La Corea: il laboratorio della guerra aerea moderna

(di Lorenzo Lena)
28/01/25

L’inizio della guerra di Corea, il 25 giugno 1950, trovò le forze aeree che vi avrebbero partecipato nel pieno della transizione dalla propulsione a elica verso quella a reazione. Caccia che avevano dominato i cieli, come il P-51 Mustang (F-51 secondo la nuova designazione dell’Aeronautica) o bombardieri strategici come il B-29 Superfortress dovevano confrontarsi con nuovi velivoli, in grado di erogare prestazioni assolutamente superiori.

I primi modelli a reazione, come l’F-80 Shooting Star, l’F-84 Thunderjet, l’F-2 Banshee e l’F-9 Panther, risentivano ancora di caratteristiche non ottimali, soprattutto riguardo una configurazione alare a pianta quadrata che costituiva un grave limite aerodinamico.

La stessa United States Air Force era stata istituita come forza armata autonoma solo nel 1947, e si lavorava a dottrine coerenti tra il desiderio di agire in assoluta indipendenza (l’impiego strategico nel cuore del territorio avversario) e la necessità di cooperare con le altre forze armate sul campo di battaglia.

Problematiche tecniche e concettuali che si inserivano nel contesto della smobilitazione seguita alla fine della guerra mondiale, con la dismissione di interi reparti e la necessaria riconfigurazione da una economia di guerra a una industriale standard.

Al momento dell’invasione nordcoreana, erano presenti in Giappone alcune centinaia di aerei di ogni tipo appartenenti alla Far East Air Force, inquadrati per garantire la difesa aerea dell’arcipelago e non per intervenire in una guerra nella penisola coreana. Mentre l’aviazione sudcoreana era di fatto inesistente, quella di Pyongyang era basata su vecchi ma efficaci modelli sovietici Yakovlev, Lavochkin (foto) e Ilyushin, in grado di cooperare alla riuscita fase iniziale dell’offensiva.

La prima fase del conflitto vide il crollo dell’esercito e del governo sudcoreani, spinti nell’estrema punta meridionale della penisola e assediati all’interno del perimetro di Pusan assieme alle pochissime forze statunitensi presenti. In aria, invece, fin dalle prime settimane il Comando delle Nazioni Unite (definizione formale di quelle che di fatto erano le forze armate americane affiancate da una serie di contingenti alleati) riconquistò la superiorità aerea che però, davanti al collasso sul campo, non poté invertire l’esito del conflitto.

L’Aeronautica, dalle basi in Giappone, la Marina e il Corpo dei Marines dalle portaerei, oltre a aerei britannici, australiani e di altri membri del Commonwealth operarono senza sosta per distruggere le linee di comunicazione, le ferrovie, i ponti, ogni infrastruttura lungo la quale i nordcoreani potessero muovere uomini e mezzi verso Pusan.

Il momento di svolta del conflitto, in settembre, fu lo sbarco voluto dal generale Douglas MacArthur nel porto di Inchon (foto), vicino a Seul, con le poche forze che era stato possibile raccogliere nel tempo a disposizione.

Vincendo un azzardo pericolosissimo, l’esercito nordcoreano venne messo in rotta e inseguito verso nord, rovesciando completamente l’esito della guerra al punto che si diffuse la certezza che tutto sarebbe finito per Natale.

Con più nessun obiettivo pagante a disposizione, la FEAF tentò di organizzare alcuni assalti aviotrasportati per intrappolare le divisioni nordcoreane in fuga, ma con poco successo.

Nel frattempo, la Cina comunista e l’Unione Sovietica stavano pianificando il loro intervento in soccorso del regime comunista in crisi. A fine novembre, dopo un concentramento di forze che era stato colpevolmente ignorato dal Comando delle Nazioni Unite, trecentomila cinesi travolsero le forze ONU in quella che rimane la più grave sconfitta di un esercito americano sul campo di battaglia.

Anche sul fronte aereo l’intervento sino-sovietico fu determinante, con l’introduzione di quello che sarebbe stato il protagonista indiscusso della guerra, il caccia a reazione con ala a freccia MiG-15 (foto apertura). Derivato dagli studi recuperati nella Germania occupata sulle migliori realizzazioni aerodinamiche moderne, il vero punto di forza di questo intercettore era il motore Klimov VK-1 (foto seguente), una derivazione sovietica del motore britannico Rolls-Royce Nene. Alcune decine di esemplari di Nene erano state chieste a Londra da una delegazione industriale nel 1946.

Incredibilmente, nonostante la ferma opposizione dei servizi di sicurezza, l’accordo era stato finalizzato con la generica assicurazione che gli studi tecnici non avrebbero avuto un risvolto militare. La devastata economia dell’Impero in disfacimento non poteva rischiare di iniziare una guerra commerciale con l’Unione Sovietica, che d’altro canto non era ancora un avversario riconosciuto.

Spinto da uno dei migliori apparati propulsivi a disposizione, configurato con un’ala a freccia che forniva caratteristiche di volo di gran lunga superiori alla pianta quadrata e armato con tre cannoni pesanti appositamente installati per abbattere i bombardieri americani, il MiG-15 divenne l’incubo delle forze aeree alleate in Corea e rese istantaneamente inutilizzabili sulla prima linea praticamente tutti i velivoli avversari.

