Perché l’attacco USA all’Iran non è l’inizio della Terza guerra mondiale

C’è chi, dopo l’attacco USA alle installazioni nucleari iraniane di Fordow, Natanz ed Isfahan di ieri notte, denuncia l’allargamento incontrollato del conflitto in corso o addirittura preconizza, per l’ennesima volta negli ultimi 80 anni, l’inizio della terza guerra mondiale. Forse la situazione non è così drammatica.
L’azione USA (di cui peraltro ancora non è possibile sapere effettivamente quanto sia stata la reale efficacia) non era assolutamente inaspettata. Anzi, contravvenendo a qualsiasi prudenza che l’operational security imporrebbe prima di lanciare un attacco militare, gli USA hanno pubblicizzato oltre misura cosa stessero facendo. Trump, rischiando di fare la figura di un “re tentenna” qualsiasi aveva dichiarato che si sarebbe preso ben due settimane per decidere se intervenire o meno, esponendosi a una figura poco dignitosa per il Commander in Chief.
Il trasferimento dei bombardieri B2 da Guam a Diego Garcia (che ci si sarebbe aspettati fosse effettuato nella massima segretezza) è stato fatto trapelare ai media con dovizia di particolari. Contrasti (veri o presunti) tra Trump e Bannon in merito all’opportunità di intervento militare diretto USA sono stati ampiamente condivisi con la stampa.
Incompetenza? Forse no. Forse il POTUS1 voleva dare ancora una possibilità alla leadership iraniana di addivenire ad un accordo prima dell’intervento USA.
Intanto, come già evidenziato (leggi articolo “Israele sfida l’Iran: perché lo fa ora, e cosa vuole ottenere“) presumerei che, tramite appositi canali, Putin, Xi Jinping e Mohammad Bin Salman fossero stati preavvisati degli obiettivi dell’azione USA e dell’intenzione statunitense di non procedere, comunque, al di là di azioni limitate e chirurgiche di bombardamento. Al riguardo, peraltro, sembrerebbe che fosse stata informata in anticipo anche la leadership iraniana.
Certo, nelle trattative con i principali attori strategici interessati anche altre considerazioni o concessioni (es. in riferimento al conflitto in Ucraina, all’appoggio USA a Taiwan, ecc) possono aver avuto un peso non certo irrilevante.
Dubiterei, invece, che Trump si sia coordinato con l’UE, che lui ritiene un’organizzazione inutile, né con i principali leader europei. Forse il POTUS era anche indispettito dall’inconcludente incontro tenutosi a Ginevra tra il ministro degli esteri iraniano Abbas Araghchi e il quartetto rappresentato dai ministri degli esteri di E3 (Francia, Regno Unito e Germania) e l’Alto Rappresentante per la Politica Estera UE. Quasi a voler indicare che il problema del nucleare iraniano lo sta trattando lui in prima persona e che non gradisce che leader europei, che considera di secondo piano, si permettano di “disturbare il manovratore”.

Trump non è George W. Bush, è anni luce distante dalla sua vision di politica estera e non credo che azzarderebbe operazioni di terra (come fatto dagli USA in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003, con esiti peraltro disastrosi, di cui gli americani hanno sicuramente fatto tesoro negli ultimi vent’anni). Trump già durante il suo primo mandato aveva più volte utilizzato attacchi aerei per colpire obiettivi limitati in Medio Oriente2. Peraltro, anche in quelle occasioni lo fece senza chiedere alcuna autorizzazione al Congresso (cosa che sembra che oggi stia agitando alcuni politici USA). Però, quelle azioni chirurgiche non lo hanno mai portato a impegnare sul terreno truppe USA. Inoltre, è chiaro che gli USA non vorranno portare l’attacco ad un punto da rischiare un crollo disordinato del regime degli Ayatollah. È presumibile, invece, che puntino eventualmente ad un passaggio di mano del potere ad altri apparati dello Stato iraniano. Poteri probabilmente altrettanto liberticidi degli “uomini con il turbante”, ma solo meno ossessivamente anti occidentali.
Prevedibilmente, ci saranno condanne sino-russe in Consiglio di Sicurezza, dichiarazioni infuocate da parte delle leadership di molti paesi arabi, ma sarei tentato di escludere da parte di tutti questi interventi concreti di natura militare a fianco dell’Iran.
È, invece, sicura l’attivazione di tutti i proxi iraniani e delle organizzazioni filo-palestinesi per attaccare obiettivi ed interessi USA in tutto il globo.
Certo, gli Houthi in Yemen posson tentare di colpire le tante installazioni e forze USA in tutta la penisola Araba e nel Corno d’Africa. Ma non solo questo.
Gli Usa hanno una presenza militare ancora importante in Iraq nel contesto di “Operation Inherent Resolve”, coalizione a guida USA3 per il contrasto alla minaccia terroristica di Daesh e in Iraq l’influenza iraniana e dei Pasdaran è ancora molto radicata.
Inoltre, non si possono escludere attacchi terroristici da parte di gruppi islamisti anche sunniti contro obiettivi, interessi e personale USA in tutto il mondo (soprattutto in Africa e Asia, ma anche in Europa).
