Le politiche navali della seconda metà del XIX secolo: la Royal Navy

(di Francesco Sisto)
24/02/25

Le Marine da guerra, nella seconda metà del XIX secolo, registrarono un importante sviluppo tecnologico, che si materializzò in cinque direzioni: l’affermazione della propulsione meccanica ad elica, delle costruzioni in ferro, dell’applicazione di corazze, introduzione di nuove armi (cannoni rigati a retrocarica, granate, mine subacquee, i primi sommergibili a vapore e i primi siluri) e la “disposizione dei cannoni dell’armamento principale in torri corazzate girevoli”.1

La Gran Bretagna, a metà del XIX secolo, produceva quasi due terzi del carbone mondiale, quasi metà del ferro, cinque settimi dell’acciaio, due quinti dei macchinari e quasi metà della tela di cotone. Inoltre, in questo periodo iniziava a produrre i suoi effetti anche l’impiego della propulsione a vapore per le navi da guerra.

In seguito, quando le navi a vapore si attestarono, il peso industriale della Gran Bretagna le diede l’opportunità di “riprendersi” la provvisoria superiorità che le aveva sottratto La Grande Nation (la Francia) nella progettazione dei singoli vascelli. Infatti, l’abilità di realizzare più navi di chiunque altro, esclusiva apparente sui carboni a più alto potere calorifico, e le notevoli risorse di carattere finanziario erano le salde basi del potere marittimo della Gran Bretagna. Oltre a tutto questo vi era la grande competenza e professionalità degli equipaggi (decisamente superiori a quelli delle altre marine).2

Nel 1859 la Marina francese era stata la prima al mondo a varare una “vera” nave corazzata: la Gloire (foto). Quest’ultima, dotata di corazzatura in acciaio e scheletro in legno, venne in seguito surclassata dalla HMS Warrior (varata nel 1860 - foto apertura) della Royal Navy. La corazzata britannica era caratterizzata da uno scafo e di una corazzatura in acciaio.

Successivamente, venne impostato un importante programma per la realizzazione di corazzate. Quest’ultime erano indubbiamente superiori per potenza di fuoco a quelle della Marina francese. Inoltre, è bene sottolineare che la forza industriale della Gran Bretagna, in fase di celere evoluzione tecnologica, insieme alle sue ampie disponibilità di carbone e alla sua estesa rete di porti di caricamento, era in pratica irraggiungibile per La Grande Nation.

Globalmente, fino ai primi anni Ottanta del XIX secolo la Royal Navy non ebbe rivali; tutto questo, di fatto, portò a una riduzione della spesa per la flotta. È bene precisare che le diminuzioni avvennero – anche – per la teoria del “Brick and mortar school”. Questo “pensiero” (costituito dai rappresentanti del British Army, che convenivano con la scuola francese), sostanzialmente, invocava la necessità di diminuire le spese per una flotta di alto mare ed esortava una strategia di carattere difensivo (edificare fortificazioni costiere). Tuttavia, questa teoria trovò scarso successo in Gran Bretagna.

L’Ammiragliato britannico, nel 1889, vista la graduale e temibile intesa diplomatica fra la Francia e l’Impero russo, decise di mantenere in vita una grande flotta da combattimento di dimensione quanto meno pari alle flotte congiunte della seconda e terza Marina da guerra del momento. Di conseguenza, il Parlamento britannico il 31 maggio 1889 emanò il Naval Defence Act 1889; Londra diede il via al “Two-power standard”.

Questa dottrina costituì l’architettura della politica navale britannica per i due decenni successivi.

In seguito, tale politica la Gran Bretagna fu costretta ad abbandonarla perché una nuova minaccia era all’orizzonte: la Marina imperiale tedesca.

Si può affermare che oramai la Pax Britannica si stava avviando alla conclusione…

1 A. Santoni, Storia e politica navale dell’età contemporanea, UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE, Roma, 2005, p. 15

2 P. Kennedy, Ascesa e declino della potenza navale britannica, Garzanti, Milano, 2010, p. 245