Libano 2006: Operazione Pioggia d’Estate, un conflitto fortemente asimmetrico

(di Tiziano Ciocchetti)
08/02/18

Nel corso degli ultimi anni, i vari conflitti scoppiati nel mondo, difficilmente hanno visto un equilibrio tra i belligeranti. Equilibrio significa rischio di sconfitta, per cui in genere chi attacca è convinto di ottenere un rapido successo, in virtù di una presunta superiorità strategica - migliore qualità dei militari, alleati potenti, superiorità tecnologica.

Nell’Arte della Guerra di Sun Tzu (V secolo avanti Cristo), si asserisce che chi è in inferiorità cerca di trovare una strategia che, magari nel lungo periodo, logori il nemico. Infatti il punto fondamentale è non costituire mai un bersaglio, su cui la maggiore potenza di fuoco dell’avversario possa concentrarsi. Sopravvivere divisi e poi colpire uniti, logorando uomini e mezzi ma soprattutto la resistenza psicologica dell’avversario, specialmente in società evolute e poco inclini al sacrificio come quelle occidentali.

Un esempio calzante potrebbe essere l’Operazione Pioggia d’Estate condotta in Libano, dagli israeliani, nel 2006. Le IDF (Israel Defense Forces), riconosciute in ambito internazionale come una delle Forze Armate con un altissimo livello di efficienza, non sono riuscite ad ottenere una vittoria risolutiva contro le formazioni degli Hezbollah.

Sulla carta lo scontro non aveva storia, sia in termini di forze contrapposte che di armamenti. Tuttavia i conflitti asimmetrici presentano grosse insidie per gli eserciti delle Nazioni sviluppate – tutela della vita dei propri soldati, pressione dell’opinione pubblica, relazioni con organismi internazionali – come ha potuto constatare il Pentagono in questi anni.

I guerrieri di dio hanno elaborato, con l’aiuto degli istruttori iraniani, delle tattiche per contrastare il potenziale militare di Tel Aviv.

Tanto per cominciare nessun tentativo di schierare un esercito convenzionale, come fece, ad esempio, l’OLP di Arafat fino al 1982. Pochi i mezzi pesanti (facilmente individuabili), come carri armati e artiglieria convenzionale (come gli obici D-30 da 122 mm montati su autocarri) ma una formazione di numerose piccole squadre di 5/6 elementi, raggruppabili solo in determinati contesti tattici, con armamento leggero ma in grado di arrecare danni consistenti al nemico: lanciarazzi controcarro RPG-7 e RPG-29; missili antiaerei spalleggiabili a guida infrarossi SA-16 Gimlet; mortai leggeri da 60 mm; mine anticarro e molto esplosivo al plastico.

Per uno scontro di questo tipo occorre personale fortemente motivato, meglio ancora se indottrinato al fanatismo religioso, addirittura disposto all’azione suicida. Il risultato è un miliziano fanatico, capace di rimanere per settimane nascosto in un buco sottoterra, per poi uscirne e compiere il suo attacco, sprezzante della propria incolumità, per cui non esiste deterrente preventivo.

Gli integralisti – il cui credo religioso pone il martirio come regola di vita corrente – sono ovviamente a conoscenza che un governo di un Paese democratico pretende dai propri militari che ottengano dei risultati nel più breve tempo possibile e con le minor perdite possibili.

Questo presupposto ha già dimostrato innumerevoli volte la sua impossibilità a realizzarsi in molti conflitti. È accaduto nella ex Jugoslavia nel 1999 (almeno per quanto riguarda le perdite zero) ma si trattava di una struttura statale, con bersagli precisi da neutralizzare. Tuttavia quando vengono a mancare bersagli paganti da colpire tutto diviene molto più difficile e pericoloso.

Hezbollah aveva già messo in pratica questa strategia, prima del 2000, quando aveva occupato tutto il Libano meridionale, in seguito al ritiro delle truppe israeliane.

Proprio nel corso della lunga occupazione israeliana – scaturita dalla necessità di proteggersi dagli attacchi palestinesi, provenienti sempre da queste zone – Hezbollah ha messo a punto queste tecniche di combattimento, causa di molte perdite tra le file delle IDF, tanto da indurre il Governo di Tel Aviv al ritiro unilaterale.

