Simo Häyhä, la Morte Bianca

(di Francesco Rugolo)
26/08/18

La Guerra d’Inverno fu uno dei primi conflitti disputati durante la Seconda Guerra Mondiale, svoltosi durante l’inverno del '39 e terminato durante i primi mesi del '40, vide lo scontro tra l’URSS e la Finlandia. La prima, grande potenza mondiale che pur avendo firmato il patto Molotov-Ribbentrop con la Germania, manifestava interesse nell’ottenere porzioni di territorio finlandese, in particolare la zona della Carelia e il suo istmo, situato tra il golfo di Finladia e il lago Ladoga per facilitare la difesa di Leningrado. La Finlandia d’altro canto non aveva intenzione di cedere una parte di territorio così importante sia sotto il punto di vista economico che culturale ed allo stesso tempo perdere reputazione internazionale, la Carelia infatti rappresentava una gran parte dell’economia della nazione e la stessa Vyborg, la seconda città finlandese per grandezza, si trovava nella suddetta zona.

Con queste premesse, il 30 novembre del 1939 la Russia cominciò l’invasione, con 21 divisioni attive per un totale di circa mezzo milione di soldati, rompendo ben 3 patti di non-aggressione con la Finlandia, fatto che causò successivamente l’espulsione della Russia dalla Società delle Nazioni.

La Russia sottovalutò ampiamente questo conflitto, potendo contare su un numero di soldati almeno tre volte superiore ai finlandesi e su numerosi tank e velivoli contro quelli praticamente inesistenti dei difensori, adottando una tattica di guerra frontale, decisione che costò numerose perdite.

I finlandesi conoscevano bene il loro territorio, fitte foreste e numerosi laghi ghiacciati durante il gelido inverno nordico ricoprivano le aree in cui si svolse il conflitto e adottando una tattica di guerriglia riuscirono a bloccare l’avanzata delle truppe sovietiche per lunghi mesi.

I russi, poco attrezzati e addestrati per combattere un conflitto in zone così ostili, dove le temperature raggiungevano anche i -40°, decisero di basare la loro tattica sull’utilizzo massivo di carri armati, ispirandosi alla tecnica che venne utilizzata soprattutto dai tedeschi già dall’inizio della guerra durante l’invasione della Polonia e rinominata Blitzkrieg. Questo approccio tuttavia non risultò particolarmente efficace in quanto i carri non riuscivano a muoversi agevolmente tra paludi, foreste e laghi ghiacciati, oltretutto i russi non erano equipaggiati di mimetiche bianche e indumenti adatti alle estreme condizioni climatiche finlandesi.

Il morale delle truppe russe, sconfitta dopo sconfitta, andò sempre peggiorando e il prestigio dell’Armata Rossa iniziò a sgretolarsi agli occhi di altre nazioni. Tra queste la Germania che cominciò a pianificare l’operazione Barbarossa proprio osservando gli insuccessi russi nella campagna finlandese.

In questo scenario una figura emerse dalla fredde nevi della Carelia. Non si trattò di un generale o di un politico, bensì di un semplice soldato che sarebbe diventato un vero e proprio eroe nazionale per i finlandesi, stiamo parlando di Simo Häyhä.

Nato nel 1905 a Rautjärvi in una famiglia di contadini e cacciatori, si arruolò a 20 anni e svolse per un anno il servizio militare. Partecipò in seguito alla guerra come cecchino, nella battaglia di Kollaa, che durò fino all’epilogo del conflitto.

Operò per circa tre mesi in condizioni climatiche incredibilmente ostili, vestito con la sua tuta mimetica bianca, rendendosi invisibile tra le fredde nevi finlandesi, con temperature che variavano dai -20 ai -40 gradi.

Simo utilizzava un Mosin Nagant 28/30 di produzione finlandese e un mitra Suomi KP/-31. Durante i tre mesi di operatività uccise tra i 500 e i 540 soldati russi, la metà dei nemici fu abbattuta usando il suo Mosin, il che lo rende il cecchino con il maggior numero di uccisioni accreditate di sempre.

Egli stesso raccontò che, per non essere avvistato dalle pattuglie russe, usava riempirsi la bocca di neve per evitare la fuoriuscita di vapore e di spargere acqua sul terreno su cui poggiava il fucile, al fine di farla congelare e non far alzare lo strato di neve più fresca dopo aver sparato per evitare di essere individuato.

Ciò che rende ancora più straordinarie le sue gesta è il fatto che Simo non usava nessun tipo di ottica sul suo fucile in quanto il riflesso dei raggi del sole sulle lenti lo avrebbe reso più visibile agli occhi dei russi e per usare l’ottica era necessario sporgere la testa più in alto, oltre lo strato di neve che lo avrebbe dovuto riparare dallo sguardo del nemico. La sua conoscenza del territorio, la sua scaltrezza nello spostarsi per non essere mai individuato e la sua incredibile pazienza, calma e tenacia lo resero temuto tra le fila russe e le sue gesta divennero presto popolari tra i finlandesi. La propaganda e i giornali crearono dalla sua figura un vero e proprio eroe nazionale e venne ribattezzato dagli stessi russi “Белая смерть" (pron, Belaya Smert) ossia “Morte Bianca”.

Tra i tentativi russi per eliminare Simo, vi è anche un bombardamento a colpi di mortaio in un area dove era stato avvistato e il ricorso ad altri cecchini per poterlo scovare. Gli attacchi fallirono finché il 6 marzo del 1940 fu colpito alla mandibola da un proiettile che lo mandò in coma. Si risvegliò il 13 marzo, il giorno stesso in cui fu firmato il trattato di pace a Mosca, e venne promosso da caporale a sottotenente.

Dopo la guerra fu decorato con numerose medaglie al valore e, ritiratosi a vita privata, tornò a cacciare e lavorò come allevatore di cani. Morì a 96 anni in un ospizio per veterani di guerra ad Hamina il 1 aprile del 2002 ed è sepolto a Ruokolahti.
Fu intervistato numerose volte durante i suoi ultimi anni di vita da Tapio Saarelainen che scrisse su di lui un libro intitolato “White Sniper”.

Da buon finlandese, fu sempre modesto discutendo delle sue azioni in battaglia. Le sue parole a proposito della Guerra furono le seguenti: “Feci ciò che mi fu ordinato, come meglio potevo”. Quando gli veniva chiesto il segreto della sua bravura nello sparare rispondeva semplicemente che non c’era nessun segreto, solo “pratica”.

Pratica, tenacia e talento lo resero la leggenda che conosciamo oggi: il cecchino più temuto di sempre, la Morte Bianca.

(foto: web)