15/06/2015 - Esiste l’Iraq?

La domanda posta oggi lascia perplessi. Lasciava perplessi anche gli osservatori al termine del protettorato britannico, quando la fragile monarchia indipendente non sembrava in grado di dare continuità istituzionale a un Paese complesso, zip di demarcazione fra aree di forte contrasto.

Cuscinetto fra Arabi e Persiani, cucitura tra Sunniti e Sciiti, frontiera Sud del popolo curdo e nazione araba più popolosa ad affacciarsi sul Golfo Persico, è da sempre dinamite pronta a saltare.

L’essenza dell’unità irachena è stata però sempre funzionale, fosse solo per un paragone con le società più occidentali.

Pensiamo alla Storia. Vicino a Baghdad c’è Babilonia, città biblica nemica del Dio d’Israele e nota per la vita dissoluta. Così dissoluta che in italiano antico Baghdad era tradotta Baldacca, da cui baldracca.

I Giardini Pensili, i Sumeri, gli Assiri… fin da bambini mangiamo pane e Mesopotamia, la terra tra Tigri ed Eufrate che corrisponde più o meno all’Iraq di oggi.

Causa Isis, è tornata alle cronache anche Ninive, 500 km a nord di Baghdad, presente nella nostra vita più di quanto crediamo.

La capitale assira era la destinazione prevista da Dio per il profeta Giona che però si ribellò, puntò ad Ovest e s’imbarcò a Giaffa (la città israeliana dei pompelmi). Dio s’infuriò e scatenò una tempesta, placata solo quando i marinai lo lanciarono in mare. Giona fu così ingoiato da un grosso pesce per essere poi perdonato da Dio e risputato. Da questo evento biblico sono nati due fatti:

  • Collodi inventò la balena di Pinocchio
  • Essere un Giona, secondo la tradizione marinaresca, significa portare sfiga.

Pinocchio e balene a parte, potrebbe essere sufficiente questo richiamo ai libri antichi per riconoscere una terra al di là della retorica araba degli ultimi mille anni. Quando Saddam Hussein nel 1991 prese a lanciare Scud su Israele non s‘ispirava a leader arabi o islamici, tant'è che il suo richiamo improvvisato alla guerra santa fu preso a pernacchie dagli imam di mezzo mondo. Pensava viceversa a Nabucodonosor, re babilonese che conquistò Gerusalemme e ne distrusse il Tempio 1500 anni prima dell’arrivo degli Arabi. Non a caso una divisione motorizzata della Guardia Repubblicana irachena prendeva il nome dell’antico sovrano.

Che Nabucodonosor avesse ispirato anche Giuseppe Verdi per il Nabucco, lascia il tempo che trova. A noi interessa sottolineare che l’Iraq come Paese unito, seppur fra mille attriti e contraddizioni, è idealmente e potenzialmente sempre esistito.

Era limes al tempo dei Romani, impensieriti dai cavalieri Parti; è diventato fondamentale nel XX° secolo per impedire al Kurdistan di esistere e agli Sciiti del Sud di unirsi ad un’Iran troppo grande.

Lo smembramento de facto dell’unità statuale irachena seguita alle due Guerre del Golfo ha rimescolato le carte facendo venir meno i benefici interni ed esterni che ne avevano foraggiato lo sviluppo. Lo stesso scioglimento del partito Baath, inviso alla CIA dai tempi degli aiuti sovietici negli anni ‘70, si è rivelato un autogol. Seppur al prezzo di sangue e diritti, per decenni aveva tenuto insieme le reti di un Paese complesso, non troppo distante da logiche clanistiche e tribali.

Sotto questo aspetto le similitudini con la Siria baathista della dinastia Assad è fin troppo evidente.

Ora che il tessuto nazionale iracheno è a brandelli, logorato da fiumi di morte e nuovo odio sparsi da nord a sud, la riconquista di Ramadi, Tikrit o chissà che altra città irachena sembra una barzelletta. Un autentico nulla sotto il profilo militare e ancora meno su quello politico. Paragonabile solo alla scelta di un leader di facciata o a fantomatiche elezioni parlamentari, utili solo a pulire la coscienza di chi in Iraq ha fallito.

Una Baghdad debole non serve a nessuno. Nemmeno a Israele. È questo il grande danno di cui oggi l’Occidente deve prendere atto. Con questa logica l’Isis finisce per essere un problema addirittura incidentale.

Nei manuali di buon senso è scritto chiaro che forme costituzionali importate spesso servono a poco. A livello di equilibri internazionali in fondo è sempre meglio la voce di un regime riconoscibile che il chiasso imprevedibile di una nazione perduta e preda del caos.

Giampiero Venturi

(foto: US DoD / Euronews)

 leggi anche il cap.1 - "Ramadi, Tikrit e altre storielle"