Come cambia il cambio: l’evoluzione dell’automatico tra civili e militari
Nelle trasmissioni automatiche moderne si gioca una partita di ingegneria raffinata, dove la potenza del motore deve arrivare alle ruote senza interruzioni, perdite o scossoni.
Il non plus ultra si raggiunge con i veicoli elettrici, dove la continuità della coppia è naturale. Un equilibrio fondamentale non solo per le auto civili, ma anche per i veicoli tattici leggeri, oggi sempre più automatizzati.
Prima di entrare nella parte più tecnica – un argomento che non si esaurisce certo in due pagine – è utile comprendere perché un tema così specialistico trovi spazio su una testata della difesa.
All’inizio del nuovo millennio, anche in Italia, si è assistito a un graduale stravolgimento del modo di guidare: molti automobilisti hanno iniziato a muoversi senza sapere esattamente “che cosa” facesse muovere la propria auto. Forse non tutti erano pronti, ma tecnologia, normative e aumento del traffico hanno favorito la diffusione delle trasmissioni automatiche.
Da lusso per pochi a tecnologia per tutti
Un tempo, il cambio automatico era riservato alle ammiraglie – magari tedesche – o a qualche berlina di scarso rendimento.

In venticinque anni, però, anche il concetto di trasmissione automatica tradizionale è cambiato, diventando un sistema complesso, tecnologico e spesso poco conosciuto perfino da chi guida mezzi militari. Infatti con il termine automatico comprendiamo, coerentemente anche a livello di immatricolazione, tutto ciò che il conducente non deve più fare.
Tra le molte soluzioni oggi in circolazione, le trasmissioni che più si avvicinano, per utilizzo e comportamento, al sistema idraulico tradizionale sono i doppia frizione – come i TCT e i DSG.
Prendiamo ad esempio Volkswagen e Audi, che dopo aver raggiunto l’eccellenza nei cambi a convertitore di coppia hanno scelto di adottare quasi ovunque i sistemi a doppia frizione DSG e S-Tronic. Una scelta coraggiosa e, per vincere la scommessa, il nuovo sistema doveva essere più rapido, leggero ed economico. In effetti ci sono riusciti, così come Fiat con il suo TCT, dopo i difficili anni del Dualogic, un cambio manuale elettroattuato di transizione.
Il convertitore al tramonto? L’evoluzione del lock-up
A questo punto viene spontaneo chiedersi: i cambi a convertitore di coppia sono ormai superati?
Assolutamente no, anzi si sono migliorati grazie alla riuscita dei doppia frizione. Il sistema idraulico resta indispensabile per veicoli – civili o militari – dove potenza e massa trovano più armonia nella pressione dell’olio (il classico “olio rosso”) piuttosto che nell’attrito di due frizioni o dei pacchi multidisco a bagno d’olio.
Durante le scalate (kick-down), le moderne centraline gestiscono la pressione della frizione di lock-up per modulare lo slittamento della pompa sulla turbina, garantendo controllo con dolcezza. Quindi la stessa pressione del lock-up può essere diversa in base al programma della centralina e alle condizioni imposte dal conduttore.
Per curiosità, è interessante ricordare che il primo concetto di lock-up nacque negli Stati Uniti nel 1950, con il Packard Ultramatic, dotato di una modalità “Direct Drive Clutch” che bloccava meccanicamente il convertitore di coppia in marcia alta.

Determinanti, in tutto ciò, sono i nuovi materiali d’attrito, i lubrificanti specifici e i sistemi di raffreddamento migliorati. Quindi prestazioni, consumi e velocità dei doppia frizione hanno stimolato un’evoluzione anche dei cambi idraulici (e del sistema lock-up) che oggi contano anche 10 marce per gestire più linearmente la coppia e il rendimento complessivo del veicolo.
Nello specifico, i cambi a doppia frizione (DCT) sono leggermente più rapidi nei passaggi di marcia (40–100 ms) rispetto agli automatici a convertitore di coppia (80–200 ms). Tuttavia i moderni ZF 8HP e Aisin 9/10 marce hanno ormai colmato il divario, e la differenza è inferiore a un decimo di secondo, quindi impercettibile su strada e rilevante solo in pista.
Sul piano del comfort, invece, il convertitore di coppia resta superiore: partenze dolci, nessuno strappo e ottima gestione nel traffico o in salita.
Un documento dell’U.S. National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA) mostra un’efficienza superiore del DCT del 5–8 % rispetto al convertitore, pur richiedendo un raffreddamento più preciso e manutenzione più programmata.
L’automatico per i lavori pesanti e militari
Il cambio idraulico resta quello che offre le maggiori garanzie di durata e affidabilità, soprattutto se ben mantenuto. Per questo è la scelta standard su carri armati e veicoli tattici pesanti.
Nei camion da cava, invece, si impiegano spesso cambi automatizzati con una prima marcia molto corta, studiata per ridurre lo slittamento della frizione sotto carico. Nei doppia frizione automobilistici, anche con partenze a pieno gas, la spinta iniziale viene rapidamente interrotta per il passaggio in seconda: una strategia utile a evitare surriscaldamenti.
Conoscere questi aspetti è fondamentale in un settore ancora poco compreso, dove un cambio guasto può fermare un lavoro o bloccare una missione.

