(Racconto di vita militare)

Non tutti i comandi militari possono disporre in pianta stabile di un servizio sanitario. Sulla nave in cui mi trovavo, nel periodo invernale non c'era altro che un buon sottufficiale infermiere, sia in considerazione della vicinanza dell'unità all'ospedale militare sia per la ridotta attività operativa, dovendosi prevalentemente provvedere alle ordinarie manutenzioni e alla sorveglianza dei lavori dati in appalto a imprese specializzate.

Per la verità, un buon infermiere ed un assistente bastavano ed avanzavano. Le pratiche sanitarie si risolvevano, alla fin fine, nella compilazione di "basi di ricovero" per i marinai affetti dalle influenze di stagione mentre, raramente, capitava la compilazione di un "Modello C" per il caso di ricoveri dovuti a infortuni in servizio. Tutte pratiche necessarie, ma di modesto profilo. Routine, per dirla in una parola.

Un giorno, sul finire di dicembre, si presenta a bordo un giovane aspirante guardiamarina medico, fresco fresco di corso AUC. Non era inatteso - la messaggistica che lo riguardava era regolarmente pervenuta – e anzi… nel quadrato ci si domandava per quale oscura ragione la Direzione generale ci avesse fatto dono di un collega medico. Certo in quel momento di "turno corto" sarebbe stato preferibile un ufficiale da inserire nel turno di guardia. Lo avremmo bene accolto comunque: magari era simpatico. E poi, tutti quanti - chi più, chi meno - hanno bisogno di consigli medici ed è sempre meglio tenersi buono il dottore. Lui, invece, probabilmente nella fretta di raggiungere la base navale, sembrava essersi dimenticato di portarsi appresso la simpatia. Non è che fosse malevolo o sgarbato, ma sembrava uno di quei soggetti che nel dare la mano lasciano la preoccupata impressione che si prova con certe anziane dolci signore che ricambiano il saluto lasciando intendere che avrebbero preferito il canonico baciamano.

Professionalmente parlando doveva essere senz'altro un bravo medico. D'altra parte il comandante era soddisfatto, e questo bastava. Tuttavia, nonostante il passare del tempo, non c'era modo di creare l'amalgama del nuovo arrivato nel gruppo. "Vieni a farti una pizza stasera?" "No, grazie." "Abbiamo preso una videocassetta, un thriller. Ti piace De Niro?" "No, grazie." Finita la cena, mentre ci sia attardava a terminare la serata con un caffè e il rituale giro di bicchierini per "l'intimo gaudio" del giorno, si alzava e con un saluto a mezza voce si allontanava rapido.

Finalmente giunse il momento di armare l'unità di tutto punto per una nuova intensa attività. Con il completamento della tabella organica, lasciata per un certo periodo un po' sofferente, si raggiunse - con gli altri servizi di bordo - anche il completamento del servizio sanitario. Ora era quasi una sezione dell'ospedale militare: medico titolare Ortopedico, sottordine anestesista in spe, sottordine di complemento, maresciallo, secondo capo e sergente infermiere due o tre assistenti di truppa.

Ebbene, cosa fa il nostro "dottorino" nel momento in cui l'unità si appresta a partire per l'attività più importante? Richiesta di licenza: tutta la licenza ordinaria, licenza "legge 937", qualche giorno di recupero e… licenza matrimoniale. Capperi! Poteva dirlo prima che era lì lì per convolare! Avremmo capito che dietro il suo negarsi c'era l'umore del condannato a morte. Saremmo stati senz'altro in grado di distoglierlo da un così triste destino. A parte le battute, dispiaceva non essere stati messi a parte di un fatto così lieto. Ma se Dio perdona, il quadrato no! Si trattava solo di aspettare e la vendetta, diventata bella fredda, ce la saremmo cucinata calda calda. Tempo al tempo!

Il nostro rientrò, bello abbronzato, in un porto straniero, moglie al seguito. La conoscemmo e potemmo apprezzarne le buone qualità. Era una carissima ragazza, che non mancava di ricambiare la cordiale accoglienza di quelli che il marito le doveva aver descritto come i suoi amici per la pelle. E lui, manate sulle spalle: "Uelà amico, come te la passi oggi". Insomma, il matrimonio sembrava averlo ritemprato. Forse acquisito l'agognato obiettivo, fonte di preoccupazione, era caduto il nero sudario che nel cervello aveva fino ad allora coperto lo scomparto "amicizia"?

Tutte le belle cose finiscono, così inevitabilmente finì la galvanizzante sosta in porto. Rientrata in patria la moglie, il sudario tornò al suo posto, segno che il nostro era tornato alle antiche abitudini. Non per caso già i romani - e molti altri popoli dell'antichità, presumo - avevano il concetto dell'uomo con due volti. I romani, però, del loro Giano avevano fatto il dio della pace e della guerra. Adesso era il momento della guerra.

