(Racconto di vita militare)

In attesa del collega che era entrato nel negozio di Imperatrice per acquistare un berretto, avevo parcheggiato a Via Santa Brigida, in seconda fila, una posizione che a Napoli non crea eccessivo disturbo e che spesso è imposta dall'impossibilità di trovare parcheggio.

Confidavo, oltre che nella comprensione degli altri automobilisti, nella possibilità che il vigile che era un po' più avanti a meditare sul traffico (spesso dirigerlo è impossibile) avesse un occhio di benevolo riguardo per l'uniforme; per sicurezza avevo "distrattamente" appoggiato il braccio al finestrino aperto, a mostrare il grado sulla manica, e continuavo a monitorare il vigile.

Si avvicina un signore, si china verso di me e mi dice "Scusate, comanda', cortesemente..." (ero solo tenente di vascello ma a Napoli, si sa, basta parcheggiare fuori all'Università e ti chiamano "dottore"; il giorno dopo la laurea un condomino mi presentò ad un suo amico come "il nostro giovane avvocato"; nella circostanza di cui scrivo, pertanto, l'appellativo spettante non poteva essere che quello di "comandante").

Realizzo che sicuramente il gentile signore deve uscire dal parcheggio, che la mia auto gli è di intralcio e lo rassicuro " No, scusatemi voi, mi sposto subito".

E lui "Vi spostate? E perché? "

"Non dovete uscire con la macchina?"

"No comanda', io volevo solo parlare con voi di una cosa mia. 'Na questione di cinque minuti. Tenete che fa'?".

Temetti che, pur parlando correntemente la lingua partenopea e così dimostrando le mie origini campane (tanto che mi ero subito smistato sul "voi", che a Napoli è la corrente forma riguardosa e cordiale di interloquire; il "lei" pure è riguardoso ma è distaccato e più da "forestiero"), fossi stato preso di mira da uno dei tanti personaggi pronti a venderti "...'nu Rolèx originale" o qualche altra mercanzia "...caduta per strada dal furgone e l'autista nun se n'è accorto".

Per cui risposi "Vi ringrazio, ma non mi serve niente"

E il tizio "E io niente vi voglio dare. Io vi volevo parlare di mio figlio"

"Vostro figlio? Ma, scusate, ci conosciamo? pecché a me nun me pare..."

"Uh,è vero nun me so' presentato! Permettete?" e mi dice nome e cognome.

Ora ci conoscevamo.

"Molto lieto, ma..."

"E adesso vi spiego. Mio figlio, voi lo sapete [sì, proprio così, voi lo sapete... ma che potevo sapere?] nun tiene voglia 'e studia'...allora io ho detto <ah, tu nun vuo'studia'? e allora vai a fatica'> e l'ho messo in una officina di un amico mio...ma isso ha ditto <papà, ma che aggia fa'dentro a quell'officina...a me nun me piace> e allora ho detto <guaglio', tu nun vuo' studia' e nun vuo' fatica'? E allora l'unica cosa pe' te è che te ne vai dint' 'a marina militare>"

Con serena perplessità lo ascoltavo mentre mi raccontava i fatti suoi e mi illuminava su quanto poco io avessi meritato di stare in Marina, visto che avevo voluto studiare e non mi era ancora passata la voglia di lavorare.

Indubbiamente non avevo avuto e non avevo gli stessi titoli preferenziali del figlio.

Per quieto vivere e sperando che finisse presto la chiacchierata con questo singolare personaggio, gli risposi "E che volete fa', sapete come sono i ragazzi di oggi, comunque avete fatto una buona pensata, fatelo andare in marina, là può essere che impari qualcosa"

"Bravo, comanda'. Però io in marina nun cunosco a nisciuno... solo a voi... e allora vi volevo chiedere... nun è ca ce putisseve mettere 'na 'bbona parola? Io vi lascio nome e cognome del ragazzo e voi potete vede' se al centro volontari se putesse fa' qualche cosa" e accompagnò quest'ultima frase con il gesto tutto partenopeo della "avvitata di mano".

La salvezza si materializzò nelle sembianze del mio collega che, con in mano il berretto nuovo, usciva dalla Galleria Umberto.

Assunsi un'aria estremamente seria e dissi "Scusatemi tanto ma sta arrivando il mio comandante".

E gli indicai l'inconsapevole "spalla" di questa sceneggiata, facendo intendere che dovevo andar via.

Con aria compìta e un po' complice, accennando un mezzo inchino, si scostò di poco dalla macchina dicendo "Capisco...meglio ca nun sente, eh?" e fece un occhiolino di intesa.

Il mio collega arrivò alla macchina e salì a bordo accompagnato da un rispettoso saluto a mano alzata da parte del tizio, cui rispose con un educato sorriso.

Lo salutai, misi in moto e cominciai ad immettermi nel traffico mentre il mio inatteso interlocutore, appoggiandomi la mano sul braccio mi diceva "Allora Comanda', sta a pensiero vostro", recitandomi a seguire - tutto d'un fiato e urlando con discrezione - nome, cognome, luogo e data di nascita del figlio.

Mentre ci allontanavamo , il mio collega mi chiese "...un tuo amico?"

"No - risposi - solo un conoscente che non avevo mai visto".