La guerra dell’Ogaden tra Etiopia e Somalia (1977-1978): le premesse storiche e politiche del conflitto

(di Manuele Serventi Merlo)
03/05/17

Le origini storiche della guerra dell’Ogaden possono farsi risalire alla fine del XIX secolo quando le diverse potenze coloniali europee, presenti nell’area del Corno d’Africa, si divisero il territorio in distinte aeree senza aver riguardo alcuno per gli aspetti etnologici.
Finita la II Guerra Mondiale e ripristinato il proprio Impero, il Negus Haile Selassiè incluse nell’Etiopia anche l’Ogaden nonostante fosse abitato da popolazioni di etnia somala. Ciò avveniva in un momento in cui la Somalia era ancora sotto mandato fiduciario italiano per mandato dell’ONU, cessato il quale – luglio 1960 - non passò molto tempo perché i politici somali rivendicassero l’Ogaden etiopico nell’ambito di una politica pansomala.
Visti i continui rifiuti etiopi, i governanti di Mogadiscio assunsero col tempo atteggiamenti sempre più bellicosi che preoccuparono seriamente i partner militari della Somalia. Si arrivò così nel 1963 ad una vasta insurrezione delle popolazioni di etnia somala presenti nell’Ogaden.

Seppur inizialmente la Somalia non intervenne, in quanto conscia della propria debolezza militare rispetto all’ingombrante vicino, in seguito, vista la mobilitazione dell’opinione pubblica interna, si vide costretta giocoforza ad intervenire schierando le proprie Forze Armate alla frontiera.
Dopo diversi incidenti e scaramucce con le truppe etiopi impegnate nella violenta repressione della rivolta, le forze somale oltrepassarono il confine ed attaccarono. L’Esercito etiope, tuttavia, resistette e riuscì a contrattaccare con l’aiuto dell’aviazione.
Grazie all’intervento della comunità internazionale nel marzo 1964 le ostilità si interruppero, consentendo così ad Etiopia e Somalia di firmare a Khartoum un cessate il fuoco.

Ciononostante, l’inimicizia continuava a covare tra i due Stati. Per tale ragione la Somalia decise di aumentare gli organici del proprio esercito a 20.000 uomini e di rivolgersi ad est per un sostanzioso pacchetto di aiuti militari.
Arrivarono così nel paese del Corno d’Africa circa 150 carri armati T-34, numerosi APC BTR-40, BTR-152 e pezzi di artiglieria da 76 mm e 122 mm. Anche il corpo aereo somalo venne notevolmente potenziato attraverso la fornitura di oltre 50 aerei, tra cui molti MiG-17.
Giusto in tempo: nell’ottobre 1969, infatti, dopo una serie di disordini culminati con l’assassinio dell’allora presidente della Repubblica in carica Shirmarke, saliva al potere il gen. Mohammed Siad Barre.
Questi, già comandante supremo dell’esercito somalo, non perdeva tempo e dichiarava la Somalia una Repubblica Socialista con forti legami con i Paesi del Patto di Varsavia.
Fu così che arrivano in Somalia altri cospicui aiuti economici e militari da parte dei Sovietici in cambio dell’uso del porto di Barbera e degli aeroporti di Chisimaio, Baidoa e Mogadiscio stessa. Assieme ai mezzi sovietici arrivarono anche diverse centinaia di consiglieri per l’addestramento delle truppe locali.
Nella fattispecie, giunsero negli arsenali militari somali circa 200 carri T-55, altrettanti APC BTR-50P, 40 nuovi caccia MiG-21MF accompagnati da missili SA-2, pezzi d’artiglieria ecc...

Armamenti certamente moderni per l’epoca ma che, tuttavia, non impedivano che il livello generale di efficienza delle truppe somale rimanesse comunque piuttosto basso.

Anche la vicina rivale Etiopia stava vivendo dei forti cambiamenti politici. Nel 1974, il vecchio imperatore Hailè Selassiè (foto) veniva rovesciato ed il suo posto veniva occupato da un gruppo di giovani ufficiali di chiare simpatie marxiste riunitisi nel Derg ("Comitato").
Dopo una serie di lotte intestine, all’interno del comitato emerse la figura del magg. Mengistu Haile Mariam quale uomo forte del nuovo regime. In tutto questo, ovviamente, i vari movimenti indipendentisti presenti sul territorio etiope non rimasero a guardare. Eritrea prima e lo stesso Ogaden successivamente tornarono ad infiammarsi.

