitensi quali la guerra in Iraq.

L’evoluzione e la transizione post-guerra fredda

Dopo la Guerra Fredda, l’Unione Europea ha svolto un ruolo chiave nell’indirizzare i membri europei della NATO verso una maggiore autonomia in materia di difesa e sicurezza, puntando ad una politica estera e di sicurezza comune che avrebbe dovuto comprendere anche una crescente dimensione della difesa.

Il Trattato di Lisbona del 2009 ha ulteriormente sancito un impegno di difesa reciproca, pur riconoscendo che per i membri della NATO l’impegno di sicurezza collettiva dell’alleanza sarebbe rimasto primario. Molta dottrina, per quanto utile, ma minimi effetti pratici.

Peccato che non possa esistere una Difesa Europea comune, unica, se non esiste una unione politica UE, come sin dall’inizio è stato dimostrato dal tentativo, fallito, dei padri fondatori con CED, la Comunità Europea di Difesa (Communauté Européenne de Défense, definizione dell’epoca rigorosamente in francese e non in inglese).

In teoria, gli Stati Uniti hanno accettato la necessità dell’Europa di assumere e svolgere un ruolo maggiore nella propria sicurezza, nell’ipotesi che una maggiore autonomia europea avrebbe portato a una più equa ripartizione dell’onere complessivo della difesa, obiettivo di ogni amministrazione statunitense dalla stessa fondazione dell’alleanza.

Washington, ovviamente, ha parimenti resistito a qualsiasi “innovazione” che potesse minare il ruolo guida degli Stati Uniti nella NATO o la posizione preminente dell’alleanza nella sicurezza occidentale.

Maggiori contributi europei alla difesa comune erano e sono auspicati – anzi sono sollecitati – ma dovevano e devono essere a sostegno della NATO e non di una struttura parallela e indipendente.

Nel 1998 il segretario di Stato americano dell’epoca, Madeleine Albright, avvertì che gli Stati Uniti avrebbero valutato qualsiasi sforzo europeo per la difesa dal punto di vista di quelle che vennero chiamate le “tre D” (Diminuzione, Duplicazione, Discriminazione):

  • nessuna diminuzione del ruolo della NATO,
  • nessuna duplicazione degli indirizzi e degli impegni per la difesa,
  • nessuna discriminazione da parte dell’UE nei confronti dei membri non UE della NATO quando si trattava di appalti per la difesa.

In funzione di questo qualsiasi ipotesi di istituire quartieri generali separati, forze armate “esterne” alla struttura mobilitabile dall’Alleanza o altre forme di autonomia da parte dei partner europei è stato sempre considerato – e liquidato – da Washington come incompatibile con il primato della NATO.

Casualmente (?) oggi nei due documenti pubblicati in sequenza ed in gran fretta dalla UE, ReArm Europe e Readiness 2030 c’è qualcosa di più di un vago riferimento al documento del 1998 della Albright.

Già allora, e nel fallace entusiasmo di una pace irreversibile e duratura dopo la altrettanto fallace sparizione della minaccia sovietica, la UE avrebbe dovuto interrogarsi, e forse negoziare, su una maggiore autonomia, sul fatto che la NATO servisse ancora e potesse sopravvivere senza quegli Stati Uniti che nel corso della storia dell’alleanza sono stati sia il suo principale membro che il principale fornitore di sicurezza: perché non è stato fatto?

Indipendentemente dagli shock e dalla distrazione dalla realtà che può generare l’elefante Trump in un palazzo di cristallo già in fragile equilibrio, la soluzione di una difesa UE totalmente autonoma oppure di una “europeizzazione” della NATO richiede tre elementi che attualmente scarseggiano:

  • denaro,
  • tempo
  • cooperazione statunitense.

Il costo per intraprendere questo cambiamento fondamentale richiederà un aumento significativo della spesa europea per la difesa – con i membri che stanziano “considerevolmente più del tre per cento” del loro PIL per la difesa, secondo recenti dichiarazioni del segretario generale della NATO Mark Rutte.

