Ottobre 1940 - Il salvataggio dei naufraghi del Pentcho

(di Marina Militare)
26/10/15

​Alcuni recenti articoli del prestigioso quotidiano statunitense New York Times hanno spiegato al pubblico d'oltre Atlantico (e non solo) alcuni degli eccellenti risultati conseguiti dalla Marina Militare durante l'operazione "Mare Nostrum". La stampa americana ha sottolineato con ammirazione come, al di là della pur fondamentale salvaguardia delle vite umane, si sia trattato di un'operazione militare estremamente efficace nell'identificare e nel colpire le reti di trafficanti che si annidano dietro la tratta di esseri umani. In realtà la capacità della Marina di coniugare l'efficacia operativa con la tutela del diritto umanitario ha radici lontane e molti precedenti, noti e meno noti.

Negli stessi giorni del 1940 in cui, in piena Battaglia dell'Atlantico, il comandante Todaro e gli uomini del sommergibile Cappellini si prodigavano per salvataggio dei naufraghi del mercantile avversarioKabalo, un'altra operazione umanitaria, certo meno conosciuta, ma anch'essa significativa, era in corso nel Mediterraneo Orientale.

Il diario di guerra del Comando Marina italiano di Stampalia, nell'Egeo riporta, infatti che il 5 ottobre, al termine di una caccia antisom, i MAS 523 e 531 dell'XIa squadriglia erano rientrati scortando un misterioso, piccolo piroscafo, stracarico e maleodorante, intercettato nelle nostre acque territoriali. Si trattava del Pentcho, un malandato battello fluviale con a bordo, in condizioni indescrivibili, 509 persone tra le quali di cui 142 donne e 9 bambini, tutti profughi israeliti di varie nazionalità.

Il bastimento era partito da Bratislava, in Slovacchia, navigando in condizioni allucinanti per mesi per entrare infine nel Canale di Caso, dove fu avvistato dai MAS italiani. Dopo la sosta a Stampalia, nel corso della quale quella carretta fu rifornita di frutta e verdura, provvedendo altresì alle necessità sanitarie e igieniche di tutti, i profughi salparono nuovamente nel tentativo di percorrere l'ultima tratta alla volta della Palestina, forzando il blocco inglese. Lungo la rotta il Pentcho fu però colpito da una serie di avarie, portato all'incaglio sullo scoglio disabitato di Kamila Nisi e abbandonato dall'equipaggio.

Avvistati dall'efficiente ricognizione britannica, i profughi rimasero però abbandonati a se stessi. Gli inglesi non ritennero utile infatti intervenire, essendo già impegnati nel difficile rimorchio dell'incrociatore Liverpool, gravemente danneggiato a Suda, poco prima, da un aerosilurante italiano.

Fu così la volta del piccolo trasporto della Regia Marina Camogli (foto sotto) al comando del capo di 1a classe nocchiere Carlo Orlandi, il quale recuperò i naufraghi, rifornendoli e trasportandoli, un gruppo per volta, a Rodi tra il 18 e il 26 ottobre 1940. Secondo le leggi immutabili e fondamentali del mare la precedenza fu data a donne e bambini. Attraverso complicate vicende diplomatiche e umanitarie i profughi ebrei furono infine trasferiti in Italia nel 1942, internati nel campo di Ferramonti in Calabria. Si salvarono tutti, meno una sola famiglia, rimasta a Rodi presso un lontano parente e caduta vittima dei tedeschi nel 1944.

Agli atti dell'ufficio storico è la richiesta di informazioni a suo tempo avanzata alla Marina in merito alla possibilità di aggiungere il nome del comandante Orlandi nel celebre elenco dei "Giusti" redatto dallo Yad Vashem di Gerusalemme.

Questa storia di scafisti, poi rintracciati e puniti dalle autorità italiane, e di umanità dolente, risale alla II guerra mondiale: oggi le cose non sembrano granché cambiate. Forse la natura degli uomini non cambia mai, certo non e mai mutata quella della Marina.