Superficialmente, la situazione venutasi a creare dopo il 2000 sembrava più stabile. Tuttavia l’influenza di Teheran, nella regione, si andava incrementando col passare del tempo.

L’Iran ha provveduto a rifornire di armi gli Hezbollah (ma anche di ingenti fondi per la gestione civile dei territori sotto il suo controllo), curando, attraverso l’invio di consiglieri, l’addestramento nonché l’indottrinamento ideologico. Alla fine lo Stato ebraico si è ritrovato con 80 km di confine non con il Libano bensì con l’Iran, con in più l’assenza di obiettivi industriali su cui far leva, con eventuali azioni militari.

Il ritiro israeliano dal Libano - sulla spinta anche dell’opinione pubblica, molto sensibile alle perdite - aveva come finalità la stabilizzazione dell’area. All’inizio la scelta sembrava avere successo, ma presto ci si rese conto che gli Hezbollah, con l’appoggio iraniano, cominciavano ad intensificare gli attacchi sul territorio israeliano.

Nonostante le informazioni, circa il potenziamento degli Hezbollah, fossero aumentate l’intelligence israeliana non era riuscita a comprendere fino in fondo il quantitativo di armamenti arrivato. Tuttavia, le possibilità di infiltrare un movimento come quello, proprio per la sua natura integralista, appare assai difficoltoso. È altresì vero che il governo Olmert – di centro sinistra – non aveva nessuna intenzione di farsi coinvolgere in una operazione militare su vasta scala; ma si è trovato di fronte a una serie continua di attacchi nei confronti della popolazione israeliana.

Una ulteriore aggressione nonché la cattura di due militari di israeliani, il 12 luglio 2006, ha indotto Tel Aviv a reagire, con un’offensiva in origine limitata e finalizzata solamente a neutralizzare la capacità bellica degli Hezbollah. Tuttavia quest’ultimi si sono dimostrati essere estremamente sfuggenti, oltre che animati da grande fanatismo.

I Guerrieri di Dio hanno mostrato una sorprendente capacità tecnologica, impiegando anche missili da crociera antinave cinesi C-802, ma anche razzi campali di grosso calibro – probabilmente razzi da 330 mm di origine sovietica – in grado di colpire Haifa ( per grandezza è la terza città israeliana, mai bombardata in precedenza ), nonché centri abitati ancora più a sud.

Inoltre, il tentativo delle IDF di colpire l’apparato militare nemico attraverso raid aerei si è dimostrato fallimentare – e non poteva essere diversamente – proprio per la mancanza di bersagli paganti. Nonostante Tel Aviv si fosse presa grossi rischi politici, in quanto tutti i bersagli attaccati, come a Beirut sud, erano appositamente collocati in strutture civili, con conseguenti danni collaterali.

Gli attacchi aerei dell’aviazione con la stella di David sono andati avanti per circa un mese, insieme a sporadici scontri a ridosso del confine, con perdite su entrambi i fronti.

I bulldozer blindati D-9 e D-12 hanno aperto nuove piste per permettere il transito ai mezzi corazzati, tuttavia gli Hezbollah sono riuscite a minarle con grandi cariche di esplosivo al plastico, in grado di mettere fuori uso anche i pesanti Merkava Mk IV (65.000 kg), oppure i veicoli corazzati per la fanteria Achzarit, derivati dallo scafo dei vecchi MBT Centurion.

Solamente alla metà di agosto Tel Aviv ha preso la decisione di spingere l’offensiva fino al fiume Litani, come già accaduto nel 1978, creando le condizioni per lo schieramento di un contingente internazionale a guida ONU, soluzione ritenuta soddisfacente dal governo Olmert, per preservare il territorio israeliano da ulteriori attacchi.

Dal punto di vista strettamente tattico, l’operazione Pioggia di primavera ha dimostrato il limite del potere aereo come risolutore assoluto dei conflitti, in special modo di quelli asimmetrici, in quanto i moderni gruppi di miliziani si disperdono in mezzo ai civili, ben sapendo le conseguenze politiche, anche sul piano internazionale, che eventuali attacchi provocherebbero.