In Europa, in particolare, possiamo ritenere probabili azioni terroristiche contro obiettivi e interessi USA da parte di formazioni della composita galassia islamista4 o di tanti potenziali lupi solitari (i così detti “homegrown terrorists”) auto-radicatisi nella jihad. Attacchi che, in Italia, potrebbero mettere nel mirino le tante installazioni USA nel nostro paese, da parte di terroristi islamisti o anche da parte di rappresentanti della estrema sinistra nostrana (anarco insurrezionalisti, black block, centri sociali, ecc.)
Certo, non può essere del tutto escluso che l’Iran “direttamente” tenti una reazione militare contro gli USA. Mossa che riterrei suicida. Ciò potrebbe avvenire, però, solo contro assetti militari Usa in Iraq o navi Usa nel Golfo Persico o nell’Oceano Indiano.
Un attacco “dichiaratamente” iraniano a basi o istallazioni USA in Arabia Saudita, Kuwait, Qatar o Oman rappresenterebbe, invece, anche una violazione dell’integrità territoriale di tali paesi e non credo che l’Iran potrebbe permettersi di avere altri “nemici” nella regione. Inoltre, occorre tener conto che le capacità militari convenzionali iraniane (che già prima del conflitto erano rilevanti solo nel settore missilistico) sono ora consistentemente degradate anche nel settore missilistico.
Viene anche evocata la possibilità della chiusura dello Stretto di Hormuz, da dove transita in uscita tra il 20 e il 30% delle forniture mondiali di greggio. Tecnicamente ciò sarebbe possibile in quanto l’Iran, pur non possedendo una marina militare utilizzabile in un confronto classico con quelle di altri paesi, dispone di capacità (con barchini d’attacco, mine marittime, mini sommergibili e droni) comunque sufficienti per interdire il transito attraverso questo vulnerabilissimo e vitale choke point marittimo5 .
Però, tra i danneggiati (oltre a Arabia Saudita, Emirati ed Europa) ci sarebbe anche la Cina e forse Teheran avrebbe interesse a non compromettere la possibilità di un sostegno politico diplomatico di Pechino in questo momento delicato (momento in cui anche Mosca, a parte le dichiarazioni di circostanza, sembra guardare altrove).
In conclusione, la situazione è critica e l’Iran, anche per salvare la faccia della propria leadership di fronte all’opinione pubblica domestica, risponderà in qualche modo (presumo soprattutto tramite i sui proxi) ma l’attacco USA ai siti di Fordow, Natanz ed Isfahan non penso sia la scintilla per il tanto temuto “allargamento del conflitto”.
Occorre, però, rimarcare che spesso ci si allarma per le “dimostrazioni di forza” nelle relazioni internazionali. Sicuramente sarebbe più rassicurante un mondo ove le relazioni tra gli Stati fossero basate esclusivamente sul dialogo tra pari. Non sempre ciò avviene, purtroppo. Né forse potrebbe avvenire. Peraltro, normalmente le “dimostrazioni di debolezza” risultano più pericolose per la stabilità internazionale rispetto alle “dimostrazioni di forza”.
Più preoccupante sarebbe il caso in cui l’uso della famosa “superbomba” GBU 57 dovesse risultare non risolutivo per la distruzione delle installazioni di Fordow. Una simile evenienza comporterebbe due gravi danni per Washington. Da un lato, verrebbe minato il valore deterrente del principale mezzo di offesa convenzionale in possesso USA (evidenziando che, per determinati obiettivi, sarebbe inevitabile ricorrere a ordigni nucleari, sia pure “tattici”, di cui anche Russia e Cina dispongono in quantità). Soprattutto, però, gli iraniani avrebbero la possibilità di studiare e determinare con relativa precisione quali siano le “reali” potenzialità della “superbomba” che forse non sarebbe più considerata così “super”. Informazioni che sarebbero sicuramente rese disponibili a Cina, Russia e Corea del Nord. E questo sarebbe, secondo me, veramente preoccupante!
1 POTUS : acronimo per President Of The United States
2 Ad esempio il lancio di 59 missili Tomahawk contro la base aerea siriana di Shayrat il 7 aprile 2017 (in risposta al presunto uso di armi chimiche da parte delle forze di Assad a Kahn Shaykhun il precedente 4 aprile) o l’uccisione del generale Qaseim Solemani il 3 gennaio 2020 a Baghdad .
3 Coalizione cui partecipa, in Iraq, anche l’Italia con l’Operazione Prima Parthica a Erbil, oltre che nel contesto della NATO Mission a Baghdad. Contingenti per la cui sicurezza il governo italiano ha posto in atto determinate misure.
4 Uso il termine giornalistico “islamista” anziché “islamico” per distinguere chi professa una visione estremizzata e violenta dell’Islam dalla maggioranza dei fedeli di tale credo religioso.
5 Lo Stretto di Hormuz tratta è un braccio di mare largo meno di 40 km nel punto più stretto che separa l’Iran dalla Penisola Arabica. Diviso in due corsie di navigazione di circa 3 km in ogni direzione è l’unico passaggio marittimo tra il Golfo Persico e l’Oceano Indiano
Foto: U.S. Air Force / U.S. DoD