I marinai portoghesi che per primi provarono a circumnavigare l'Africa passando per il capo di Buona Speranza, le chiamavano "as areias do Infern".
Quello che si vede nell’immagine non è il miraggio di una nave incagliata nel deserto della Namibia. Un relitto insolito, abbandonato al proprio destino da oltre cento anni: è la Eduard Bohlen naufragata sulla Skeleton Coast il 5 settembre 1909 a causa del "cassimbo", la fittissima nebbia oceanica che non ti permette di vedere due metri davanti a te. Da allora il suo scheletro giace nella sabbia, ormai a oltre 400 metri dal litorale.
Della nave mercantile di oltre 94 metri di lunghezza della Woermann-Linie in rotta da Swakopmund a Table Bay rimane ben poco. La carcassa del suo scafo è parzialmente sepolta sotto la sabbia, come se fosse rimasta incagliata nel tempo. In realtà negli anni seguenti al suo affondamento, il deserto iniziò a spingersi sempre più nell’Oceano.
Skeleton Coast, la "costa degli scheletri"
Un luogo affascinante e allo stesso tempo spettrale, chilometri di costa dove il clima è uno dei più inospitali del mondo. La corrente del Benguela scorre da sud a nord rendendo impossibile la navigazione. Il vento, prevalentemente di terra, crea degli inquietanti banchi di nebbia e sabbia da cui è difficilissimo uscirne. La sabbia viene modellata per centinaia di metri dalla riva e, mischiata dalla violenza delle onde, crea dei muri subacquei che incastrano qualsiasi nave si avvicini troppo alla riva. Il caldo è torrido e piove pochissimo. E per chi si addentra al di là delle prime dune di sabbia, quello che trova è un paesaggio desolante di sabbia, qualche roccia e acquitrini che si trasformano in trappole mortali.
La Skeleton Coast è diventata una sorta di cimitero di navi a cielo aperto e molti altri relitti disseminano il deserto intorno all'Eduard Bohlen. Alcuni rimangono ancora nelle mani dell'oceano, mentre altri non sono altro che pochi pezzi di legno che spuntano dalla sabbia.
Sul nome per cui oggi è nota, la "costa degli scheletri", le interpretazioni sono diverse. C'è chi ritiene che tutto nasca dalla vista delle ossa di balena e altri animali spiaggiati, che nel tempo i marinai, soprattutto portoghesi, riportavano nelle loro cronache alimentando le leggende su questo vero e proprio incubo per chiunque solcava le acque dell'Atlantico verso il capo di Buona Speranza.
Qualcuno ritiene che il nome si debba a un giornalista, Sam Davis, che parlando di un incidente aereo avvenuto in quell'area scrisse che il pilota l'avrebbero ritrovato nella di Skeleton Coast, la costa degli scheletri, appunto.
Altri fanno riferimento invece al libro scritto da John H. Marsh, appunto "Skeleton Coast", che narra il drammatico salvataggio degli uomini della MV Dunedin Star, incagliata nelle terrificanti sabbie della Namibia dal novembre del 1942 e lì rimasta per decenni.
Come gli Oceani celano i loro tesori nelle profondità più inaccessibili, anche la Skeleton Coast nasconde i suoi relitti coprendoli con la sua sabbia sino ad inghiottirli per sempre.
Foto: Anagoria, Olga Ernst