Quindi occorrono boots on ground, per snidare i miliziani, i quali avevano costruito una lunga rete di tunnel, nei quali erano occultate le armi e le munizioni. Nonostante i mezzi israeliani siano i più protetti del mondo – inclusi i loro particolari veicoli trasporto truppe, ricavati dagli scafi di MBT dismessi –, hanno subito non pochi danni dagli Hezbollah che sono riusciti a realizzare numerose trappole: cariche al plastico interrate, mine controcarro, squadre equipaggiate con lanciarazzi controcarro (RPG-7D; RPG-29 ma anche gli AT-13 Saxhorn 2 russi), addestrate a colpire da tergo dopo essersi fatte superare dalla prima ondata.

I bersagli più consistenti erano rappresentati dai lanciarazzi multipli campali, contro cui si attivavano, in tempi assai brevi, l’artiglieria semovente israeliana, grazie anche al supporto delle telecamere dei mini droni sempre in volo sopra gli obiettivi (tra l’altro anche gli Hezbollah, grazie alla presenza di consiglieri iraniani, hanno utilizzato UAV, uno dei quali è stato intercettato e abbattuto in mare mentre sorvolava la costa meridionale di Israele). Tuttavia i tempi di lancio erano molto ridotti e questi sistemi d’arma erano molto ben nascosti. Si ipotizza che sul territorio israeliano siano stati lanciati oltre 2.000 razzi – dai 107 ai 330 mm – provocando 40 vittime tra i civili. Molti di essi sono stati lanciati senza un obiettivo preciso – si tratta sempre di ordigni a saturazione d’area – cadendo nelle campagne, ma il volume di fuoco erogato ha provocato molta apprensione tra la popolazione, vista anche la mancanza di contromisure atte a contrastare questi tipi di attacchi (occorrerebbero sistemi come il cannone OTO 76/62 SUPER RAPIDO, con il proietto DAVID/DART, in grado di modificare la traiettoria e abbattere proiettili d’artiglieria e bombe di mortaio).

Le IDF volevano comunque evitare di farsi coinvolgere in combattimenti urbani, come per esempio nella capitale degli Hezbollah Bin Jubail. Quest’ultima è stata circondata e sottoposta a massicci bombardamenti, sia da terra che dal cielo, con l’intenzione di distruggere i tunnel che vi si trovavano.

Molto spesso i grandi bulldozer blindati hanno letteralmente spianato le postazioni nemiche per eliminarne i difensori, asserragliati in un dedalo di tunnel. Altre volte si è cercato di far ricorso all’esplosivo.

I sistemi anticarro più recenti hanno creato diversi problemi anche ai massicci carri Merkava. Infatti una carica cava scarica tutta la sua capacità perforante (dell’ordine di 700/900 mm di acciaio omogeneo perforato) su di una piccolissima superficie, mentre la corazzatura è distribuita su tutto il mezzo. Inoltre, il terreno collinare, obbligava a precise direzioni di avanzata, che più di tanto non potevano essere modificate. Comunque sia i Merkava si sono dimostrati degli ottimi incassatori, infatti le perdite tra gli equipaggi sono state molto limitate, tuttavia non sono indistruttibili.

I sistemi controcarro degli Hezbollah si sono rivelati spesso insidiosi. Per esempio quando il 12 agosto, i reparti israeliani sono avanzati nello Wadi Saluki, vicino ai villaggi di Farun e Andurya, a sud del fiume Litani. I carri della 162ᵃ Brigata corazzata sono stati bloccati da un forte schieramento di missili anticarro AT-13 a guida laser.

I carri sono avanzati in campo aperto in una zona pianeggiante e gli Hezbollah li hanno bersagliati dalle colline circostanti, nonostante il fuoco dell’artiglieria e dei caccia israeliani, intervenuti rapidamente in loro appoggio. Inoltre i carri sono finiti su di un campo minato, costituito da mine aggregate a poderose cariche esplosive, in grado di danneggiare anche i pesanti Merkava.

Il carro del comandante la formazione è saltato in aria proprio su uno di questi ordigni. Otto soldati sono morti nei carri colpiti nella battaglia; quattro i caduti tra la fanteria e altri quattro feriti sono deceduti nonostante la rapidità dei soccorsi.

