13/01/2015 - Non capita spesso di trovarsi al cospetto di ben 9300 ore di volo militare, volate su caccia, elicotteri e velivoli ad elica, ognuna delle quali è idealmente identica all’altra, in quanto racchiude sempre la stessa passione, lo stesso entusiasmo, lo stesso orgoglio della primissima volta in volo, e che d’altra parte rappresenta, però, una storia ed un’avventura sempre diversa dalle precedenti e dalle successive.

Quella del comandante Fausto Bernardini è chiaramente una vita vissuta per il volo, una vita vissuta per questa grande passione, che ha ottenuto la sua massima consacrazione nel vedersi realizzata, quotidianamente, sotto le insigne dell’Aeronautica Militare. Tutto ciò lo si evince dal suo ultimo libro, “L’autunno del pilota”, libro che magicamente si trasforma in un aeroplano, grazie al “manico” di scrittore di Bernardini, e che ci permette di volare pur restando comodamente a terra.

In ogni avventura, raccontata nel suo libro, si ha la possibilità di cogliere in maniera perfetta le emozioni del pilota, degli altri protagonisti del racconto, delle sensazioni che il volo può regalare a qualsiasi persona che decida di immergersi in questo mondo così affascinante come quello dell’aviazione, ed in particolare di quella militare.

Bernardini racconta i suoi primi voli, all’Aeroclub di Arezzo, i momenti di preoccupazioni in vista della domanda in Aeronautica come allievo ufficiale pilota di complemento, le difficoltà e le prove da affrontare durante l’iter per giungere alla tanto ambita Aquila Turrita, i voli e le acrobazie effettuati insieme ad amici, prima che colleghi, ma soprattutto la riconoscenza verso le persone che hanno reso questo sogno realizzabile, come gli istruttori dell’Aeroclub di Arezzo, protagonisti di diversi e toccati racconti del libro, esattamente come il fratello ed il padre del comandante Bernardini.

Leggendo il libro, il mio primo pensiero, da appassionato, è stato quello di rendermi conto di come quello che stessi leggendo fosse esattamente la vita che ho sempre sognato di vivere. Ho avuto modo di cogliere le emozioni del volo acrobatico, del volo nella solitudine dell’alta quota, nella soddisfazione morale e professionale nel salvare una vita umana a bordo di un elicottero, nella riconoscenza verso le persone care a cui si deve la realizzazione del sogno, nell’amicizia vera tra uomini prima che piloti ed infine, ma non meno importante, la riconoscenza verso quella grande istituzione che è l’Aeronautica Militare. Tutte cose che, ho pensato, fin da giovanissimo, che avrei indubbiamente provato qualora fossi diventato un pilota militare. Un libro, dunque, che un vero appassionato non può assolutamente perdere, da far leggere anche ai “terrestri” per far capire la grande passione per il volo.

Ho avuto il piacere di intervistare il comandante Bernardini, che prima di essere stato un ufficiale e pilota dell’Aeronautica Militare, è stato ed è, un grande appassionato del volo. Prima di raccontarvi l’intervista, vorrei raccontarvi la vita aviatoria di Fausto Bernardini.

Il comandante ha iniziato a volare a 16 anni, nel 1966, all’Aeroclub di Arezzo, e si è arruolato in Aeronautica nel 1971 come AUPC. Ha frequentato l’Accademia Aeronautica e la Scuola di Volo di Lecce, negli anni 1971/1972. Negli anni 1972/1973 è stato allievo pilota ad Amendola. Dal 1973 al 1978 è stato assegnato al 2° Stormo presso il 14° Gruppo CBR sul caccia G-91/R. Dal 1978 al 1981 è stato istruttore ad Amendola presso il 201° Gruppo. Dal 1981 al 1987 è ritornato al 14° Gruppo del 2° Stormo. Negli anni 1987/1988 è stato pilota presso l’ RSSTA di Decimomannu. Nel 1988 è stato nuovamente istruttore ad Amendola presso il 201° Gruppo. Dal 1988 al 2010 è stato pilota e comandante della 651^ Squadriglia del 51° Stormo di Istrana. In totale ha totalizzato 9300 ore di volo, delle quali circa 3000 su elicotteri, 6000 su caccia e 300 su velivoli ad elica. Ha le seguenti abilitazioni su aerei civili: Cessna 150, Stinson L5, Macchi 416, Partenavia P66, Bucker 131 Jungmann. Mentre su aerei ed elicotteri militari: MB-326, MB-339, G-91/T, G-91/R, TF-104 ASA/M, SIAI 208, AB47 G2, AB 212 AMI/SAR e NH500.

