La storia si ripete, almeno quando si parla di riconversione industriale per ‘necessità’ belliche. Un esempio lampante è l’industria automobilistica italiana, che attraversa una crisi profonda. A offrire una possibile soluzione potrebbe essere il provvidenziale “dual use” dell’industria civile a favore delle esigenze militari, un parallelismo che abbiamo imparato a conoscere durante l’epoca del Covid. Un caso emblematico del vuoto produttivo è quello di Lancia, un tempo sinonimo di innovazione e prestigio, che oggi ha in produzione un solo modello: la Ypsilon.
Non sarebbe la prima volta: basti pensare a Bolzano, terra di IDV, dove nel 1939 l’allora stabilimento Fiat si convertì alla produzione di autocarri militari. Oggi, le nuove iniziative puntano a integrare il settore automotive con quello della difesa e dell'aerospazio. Una strategia ispirata a modelli esteri, come quello tedesco, che potrebbe rappresentare una risposta efficace e, in un certo senso, anche una forma di "welfare" industriale (se mi si passa il termine) per affrontare le sfide di un mercato poco florido.
Memoria corta e nuove generazioni
Prima di approfondire l’alleanza tra gli interessi dell’industria civile e le necessità militari, è doveroso soffermarsi su un aspetto fondamentale: i giovani.
A ottant’anni dalla Seconda guerra mondiale, il modus operandi non è cambiato di molto, ma è la memoria a pagare il prezzo più alto. Al di là delle strategie messe in campo in queste circostanze tutt’altro che serene, fa riflettere il fatto che molte nuove generazioni – e forse non solo loro – non abbiano una reale percezione del drammatico periodo storico che stiamo vivendo e verso cui ci stiamo dirigendo.
Serve davvero una guerra per ricordarci che la libertà non è mai scontata? Nel frattempo, pochi miliardari emergono come i nuovi registi della politica globale, aggirando gli Stati e le loro regole, inclusa la libertà d'informazione, pilastro della democrazia. Un merito di Trump? Aver, paradossalmente, spinto l’Europa verso una maggiore unità. Sarà così?
Il piano italiano tra automotive e difesa
Il governo italiano sta sviluppando un piano per integrare i settori automotive, difesa e aerospazio, un progetto ambizioso che, vista la crescente spesa per il riarmo, solleva anche la necessità di valutare altre priorità per il Paese.
Secondo il ministro dell'Industria, Adolfo Urso, il piano sarà presentato a giugno e punta a rilanciare la produzione di componenti e lavorazioni meccaniche, in un contesto di forte calo della produzione automobilistica nazionale.
L'iniziativa punta a prevenire la chiusura di stabilimenti e la perdita di posti di lavoro, offrendo alle aziende italiane un'alternativa al declino dell'automotive, sfruttando le competenze del settore per rispondere alle esigenze della difesa, in linea con gli investimenti europei nel militare.
Per rendere meno amara la pillola dei miliardi spesi in armamenti, si potrebbe pensare che un'industria italiana in crescita porti benefici economici (dazi permettendo). Tuttavia, i dubbi restano molti.
Tank e Blindati sulle linee di Panda e Ypsilon?
Per completezza, va evidenziato un quadro un pò diverso dall’ottimismo governativo. Il CEO di Leonardo, Roberto Cingolani, considera irrealistica una riconversione totale dall’auto ai carri armati, ammettendo solo possibili collaborazioni su componenti (come menzionava Adolfo Urso), ma senza effetti decisivi. Questo smentisce l’idea (e i proclami) che la difesa possa risollevare l’automotive, rendendo la proposta più una giustificazione che una soluzione concreta. Intanto, il settore ha registrato un crollo del 63,4% a gennaio 2025 e una flessione del 15,4% nella produzione di componenti.
Il modello tedesco: Volkswagen e Rheinmetall
Anche in Germania, il gruppo Rheinmetall sta valutando la possibilità di acquisire impianti automobilistici per convertirli alla produzione di equipaggiamenti militari. Il CEO, Armin Papperger, ha indicato che lo stabilimento di Osnabrück di Volkswagen sarebbe "molto adatto" per la produzione di veicoli blindati Lynx, a condizione di ricevere ordini per almeno 1.000 unità.
Volkswagen, da parte sua, sta esplorando la possibilità di fornire motori e trasmissioni per veicoli militari, pur riconoscendo che una completa conversione alla produzione bellica richiederebbe anni. L'industria automobilistica tedesca sta chiaramente cercando nuovi sbocchi per affrontare le sfide del mercato attuale.
Il caso Iveco e il ruolo della famiglia Agnelli
Il caso Iveco e il ruolo della famiglia Agnelli sollevano alcune perplessità. Exor, la holding degli Agnelli, sta valutando la separazione della divisione difesa di Iveco, forse in vista di una futura vendita, nonostante in passato abbiano cercato di cedere l'intera azienda al gruppo cinese FAW, operazione poi bloccata dal governo Draghi per motivi di sicurezza nazionale. Ciò suscita interrogativi sul reale interesse degli Agnelli per il settore militare, mentre altre aziende tedesche investono sulla difesa.
Sul fronte Stellantis, il governo italiano ha stanziato 2 miliardi di euro per sostenere l'azienda nel 2025, riducendo però i fondi per l'intero settore automobilistico di 4,6 miliardi fino al 2030, suscitando polemiche su perché Stellantis riceva aiuti mentre altre aziende italiane no.
L'Italia seguirà il modello tedesco?
Il piano del governo italiano tuttavia, sembra ispirarsi a quanto sta accadendo in Germania con Volkswagen e Rheinmetall. Se attuato correttamente, potrebbe salvare migliaia di posti di lavoro e rendere l'Italia più competitiva nel settore della difesa… e si spera non solo in quello.
La domanda è: le aziende "italiane", a partire da Stellantis e Iveco, saranno disposte a seguire questo percorso o lasceranno che siano altri – tedeschi o americani – a cogliere questa opportunità?