Rapida indagine in quadrato. Acquisito assenso del comandante in seconda e "nulla osta" del comandante, decidemmo un terribile tiro mancino. L'azione venne preordinata come un piano di battaglia. Iniziammo col redigere un finto messaggio "riservato" in cui la Direzione del Personale (Maripers), con riferimento alla "comunicazione di matrimonio in età consentita" precedentemente inviata dalla nave, riferiva che, in seguito alle indagini di prassi, era emerso che la moglie (identico nome, identica data di nascita) del nostro ufficiale fosse risultata già coniugata con il "capitano Gianluca Vettorello" comandante della compagnia carabinieri di una lontana località in provincia di Cuneo e contestualmente disponeva che il comandante, discretamente, effettuasse indagini e acquisisse gli atti necessari per l'ipotesi di reato di "truffa militare" e, nel caso di produzione del certificato di matrimonio anche di "falso ideologico". Al comando generale dei carabinieri, inserito nel blocco indirizzi per conoscenza, Maripers assegnava le indagini circa l'eventuale stato di bigamia della moglie.

Il nome prescelto per il presunto capitano era tale da lasciar intendere immediatamente lo scherzo. Andava in voga, in quel periodo, un programma televisivo in cui un grande Teo Teocoli impersonava il piemontesissimo Gianduja Vettorello. Lo stesso nome era stato preferito dalla sorte, in luogo dell'alternativo "capitano Ermete Rubagotti", storpiatura di altro personaggio, in voga nell'interpretazione di Gene Gnocchi.

Al messaggio di Maripers sarebbero seguiti, in rapida sequenza: "decretazione" vergata in rosso dal comandante del tenore "Comandante in 2^ da me subito."; quindi nota, in verde, del comandante in seconda al commissario di bordo "Commissario, da me con i codici." e infine una nota del commissario di bordo diretta a me; un sintetico "Prego parlare.".

Il messaggio, fotocopiato con le sue belle decretazioni, venne affidato al capo servizio medico, che si era incaricato di fare la parte del padre di famiglia che, non riuscendo a mantenere il segreto perché "…mi sono accorto che sei davvero un bravo ragazzo" avrebbe dovuto fare presente al nostro che il comandante aveva dato disposizioni a diverse persone di sua fiducia di assumere discretamente informazioni sul suo stato familiare. "Mi raccomando - chiuse il colloquio - non mi mettere nei guai. Tieniti tutto per te e non andare dal comandante. Non ricambiarmi l'amicizia che ti mostro rovinandomi la carriera".

Così facendo, secondo il piano stabilito, la nostra vittima si sarebbe trovata nell'impossibilità di rivelare ad alcuno i propri intimi maceranti pensieri e, contemporaneamente, avrebbe visto in ogni domanda, in ogni saluto, in ogni bonario colloquio, un tentativo di abboccamento per scopi di polizia. Insomma, se il rapporto spie-cittadini nella Romania di Ceausescu era di 1 a 2, sulla nostra nave, per il nostro dottore, la percentuale era 100% meno uno.

Forti del discreto numero di giorni di mare che ci era stato assegnato, seguimmo per un giorno intero il vagare taciturno del poveretto sul ponte, il suo sedersi con lo sguardo assente in mensa equipaggio, il suo consumare i pasti non in quadrato ma nel riposto, badando bene di guardare attraverso il passavivande che nessuno se ne avvedesse e lasciando detto al comandante in seconda di essere trattenuto in infermeria. Quindi, anche su sollecitazione dello stesso comandante in seconda che coscienziosamente non voleva farci tirare troppo la corda, passammo alla fase finale.

Venne prodotto un secondo messaggio, di Maripers che, annullando il precedente, comunicava l'avvenuta trascrizione nei registri dello stato civile del certificato di matrimonio concordatario, pervenuto in ritardo in municipio per la sbadataggine dell'anziano prevosto celebrante. L'incombenza della comunicazione, farcita di decretazioni del tipo: (in rosso) "Non avevo dubbi." e in verde "Evviva! segreteria comando, prego allegare a precedente comunicazione.", venne nuovamente affidata al capo servizio sanitario che non mancò di concludere con "È tutto bene quel che finisce bene!"

Forse la scossa ricevuta fece meditare il giovane medico sulle origini dell'esistenza, sulla quotidianità del vivere, sul destino, sui valori della società e sulla necessità di poter porre la propria fiducia in altri esseri umani nel momento del bisogno. Fatto sta che dopo questo episodio divenne più aperto e incline alle relazioni umane. E fummo tutti unanimemente d'accordo a sotterrare l'ascia di guerra e a fornire la più sincera, aperta, amicizia al nostro collega, divenuto frattanto guardiamarina. Iniziammo col partecipargli la nostra soddisfazione nel saperlo scagionato. Mai avevamo dubitato della correttezza sua e della sua dolce metà. Sicuramente - come sottolineammo, essendo vere canaglie munite di apposita patente di lungo corso - aveva avuto modo di notarlo. Certo è che non sapeva né immaginava che quella sciagurata trama gliela avevamo confezionata noi.

Un giorno, poco prima del congedo, si presentò in segreteria amministrativa e mi chiese se per caso ricordavo il nome del capitano dei carabinieri. "Gianluca Vettorello - risposi - perché me lo domandi?" "Perché mia moglie aspetta da tempo un vaglia, e non vorrei che fosse finito alla sua omonima, la moglie del capitano. Adesso gli telefono.". Non potei trattenermi. Dopo aver asciugato le lacrime dal viso, gli tolsi dal volto quell'aria incuriosita e offesa e gli raccontai tutto. Ma oramai era dei nostri.

 

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Nota: il presente racconto è già stato pubblicato sul sito www.paginedidifesa.it (ora non più attivo). Ringrazio il Generale Giovanni Bernardi, direttore di PdD, per l’ospitalità allora concessami.