È ipotizzabile che, una formazione con altri tipi di corazzati, avrebbe subito perdite superiori ma l’errore più grave è stato proseguire l’avanzata su un terreno scoperto. Ovviamente i miliziani hanno subito ingenti perdite, tuttavia per loro le perdite hanno un altro significato. Gli analisti militari ritengono plausibile l’ipotesi che l’offensiva verso sud del fiume Litani si sia arrestata quando gli Hezbollah erano ormai allo stremo, avendo subito pesanti perdite in termini di combattenti. Molti sono deceduti nei crolli dei tunnel spianati da bulldozer o distrutti dalle bombe guidate degli aerei, ovviamente il numero esatto dei caduti tra gli Hezbollah non si saprà mai. Anche in questo vi è totale asimmetria.

Non sono mancati episodi casuali, come il razzo caduto su un accampamento israeliano causando 12 vittime (praticamente il 10% di tutte le perdite israeliane nel conflitto, pari a 127 militari); una pattuglia è finita in una casa pesantemente trappolata, subendo pesanti perdite.

L’impressione è che a forza di voler evitare perdite si rischia di non ottenere i risultati voluti, subendo ugualmente dei danni, inevitabili quando ci si schiera sul terreno e si ha davanti un avversario estremamente determinato, per il quale le eventuali perdite hanno un valore minore.

È interessante notare come la linea del cessate il fuoco tra Israele e la Siria, almeno fino al 2011, fosse tranquilla. Una spiegazione potrebbe essere ricercata nel fatto che i siriani sono consapevoli che l’artiglieria israeliana (in special modo i proiettili decalibrati da 175 mm degli obici semoventi M-107) può colpire dalle pendici del monte Hermon la capitale Damasco. Inoltre, l’aviazione di Tel Aviv potrebbe letteralmente annichilire l’apparato industriale e le infrastrutture della Siria, con conseguenze devastanti anche per l’apparato militare.

Ma che cosa colpire di Hezbollah?

Il potere aereo ha una sua validità quando si hanno bersagli concreti e paganti da colpire, quando si deve dare la caccia a piccoli gruppi di miliziani serve a ben poco. In questo caso occorrono soldati sul terreno, con tutte le conseguenze del caso.

A tal proposito l’Esercito israeliano ha una struttura molto flessibile e regolarmente addestrato ad operare in gruppi di combattimento (Task Force), a tutti i livelli, fino a quello divisionale. Per cui è abbastanza insolito che sul terreno si schieri una brigata o un battaglione, preferendo reparti eterogenei composti da unità corazzate, meccanizzate e d’artiglieria, con assetti vari in base alla minaccia da affrontare.

In merito alle forze speciali, queste includono reparti permanenti e della riserva. Quelli in seno ai paracadutisti sono tra le più addestrate e vengono impiegate per le incursioni in profondità. Le unità per le missioni a livello strategico fanno capo direttamente allo Stato Maggiore dell’Esercito e sono inseriti all’interno del Sareyet Mat’gal.

Nonostante le indubbie capacità operative delle IDF, sconfiggere un’organizzazione irregolare, dotata di armi sofisticate, mimetizzata tra la popolazione civile, si è rivelato una missione impossibile.

Quello dei danni collaterali è stato motivo di forti discussioni, anche a livello internazionale. In Libano meridionale, molti villaggi, dove non si trovavano integralisti sciiti, non sono stati attaccati, a riprova che l’azione militare israeliana era selettiva. Infatti Tel Aviv si era assicurata di avvisare i civili di abbandonare determinate zone, dove si riteneva che si trovassero obiettivi da colpire, in quanto gli Hezbollah avevano moltissimi rifugi e depositi di armi nascosti tra le case.

Nonostante questi accorgimenti, Il governo Holmert, impegnandosi nell’operazione Pioggia d’Estate, ha raccolto non solo molte critiche dagli organismi internazionali - per i gravi danni subiti dalle strutture civili libanesi -, ma anche le critiche dei militari, in Israele equivalenti all’intera popolazione, in quanto la politica adottata è risultata troppo esitante e priva di una strategia di ampio respiro.

(foto: IDF / web)