Comandante, la prima domanda non può che essere questa: Come è nata la sua passione per il volo? Ricorda un avvenimento o un momento particolare nel quale ha pensato: voglio essere un pilota militare?

Credo che la mia passione per il volo risalga a tempi molto remoti. Quando io e mio fratello eravamo piccoli, mio padre ci raccontava spesso i momenti più belli del servizio militare che aveva prestato in Aeronautica, durante la Seconda Guerra Mondiale. Mio padre non era un pilota, ma aveva vissuto molto vicino a quel mondo, che amava e ammirava. Credo che i primi vagiti della mia passione nacquero allora. Un avvenimento particolare? Penso di sì. Anch’esso molto remoto. Avevo al massimo cinque o sei anni. Su casa nostra passavano spesso gli aerei della ricostituita Aeronautica. Possenti aerei a elica, che sfrecciavano bassi sui tetti. Un giorno uno di essi, forse un P51 Mustang, passò molto basso e la frotta di bambini fra i quali c’ero io, forse il più piccolo, rimase estasiata da quella rapida apparizione. Alcuni gridarono di essere riusciti a vedere il pilota, non so e non ricordo se io lo vidi, ma quella parola “pilota” ebbe un forte effetto in me. Tornando a casa continuai a ripeterla e mio fratello, di quattro anni più grande, mi spiegò cosa significava. A pranzo raccontammo ai nostri genitori l’accaduto ed io gridai con entusiasmo di aver visto la testa del pilota, come tutti gli altri. Poi, deciso, dissi che da grande avrei fatto l’aviatore.

Quando si è recato la prima volta in aeroclub che emozioni ha provato? Come è stato l’impatto con l’ambiente e gli istruttori? Che ricordo ha di quel periodo?

La prima volta che mi sono avvicinato al mondo del volo avevo una decina d’anni e rimasi abbastanza deluso. Una domenica mio padre mi portò all’aeroporto di Arezzo, sede di un Aero Club. Guardai gli aerei da distante, senza oltrepassare la rete di recinzione. Mi sembrarono piccolissimi e, a dire il vero, non mi destarono alcuna emozione. Tornando a casa, in automobile, mio padre restò deluso del mio comportamento e mi disse che, se volevo, la prossima volta mi avrebbe fatto volare. Quel passaggio dall’astratto al concreto ebbe un effetto particolare e da quel momento non feci altro che attendere quel giorno. Il primo volo mosse una buona dose d’entusiasmo. Qualche anno dopo, il corso di pilotaggio fu la scintilla che incendiò il bidone di benzina.

La prima volta che ha volato cosa ha pensato? Ha avuto mai delle incertezze o si è subito reso conto che l’aria fosse il suo elemento?

Non ho mai pensato che l’aria potesse essere il mio elemento. Ho avuto sempre la netta consapevolezza di essere un “terricolo” e che il volo sia una concessione temporale che ci fa il Padreterno. La prima volta che ho volato, confesso che non avevo coscienza di quanto stava accadendo. Mi piacque, ma non m’indusse ad alcuna domanda. Dentro di me sembrava scontato che avrei fatto il pilota. I dubbi vennero fuori durante il corso di pilotaggio all’Aero Club e poi, quelli più terribili, durante il corso in Aeronautica Militare.

Lei ha volato su moltissimi velivoli civili e poi anche militari, ma le sue aspettative su di essi sono sempre state confermate dalla realtà? Oppure, addirittura, in alcuni casi sono state superate dalla realtà? A tal proposito, quali velivoli ricorda in un senso o nell’altro?

Ogni aereo ha il suo bello. Su ogni aereo sono salito con molto rispetto e non ha mai creduto a chi dice “quello si porta come una bicicletta” o “è come una bicicletta!”. Credo di aver amato ogni aereo sul quale ho volato, perché in quel momento era il tramite per raggiungere una dimensione non mia. Se invece si parla semplicemente delle prestazioni di un aeroplano, allora talvolta si può rimanere un po’ delusi. Ma mai completamente delusi, come può accadere per un’automobile, perché, torno a ripetere, l’aereo è il tramite per un’altra dimensione e se riesce a ottemperare a quel compito ha già fatto il suo dovere.