Anche con risorse sufficienti, tuttavia, per un’alternativa di Difesa Europea ci vorranno anni, se non oltre un decennio, per raggiungere le capacità necessarie, addestrare ed equipaggiare le forze e schierarle sul campo. Per questo motivo, l’Europa avrà bisogno della cooperazione attiva di Washington per spostare la responsabilità dagli Stati Uniti agli altri membri della NATO.

In alcuni settori, in particolare quello delle armi nucleari, non è chiaro se qualcuno trarrebbe beneficio da una transizione totale.

Teoricamente se gli Stati Uniti si ritirassero dalla NATO, sotto la spinta dell’amministrazione Trump. il trattato rimarrebbe in vigore per gli altri 31 membri ma in pratica il ruolo degli Stati Uniti nell’Alleanza sarebbe difficile da sostituire, soprattutto nei tempi brevi richiesti dalle contingenze attuali.

La pianificazione è preveggenza e precauzione: preso atto dei possibili cambi fondamentali dell’attuale politica estera statunitense, per il resto della NATO il passo più urgente è immaginare un futuro senza gli Stati Uniti e reinventare e posizionare l’alleanza per essere ancora credibile, a prescindere da ogni transizione.

Per farlo, i membri europei dovranno trovare più fondi, guadagnare tempo e assicurarsi comunque una (forte) misura di cooperazione certa e continua da parte degli Stati Uniti.

I leader europei hanno già deliberato più risorse, in parte reali in parte con marchingegni e possibilità/flessibilità di bilancio, esentando le spese per la difesa dalle restrizioni di bilancio ma da subito dovranno investirle nel tipo di capacità militari critiche che da tempo vengono fornite dagli Stati Uniti.

Dovranno anche fornire la maggior parte delle forze necessarie per difendersi e farlo nel giro di anni, non di decenni, proprio quando il problema del personale è uno dei fattori critici, dopo le dissennate politiche post-guerra fredda. Dopo 25 anni cambia un’intera generazione e le soluzioni su questo settore non si improvvisano neppure disponendo di grandi risorse finanziarie.

Un futuro solo di difesa Europea?

La Difesa Comune Europea non è una novità, non è un coniglio estratto dal cilindro di un avventizio prestigiatore politico, ma risale ai desideri ed agli obbiettivi de padri fondatori, nei primi anni ‘50 dello scorso secolo, quando la NATO era ancora un trattato di sicurezza collettiva.

La Comunità Europea di Difesa (CED, acronimo di Communauté Européenne de Défense) fu un progetto di collaborazione militare tra alcuni Stati europei proposto e sostenuto dalla Francia, nelle sue aspirazioni di “potenza vincitrice” e “guida di diritto” di un raggruppamento europeo ancora tutto da tratteggiare (e la Difesa ne sarebbe stato l’asse), più precisamente dal Primo ministro René Pleven, in piena sintonia con Alcide De Gasperi che assicurò la collaborazione dell’Italia, l’adesione del Benelux e una successiva ipotesi di estensione alla Germania Ovest, ancora oggetto delle clausole e delle misure del trattato di pace.

Il progetto fallì per implosione, per un ripensamento della Francia, con un cambio di governo sostanzialmente contrario all’allargamento della CED al “nemico storico”, la Germania, anche se ridotta alla Repubblica Federale Tedesca, allargamento che restituiva dignità e parità alla stessa Germania (riconoscimento che comunque la Germania ottenne dalla NATO a partire dal 1960).

In occasione del vertice dell’UE tenutosi all’inizio di marzo 2025, i leader europei hanno deciso di attivare un finanziamento (prestito) di 150 miliardi di euro, nebulosamente e sostanzialmente per le forniture e le produzioni legate alla difesa, di attenuare le rigide regole di bilancio europee limitano il disavanzo di bilancio dei membri dell’UE, stralciando le spese per la difesa e rendendo, potenzialmente, disponibili nei prossimi dieci anni altri 650 miliardi di euro, ulteriore debito non sempre sostenibile nella stessa misura e progressione da tutti paesi membri.

Queste risorse aggiuntive dovrebbero soddisfare i requisiti di forza della NATO, ma presuppongono un’unità politica e di gestione che non è ancora propria della UE.

