La Necchi del Granatiere

(di Mario Veronesi)
26/12/22

Nel profondo Oltrepò Pavese, ai piedi di quell’Appenino che unisce la Lombardia, all’Emilia, al Piemonte, e alla Liguria. Quella terra che costituiva la vecchia Via del Sale e che viene denominata delle “Quattro Province”. Ad una decina di chilometri dal capoluogo Varzi, sulle pendici di questo splendido territorio preappenninico, a 700 metri d’altura, si trova Cella di Varzi, dove sorge il “Tempio della Fraternità”, è un luogo che ti segna, che ti emoziona, che suscita farti sensazioni.

Tra i molti cimeli qui presenti, mi ha colpito un oggetto che non appartiene a quelle espressamente riguardanti il conflitto: una macchina da cucire, e sorge spontanea la domanda “cosa c'entra con la seconda guerra mondiale?”

C'entra per diversi motivi: perché è stata imbarcata per 12 anni sul cacciatorpediniere Granatiere, perché ha partecipato a tutte le vicissitudini belliche di quell’unità della Regia Marina, perché costruita dalla Necchi di Pavia, ditta ormai scomparsa da decenni.

Fino all’inizio degli anni settanta del secolo scorso, quando a bordo erano rappresentate tutte le arti ed i mestieri, la tabella organica navale prevedeva l’imbarco di sarti, e quindi nella dotazione di bordo erano comprese delle macchine da cucire tipo famiglia per corredi e bandiere, e industriali per cappe e tende.

Questa Necchi ha uno stato di servizio eccezionale, quello che può vantare solo un componente dell’equipaggio di un cacciatorpediniere, perché tale merita di essere considerata.

La nostra macchina si trovava in un locale di prora, in balia al beccheggio ed al rullio, ignara della sorte comune, come lo sono quasi tutti i marinai impegnati su una nave, dove pochi stanno in coperta e vedono cosa davvero accade.

Punta Stilo, Capo Teulada, Matapan, battaglia della Sirte, battaglie notturne, attacchi, di sommergibili, e di bombardieri, tutte le ha fatte il Granatiere. La nostra Necchi d’ordinanza sempre lì, a cucire camisacci, a rimettere in sesto paglioli per il posto di lavaggio, a ridar consistenza a divise sbrindellate, a rendere nuovamente portabili i pantaloni squarciati dall’agilità imposta dalle scalette ripide della nave.

Qualche volta le battaglie d’uso erano più gravi di quelle sostenute in mezzo al mare, quando la macchina, veniva sballottata come il resto dell’equipaggio, da dritta a sinistra, sia dall’accostata repentina, sia dal mare in forza.

Questa Necchi ha navigato per 61.718 miglia, ha partecipato a 448 missioni di guerra subendo 72 bombardamenti aerei e ha visto morire 43 bravi ragazzi che le erano affezionati, e la consideravano ormai come una di loro.

Dopo dodici anni di lavoro sul mare, la nostra Necchi sbarca, e viene sostituita da una nuova recluta, un’altra Necchi, certamente in grado di tener alto il nome della famiglia delle macchine per cucire pavesi.

La Necchi reduce di guerra ritorna a Pavia e si guadagna un posto d’onore nel fornitissimo museo interno della ditta, nel quale sono raccolte decine e decine di macchine che hanno contribuito a scrivere la storia mondiale del cucito a macchina.

La chiusura della ditta non salva questo museo, al momento dello svuotamento, quando la raccolta di gioielli meccanici viene venduta come ferro vecchio, e della Necchi “marinara” si perdono completamente le tracce.

Sopravvissuta alla guerra, la nostra Necchi non si arrende alle avversità del destino: attraverso traversie di cui non abbiamo riscontro, la Necchi del Granatiere la troviamo oggi, accolta nella collezione di cimeli del Tempio della Fraternità a Cella di Varzi.

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