L’Etiopia entrava così in una grave crisi economica, peggiorata dal blocco statunitense degli aiuti economici e militari nel 1976 per il cambio di indirizzo politico di Addis Abeba. Cambio di indirizzo politico che l’URSS seppe sfruttare abilmente utilizzando Cuba come cavallo di Troia.

I frutti di una simile politica estera non tardarono ad arrivare: a maggio 1977 Mengistu volava a Mosca dove firmava diversi accordi di cooperazione dopo aver dato il benservito agli USA disponendo la chiusura della loro ambasciata il 23 del mese.
Siad Barre rimase molto irritato di questa nuova collaborazione tra Etiopia ed URSS in quanto vi vedeva un ostacolo per la creazione della Grande Somalia. Per calmarlo, Mosca propose allora la creazione di una Federazione di Stati del Corno d’africa che comprendesse l’Etiopia, la Somalia stessa e lo Yemen del Sud. Per promuoverla venne indetta una grande Conferenza di Capi di Stato che si tenne ad Aden con la presidenza di Castro. Ma nulla di concreto ne uscì: Barre rimase delle sue posizioni.
L’URSS, a questo punto, abbandonò la Somalia per rivolgere i propri aiuti all’Etiopia in grave crisi interna per il tentativo di secessione dell’Eritrea. La Somalia si doveva pertanto rivolgere ai Paesi arabi in nome della comune fede musulmana. Anche Washington, fino ad allora alla finestra, riprese i rapporti con Barre in chiave anti sovietica. Il presidente somalo sapeva delle difficoltà degli etiopi e di quelle proprie. Allo stesso tempo, sapeva anche che quella poteva essere l’ultima occasione per riprendere l’Ogaden. Decise così di attuare una campagna di guerriglia nell’Ogaden utilizzando circa 5000 uomini del WSLF (West Somalia Liberation Front) inquadrati e diretti da ufficiali dell’esercito regolare in aspettativa per giustificare le proprie mosse.

All’epoca, lo SNA (Somali National Army), contava 35.000 uomini e circa 300 carri tra T-34 e T-54/T-55, più 350 APC BTR-50P e BTR-152 suddivisi in quattro brigate con uno o due battaglioni carri, un battaglione di fanteria meccanizzata ed uno di artiglieria con obici da 122mm, cannoni da 76 mm e lanciarazzi BM-21. A sua volta il SAC (Somali Air Corps), con un organico di circa 1.750 effettivi, disponeva più o meno di 40 aerei da combattimento tra cui rientravano 30 MiG-21MF ed una decina di MiG-17, accompagnati da un numero pari di elicotteri Mil Mi-8 assieme a tre C-47 Dakota ed altri velivoli da addestramento, aeromobili che l’aeronautica somala concentrava prevalentemente presso la base aerea della città di Hargeysa, situata a circa 50 km dal confine con l’Etiopia.

Dall’altra parte della barricata, l’Esercito Etiope poteva contare su circa 55.000 uomini e 120 carri armati M-24, M-41 e M-47, due battaglioni di artiglieria con 48 pezzi da 105 mm e due btg aerotrasportabili. L’aviazione militare etiope era in condizioni molto difficili dopo la cessazione di ogni programma di assistenza militare da parte dei Paesi occidentali. Nell’estate 1977 poteva quindi schierare soltanto una quarantina di aerei di prima linea impegnati quasi esclusivamente in Eritrea, ma con un buon livello di addestramento. Nella fattispecie, era organizzata su uno Squadron di 10 caccia bombardieri Northrop F-5A e 8 F-5E Tiger II, tre squadron da caccia con 18/20 North American F-86F Sabre ed uno da bombardamento su tre English Electric Canberra B Mk-52. A completare il quadro vi erano infine reparti basati su monomotori SAAB 17B e North American T-28A, coadiuvatati da una significativa componente trasporti con circa 50 tra C-47, C-54 e C-119K.

Leggi la seconda parte: "la Somalia attacca"