Sebbene non esistano documenti ufficiali che lo certifichino, il principio del cambio autoadattativo – capace di variare la logica di cambiata in base allo stile di guida del conducente – nacque sui cambi idraulici (BMW) e fu poi trasferito ai DCT, dove è diventato parte integrante della gestione elettronica.
Negli Stati Uniti vince l’idraulico
Pur avendo contribuito alla diffusione dei sistemi a doppia frizione, gli Stati Uniti restano fedeli ai cambi idraulici, forti di una lunga tradizione e di un minor costo del carburante.
La vasta filiera produttiva legata a questi sistemi rende poco conveniente una conversione di massa verso i DCT, e le elevate masse dei pick-up favorirebbero un’usura più rapida delle frizioni.
Il comportamento dinamico, però, è simile: la vera differenza è che, in un cambio idraulico, si avverte il leggero “colpo” d’innesto della marcia, mentre in un doppia frizione no.
Tipologie e comportamenti a confronto
AMT (Automated Manual Transmission) è un cambio manuale automatizzato, dove attuatori elettrici o idraulici gestiscono frizione e innesti al posto del conducente. Il Dualogic di Fiat, pur con una diversa ghiera di comando, appartiene a questa categoria.
Dispone di una sola frizione reale e, a motore spento, resta chiusa come nei cambi manuali, motivo per cui non ha la posizione “P”: il veicolo si blocca con la marcia inserita e il freno di stazionamento.
Diffuso su city-car e modelli economici, privilegia la semplicità e il basso costo a scapito della fluidità di marcia.
Quindi l’AMT non è un vero automatico, ma un manuale gestito elettronicamente.

Tra gli automatici veri e propri rientrano anche i CVT moderni (Continuously Variable Transmission), che seguono un’altra filosofia: non usano ingranaggi, salvo un gruppo epicicloidale associato a una cinghia o catena metallica su due pulegge a diametro variabile.
Garantiscono una trasmissione continua e silenziosa, ideale per piccoli motori e veicoli ibridi, e in alcuni casi sono abbinati a un mini convertitore di coppia.
Oggi, nelle varianti ibride (no mild hybrid), sia i doppia frizione sia gli idraulici tradizionali integrano un “elettroconvertitore”, cioè un motore elettrico tra motore termico e cambio, che assiste o effettua le partenze recuperando l’energia in frenata.
E le supercar?
In realtà, anche le supercar utilizzano cambi lontanamente appartenenti alla famiglia degli AMT (Automated Manual Transmission), cioè manuali automatizzati raffinatissimi in cui frizione e innesti sono gestiti da sofisticati attuatori elettroidraulici.
La differenza è che, su queste vetture, il sistema è portato all’estremo per privilegiare prestazioni e reattività, più che comfort o morbidezza.
E se qualcuno ha ancora dubbi sulle supercar, basta dare un’occhiata ai loro cambi per capire che la parola automatico è tutta relativa – soprattutto se si guida con le palette al volante e non in posizione automatica.

Ferrari, Lamborghini e McLaren non utilizzano veri automatici, ma manuali automatizzati derivati da sistemi a doppia frizione o monofrizione elettroattuata, senza, ad esempio, la classica posizione “P” sulla ghiera delle marce.
In questi casi il sistema privilegia la continuità di coppia e la velocità di cambiata, garantendo tempi di passaggio nell’ordine dei millisecondi. Parlare di “automatico”, quindi, è vero solo in parte: la capacità del pilota resta centrale, mentre i sistemi adottati rappresentano un perfetto equilibrio tra meccanica da gara e praticità di guida quotidiana.
Foto: web / Mr.choppers / U.S. Marine Corps / Fiat / Ferrari