Ricordo ogni aereo sul quale ho volato e nei confronti di ognuno ho un senso di gratitudine.

Quali sono le differenze e le somiglianze che ha costatato volando su velivoli con caratteristiche diverse, sia civili che militari, ad elica, ala rotante e jet?

Vorrei sfatare una consuetudine del pensiero aeronautico, e cioè che tanto più veloce è un aereo, tanto più difficile è pilotarlo. La velocità e le difficoltà non sempre sono direttamente proporzionali, tant'è vero che l’elicottero in alcune situazioni può diventare molto più difficile di un supersonico. E’ vero che all’aumentare della velocità, ad esempio in atterraggio, deve per forza seguire un aumento dell’attenzione e della prontezza dei riflessi, ma l’uomo si abitua facilmente e in poche ore di volo riesce ad adattarsi a velocità elevate. Ogni aereo, nel pilotaggio, assomiglia ai suoi simili. Cambiano i parametri, e l’adattarsi a ciò evidenzia l’abilità del pilota. L’elicottero, la cui conoscenza l’ho fatta che ero quasi quarantenne, è il più mutevole e instabile di tutte le macchine volanti che ho conosciuto.

Qual è stato il velivolo con il quale ha sentito il maggior “feeling” e perché?

Forse agli appassionati potrà suonare come una bestemmia, ma il maggior feeling lo sto provando adesso, con il mio Fieseler Storch. Quando volo con lui (quasi ogni giorno) sento di avere a che fare con un aereo generoso, che ti dà tutto sé stesso… e forse anche di più! In barba a ogni legge dell’aerodinamica decolla e atterra su veri e propri fazzoletti di terra, corti, sconnessi e talvolta in pendenza. Ecco, volando con lui posso permettermi di tornare un bambino, curioso di fare ogni giorno una nuova esperienza.

Invece qual è stato il velivolo che dal punto di vista professionale le ha dato maggiori soddisfazioni? E perché?

Se si parla di soddisfare il proprio ego, specialmente in età ancora giovanile, il G91 mi ha dato enormi soddisfazioni. Se invece si parla di puro appagamento professionale, con l’AB 212 ho salvato tante vite umane, quindi non posso non esserne soddisfatto.

Quando è diventato istruttore di volo si è mai rivisto nei suoi allievi, sentendosi tre persone in una? Cioè il Fausto che all’Aeroclub di Arezzo veniva seguito dai suoi istruttori, il Fausto allievo pilota a Lecce ed il Fausto che, da istruttore, doveva decidere se permettere la continuazione del sogno del volo ai proprio allievi? Se si, come ha conciliato queste tre “anime”?

Da allievo, a Lecce, tenni un diario, che ho avuto il piacere di rileggere da istruttore, ma non per questo sono stato affetto da pietismo o da inopportuna bonarietà. Il volo, purtroppo, non può essere considerato uno sport: è una disciplina e come ogni disciplina abbisogna di serietà, completa dedizione e correttezza. Io, i miei allievi, li ho convinti con le buone e con le cattive maniere di quanto mi ha dettato l’esperienza e loro, seguendo i miei consigli, sono diventati piloti militari. Tutti. Tutti gli allievi che mi furono affidati terminarono il corso di pilotaggio.

Tra le migliaia di ore di volo volate, è possibile dire quale sia stato il volo più bello? Ne conserva qualcuno in particolare nel cuore?

In una vita da pilota così lunga, non si può riassumere tutto in un volo: me ne conceda almeno due. Il primo è stato quello in cui ho volato per la prima volta da solo a bordo. Il secondo volo più bello, a pari merito col primo, è stato quello in cui, col mio equipaggio, in un pomeriggio salvammo quaranta vite umane, durante l’alluvione del Piemonte. Pilotavo un AB 212… grande macchina e importanti collaboratori.

Tra i velivoli di varia natura e genere che ha pilotato, quale crede di amare di più e perché? Immagino sia difficile rispondere.

Non è difficile rispondere… è impossibile. Li ho amati tutti e ancora li amo tutti, i miei fantasmi del cielo. Sì, perché oggi molti di essi per me sono dei fantasmi.