Come minimo, gli Stati membri europei dovrebbero impegnarsi a fornire il 75-80% delle forze necessarie per attuare i piani di difesa regionale dell’Alleanza entro i prossimi primi anni ’30 e, a lungo termine, a fornire quasi tutte le forze.

Ciò comporterà lo sviluppo di capacità critiche – tra cui le comunicazioni satellitari e le difese aeree e missilistiche avanzate – per condurre operazioni di combattimento ad alta intensità e a lungo termine.

I governi europei dovrebbero anche raddoppiare il reclutamento, l’addestramento e l’esercizio proprio personale militare, in controtendenza con le politiche adottate negli ultimi devenni.

Un elenco di buone intenzioni, che pragmaticamente deve però prendere in considerazione che, anche disponendo di fondi e tempo sufficienti, questa transizione richiede il sostegno attivo di Washington.

È significativo che la Germania, che per lungo tempo ha speso relativamente poco per la difesa, forse il paese che ha più speculato sulla “partecipazione” USA nonostante sia la più grande economia europea, abbia fatto un importante cambiamento nelle proprie regole di spesa.

A marzo, il suo parlamento, tra l’altro in scadenza e con una maggioranza diversa dal subentrante, ha deciso di esentare le spese per la difesa, il finanziamento dei servizi segreti e gli aiuti all’Ucraina dai tradizionali rigidi vincoli di bilancio del Paese, una mossa che potrebbe incrementare fino a 400 miliardi di euro il budget della difesa nei prossimi anni.

L’Europa è comunque divisa su questi aspetti, quando non si tratti di debito comune, con governi sull’onda di quello tedesco ma ugualmente, come già citato, con altri governi perplessi nell’assumere in ulteriore debito su bilanci non proprio ottimali.

La genesi e l’evoluzione dei rapporti transatlantici

La NATO è diversa da qualsiasi altra alleanza militare, con responsabilità condivise tra i membri, ma dove gli Stati Uniti svolgono un ruolo centrale in ciascuna di esse.

Non solo sono stati e sono ancora il maggiore e più significativo contribuente militare dell’alleanza, ma hanno anche insistito a lungo affinché gli altri membri accettassero di integrare le loro capacità di difesa all’interno di questa struttura guidata dagli Stati Uniti, assicurando così che Washington controllasse il loro impiego nelle principali operazioni militari.

All’inizio degli anni ’90, c’erano voci che propendevano verso la graduale dissoluzione della NATO dopo la fine del Patto di Varsavia, in un cieco parossismo di pace irreversibile, mentre al contrario la Russia iniziava il suo percorso di revisionismo, evidenziatosi nel 2014, con l’occupazione della Crimea e del Donbas.

È stato il punto di svolta: la NATO non solo ha resistito, ma addirittura si è rafforzata, e lo ha fatto in termini di coesione, appartenenza e potere deterrente.

Con la nuova amministrazione USA è deflagrato un problema, di fiducia: per la prima volta, i leader europei non sono sicuri che gli Stati Uniti rimangano impegnati nella NATO e nel ruolo di leadership americano in essa.

Facendo necessariamente un piccolo passo indietro, rispetto alle contese ed accuse odierne, la storia è più complessa e sarebbe persino opportuno ricordare che Trump ha svolto un ruolo fondamentale nella difesa dell’Ucraina, tracciando la strada che poi Biden ha seguito.

Non è azzardato sostenere che l’Ucraina debba la sua sopravvivenza nei giorni critici dell’inizio della primavera del 2022 in gran parte al sostegno della precedente Casa Bianca di Trump (foto seguente).

Perché Washington vorrebbe ora abbandonare questa straordinaria storia di successo, una storia di determinazione e risolutezza combinata tra Stati Uniti e Ucraina nel sostenere e difendere i diritti sovrani di un Paese libero?