Ho avuto modo di leggere anche il suo libro precedente, “Pilota”, dove racconta i suoi primissimi voli a 16 anni, con l’L5 Stinson: dopo tutte queste ore di volo come è mutata la sua visione del volo grazie all’enorme esperienza accumulata? Ora rimprovererebbe qualcosa al Fausto allievo all’aeroclub e al Fausto allievo a Lecce?

Sì, l’esperienza fa che il giudizio sugli eventi passati, talvolta sia severo. Al Fausto dell’Aero Club di Arezzo darei qualche scappellotto… e non metaforico, e nemmeno bonario: sonoro! Era troppo inesperto, per fare le cose al limite come tentava di fare, e Pietro, l’istruttore, gli voleva troppo bene per andare oltre a qualche sfuriata. Quel Fausto lì ha avuto tanta fortuna…

Al Fausto allievo a Lecce non rimprovero niente. Ce l’ha messa tutta, impegnandosi ogni giorno ed è giusto che sia riuscito a terminare il corso.

Ritornando, invece, al suo ultimo libro “L’autunno del pilota”, leggendo si coglie la sua riconoscenza nei confronti dell’AM. Come è l’Aeronautica di oggi rispetto a quella di ieri? Come l’ha vista cambiare nel tempo?

Credo che sarò riconoscente all’Aeronautica Militare finché vivrò. Mi ha dato tutto quello a cui un giovane appassionato, come ero io, potesse aspirare. Poi, nel tempo, ha continuato a darmi, umanamente e professionalmente. Ho ricoperto incarichi e qualifiche gratificanti; come potrei non esserle riconoscente?

Nel tempo l’Aeronautica ha dovuto affrontare continuamente dei cambiamenti, ma quello che ritengo più importante deriva dalla caduta del muro di Berlino, quindi dalla fine della “Guerra Fredda”. Prima di allora ci preparavamo contro un nemico teorico, un po’ come quello che Buzzati racconta ne “Il deserto dei tartari”. Dopo la caduta del muro l’Aeronautica ha partecipato a importanti operazioni in teatro di guerra. Se prima per il pilota c’era del tempo da dedicare a se stesso, a un addestramento più personale, dopo tutto ciò è finito. Questa seconda parte l’ho vissuta da “non operativo”, ma a stretto contatto con i giovani che partecipavano a tutte le missioni internazionali. Ho visto sparire molti sorrisi e molta spensieratezza da quei visi. Quella stessa spensieratezza che aveva allietato la mia gioventù.

Dopo tanti anni di carriera come pilota, c’è qualche desiderio “aviatorio” che avrebbe voluto realizzare ma che, per svariate ragioni, non ha potuto?

Non saprei. Come ho appena detto mi sento appagato della mia vita in seno all’Aeronautica. Forse sarebbe stata una bella esperienza poter fare l’istruttore negli U.S.A. Stavo per partire… quando in un attimo cambiarono le carte in tavola. Essendo abbastanza fatalista non me la presi più di tanto.

Dopo i libri “Pilota” e “L’autunno del pilota” ha qualche altro progetto in programma? Può accennarci qualcosa? Infine gli appassionati come possono seguirla per essere aggiornati sulla pubblicazione dei suoi libri?

Dopo questi due libri c’è in progetto la pubblicazione del terzo che s’intitola “Zen”. E’ quasi completamente scritto, ora si tratta di correggerlo. Poi ho altri libri non aeronautici che ho scritto o che la stesura è attuale. Chissà se qualcuno sarà interessato alla loro pubblicazione?

In ogni caso gli appassionati possono seguirmi su Facebook. Questo è il link del mio profilo “Fausto Bernardini” https://www.facebook.com/fausto.bernardini.31 e questo della mia pagina “Pilota” https://www.facebook.com/pages/Pilota/211620265524178?ref=bookmarks.

Comandante Bernardini, la ringrazio per l’intervista e le faccio il miglior augurio che si possa fare ad un pilota: Tantissime altre ore di volo!

Carmine Savoia

(nella foto di apertura un giovane Bernardini allievo pilota, a seguire a bordo di un Mb339 della 651^ Squadriglia con gli F-104 del 22mo Gruppo del 51mo Stormo, infine a bordo del suo Fieseler Fi 156 Storch)