Anche gli Stati Uniti di Trump conoscono bene i pericoli di lasciare all’Europa il compito di affrontare la Russia o negoziare al riguardo, dopo i fallimenti del cosiddetto “processo di Minsk” nonché di quello dei cosiddetti “Quattro di Normandia”, il gruppo di contatto composto da Francia, Germania, Russia e Ucraina che si è riunito tra il 2014 e il 2022. Processi falliti, grande delusione sulle capacità europee, mentre il vuoto di leadership americano ha solo incoraggiato la Russia a un’ulteriore escalation, culminata nell’invasione del febbraio 2022.

Gli Stati Uniti sanno bene quali sono i pericoli di abbandonare l’Europa per affrontare la Russia.

Questi eventi ricordano fatalmente quelli di 30 anni fa, quando la sanguinosa guerra in Bosnia portò l’Europa a proclamare l'”ora dell’Europa“, che non portò a nulla, e solo attraverso gli accordi di Dayton del 1995 e si riuscì a raggiungere la pace.

Né la prima amministrazione Trump né l’amministrazione Biden hanno ripetuto l’errore commesso dalla Casa Bianca di Obama nel 2014: non hanno lasciato la risoluzione della guerra in Ucraina agli europei, ma hanno deciso di guidare un notevole sforzo internazionale a sostegno dell’Ucraina.

I precedenti dovrebbero far pensare che possa essere nell’interesse dell’Europa accogliere, in linea di principio, un impegno strategico degli Stati Uniti, che in realtà si frappone a un più ampio spostamento di Washington dall’Europa alla Cina.

Ma per avere successo, le due sponde dell’Atlantico devono colmare rapidamente l’enorme divario di fiducia.

La presenza militare statunitense in Europa è stata rafforzata negli ultimi anni, ma è ben lungi dall’essere pari alle centinaia di migliaia di soldati russi in Ucraina e nei distretti militari occidentali della Russia.

Persino l’amministrazione Trump, con la sua tracotanza, ha bisogno dei suoi partner europei (e nel caso specifico lo ha riconosciuto apertamente chiedendo alle forze europee di garantire o far rispettare un eventuale accordo sull’Ucraina).

Fiducia e solidarietà tra partner

L’America è stanca di sovvenzionare la libertà e la sicurezza degli europei mentre ‘Europa non si fida più dell’impegno di Washington per la sicurezza del continente.

Se gli Stati Uniti dovessero lasciare la NATO e ritirarsi dall’Europa in modo rapido e non coordinato, probabilmente crollerebbe la struttura integrata che è stata costruita nel corso di decenni, e che rappresenta la cultura e le fondamenta per una nuova forma di difesa efficace.

Pragmaticamente va preso atto che i Paesi europei semplicemente oggi non hanno le risorse militari e tecnologiche per sostituire immediatamente ciò che è stato fornito dagli Stati Uniti, proprio perché Washington ha chiarito loro per decenni che la costruzione di tali capacità era una duplicazione e uno spreco.

In alcuni settori, come quello delle armi nucleari, gli Stati Uniti potrebbero addirittura preferire di rimanere coinvolti nella NATO, se l’alternativa è che altri Paesi europei sviluppino le proprie capacità nucleari.

La contrapposizione, reale o pretestuosa, è oggi tra le due sponde dell’Atlantico, ma ci dimentichiamo, tutti, che in realtà gli Stati Uniti si sono posti per decenni, anche fisicamente, come potenza europea.

Se si esamina la storia e la traiettoria della NATO, si dovrebbe comprendere come l’America sia stata per decenni non un partner ma di fatto una potenza europea, stanziale: lo è ancora o può esserlo ancora?

Dietro le tensioni attuali (comprese quelle tra Washington e Kiev) si cela il ruolo dell’Europa nell’equazione della sicurezza.

L’opportunità di un dialogo e di una trattativa per ristabilire gli equilibri occidentali dovrebbe vedere gli europei non propensi a dare un calcio al tavolo ma abbastanza risoluti da affrontare Washington su un piano di reciprocità non conflittale, con accordi di pace (anche nel caso specifico dell’Ucraina) duraturi e sicuri, su questioni di sicurezza esistenziali per tutta l’Europa.

La domanda, pragmatica, a cui rispondere riguarda la Russia, e come affrontarla, sapendo che la Russia genererà, a catena, problemi di stabilità strategica, compresi quelle che riguardano le installazioni militari statunitensi in Europa.

L’Europa e gli Stati Uniti devono prepararsi a un processo lungo e difficile, spinoso e persino doloroso, per il quale non è sufficiente un nuovo tipo di leadership europea.

Per difendere i propri interessi strategici di sicurezza e ricostruire l’alleanza, le potenze europee devono dimostrare non solo di essere in grado di assumersi un onere più consistente, tale da rafforzare veramente il potere collettivo dell’alleanza, ma di essere anche capaci di ricondurre gli Stati Uniti al ruolo ed allo status di potenza Europea.

Non si tratta certo di una novità, visto che la stessa rivista Foreign Affairs in un fondo molto critico della situazione e delle posizioni attuali, ha ricordato come trent’anni fa il diplomatico Richard Holbrooke scrisse proprio per le sue pagine un saggio intitolato “America, una potenza europea” (e senza punto interrogativo).

Holbrooke prevedeva che “nel XXI secolo, l’Europa avesse ancora bisogno dell’attivo coinvolgimento americano che è stato una componente necessaria dell’equilibrio continentale per mezzo secolo”.

Il saggio si concludeva con un’affermazione profetica: “Il compito che ci attende è tanto scoraggiante quanto evidente la sua necessità. Distogliersi dalla sfida significherebbe solo pagare un prezzo più alto in seguito”.

Cosa fare e l’immediato futuro (dell’Europa e della NATO, non solo dell’Ucraina)

L’Europa ha bisogno degli Stati Uniti per porre fine alla guerra in Ucraina in modo definitivo, ma è altrettanto vero che gli Stati Uniti avranno bisogno dell’Europa per portare a termine con successo questo compito.

Non si può soltanto sperare che la Casa Bianca di Trump riconosca questa realtà, ma anche essere proattivi e non solo porsi caparbiamente a contrastare le azioni (e, perché no, gli apparenti capricci di Trump).

Far da soli, da ambo le parti, non è una soluzione, ma soprattutto non conviene a nessuna delle stesse parti

La difesa comune europea deve essere un’evoluzione meditata, e costruita su basi solide, premessa di quella costruzione europea che sin dall’inizio si erano prefissi i padri fondatori e si è arrestata alla creazione di una moneta unica, alla condizione di regolatore finanziario: la decisione per una difesa comune è un atto politico trascendentale e non può essere ricondotta a una frettolosa e quasi infantile e capricciosa ritorsione di un bimbo a cui è stato tolto l’accesso alla scatola delle caramelle o alla scatola dei soldatini.

L’America di Trump non è più quella che eravamo abituati a conoscere, quella a cui magari pensavamo di poter sempre ricorrere: semplicemente, ed ancora forse, perché non è più quella grande corazzata che è stata in grado di dare sicurezza al mondo libero e, al tempo stesso, contrastare i suoi terribili nemici.

Non è la corazzata che ha perso valore, siamo noi che siamo cresciuti e possiamo e dobbiamo stare al passo della corazzata.

Se consideriamo i costi, la libertà ha un costo, la sicurezza un costo aggiuntivo, la verità è supplemento a tariffa, la leadership o, se si preferisce, l’egemonia è un lusso con un costo ancora maggiore quale optional esclusivo.

Un lusso con un costo tale da apparire esorbitante.

Se così fosse si spiegherebbero, almeno in parte, le tante stranezze e giravolte dell’amministrazione Trump; occorre comunque evitare di chiudere un ombrello che seppur usurato ed un po’ stretto ci ha protetto per molto tempo ed oggi appare tenuto con mano malferma dal proprietario: occorre trovare un rifugio diverso per ripararsi dai pericoli che incombono sulla situazione internazionale, essendo riconoscenti e offrendo spazio anche al proprietario dell’ombrello, sempre utile con il suo usurato strumento quando si deve tornare all’aperto.

Foto: NATO / web / U.S. DoD / presidenza del consiglio dei ministri / European Union / The White House / U.S. Army

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