Ufficialmente pilotato solo da equipaggi cinesi e nordcoreani, in realtà anche da numerosi piloti sovietici appartenenti al 64esimo corpo aereo da caccia distaccato da Stalin in Manciuria, il nuovo caccia ottenne una immediata superiorità aerea nella regione di confine, che venne soprannominata MiG Alley, il Corridoio dei MiG. Quasi da un giorno all’altro, la FEAF perse la propria libertà di manovra lungo il confine sino-coreano dal quale continuavano a transitare rinforzi e rifornimenti per le forze sul fronte.

L’unico netto vantaggio di cui disponevano gli americani era l’esperienza dei piloti, tutti veterani della guerra nel Pacifico, mentre solo molti dei sovietici avevano un background di combattimento; cinesi e nordcoreani uscivano da poche settimane di addestramento.

Per controbilanciare l’ingresso in scena dei MiG, venne presa la difficile decisione di schierare in Corea il più avanzato caccia disponibile nel fronte occidentale della guerra fredda, il North American F-86 Sabre (foto). Unico altro caccia con ala a freccia, con un armamento meno potente del MiG-15 ma dotato di ausili tecnologici superiori all’avversario, come il puntamento RADAR assistito e la cabina pressurizzata, il duello tra il MiG-15 e il Sabre divenne la caratteristica della guerra di Corea tra il 1951 e il 1953.

Il caccia statunitense prese (molto) lentamente il sopravvento soprattutto grazie all’eccellente addestramento degli equipaggi. Equipaggi che spesso cadevano preda di quella che divenne nota come “MiG madness”, l’ossessione di inseguire e abbattere un MiG a qualsiasi costo. Anche violando l’obbligo di non sconfinare in Cina, dove avevano base i reparti aerei comunisti e sui cui cieli avvenivano quotidiane battaglie al termine delle quali gli abbattimenti non venivano registrati.

Il MiG-15 rimase per tutta la durata del conflitto un avversario letale per le forze aeree ONU, infliggendo durissime perdite soprattutto alle formazioni dei bombardieri B-29 in volo sulla Corea del Nord, troppo lenti e vulnerabili.

Il 12 aprile 1951 la FEAF tentò di colpire il ponte di Sinuiju tra Cina e Corea con alcune decine di B-29 scortati da caccia F-84; intercettati da MiG con equipaggi sovietici, 3 bombardieri andarono perduti e numerosi altri furono danneggiati, un quarto della forza da bombardamento, senza che la scorta potesse fare niente.

Come risultato del “giovedì nero” non furono più tentate operazioni di bombardamento diurno in aree pattugliate dai MiG. Anche le missioni di supporto ravvicinato alle forze di terra, impegnate in continue avanzate e ritirate lungo la penisola a ridosso del Trentottesimo parallelo, subirono le continue incursioni dei caccia cinesi e sovietici. Ai pericoli posti dal nemico, si aggiunse la particolare configurazione del campo di battaglia.

L’operazione Strangle, con cui la FEAF tentò di tagliare le linee di comunicazione nordcoreane, non ottenne il successo sperato perché cinesi e nordcoreani non avevano bisogno di particolare logistica e per quello che era necessario si limitavano a riparare alla meglio le strade colpite.

La strategia di colpire infrastrutture critiche in Corea del Nord come dighe e centrali energetiche si rivelò poco utile, perché questi obiettivi in Corea erano pochissimi e quelli posti in Cina e URSS erano irraggiungibili per ragioni politiche.

Reparti aerei sovietici vennero distaccati ripetutamente in Corea, con uniformi cinesi o coreane, e combatterono contro le forze ONU per tutta la durata del conflitto.

La guerra aerea in Corea segnò un momento di passaggio fondamentale nell’evoluzione del combattimento aeronautico. Vide la fine del caccia a elica come intercettore di punta, surclassato dai nuovi caccia a reazione e relegato (con una discreta efficacia) al ruolo di supporto ravvicinato alle forze di terra.

Anche il bombardamento con i giganteschi quadrimotori che avevano dominato la Seconda guerra mondiale non era più possibile. L’elevatissimo rateo di perdite dei B-29 sui cieli nordcoreani (foto) chiuse definitivamente questa pagina di storia dell’aviazione, sostituita da meno appariscenti formazioni di caccia-bombardieri a reazione che avrebbero combattuto poi in Viet-Nam e oltre, come l’F-105 Thunderchief.

Il duello tra i Sabre e i MiG-15 fu anche l’ultimo grande scontro dogfight, combattuto tra piloti che cercavano di portarsi nella posizione ideale per abbattere l’avversario prima che questo riuscisse a fare lo stesso. Sotto tale punto di vista fu una guerra straordinariamente antiquata, non diversa dai duelli aerei del primo conflitto mondiale.

Nel volgere di pochi anni sarebbero entrati in linea i missili aria-aria che avrebbero surclassato i combattimenti a colpi di cannone. Un vantaggio tecnologico spesso sterilizzato da regole d’ingaggio assurde, come quella che nel Viet-Nam imponeva ai piloti degli F-4 Phantom di non sparare prima di avere identificato a vista il proprio obiettivo, a una distanza alla quale l’ingaggio missilistico diventava impossibile e si doveva tornare al dogfight.

Quella delle regole d’ingaggio politiche fu una tematica introdotta in Corea, con l’obbligo di ignorare il territorio cinese da cui veniva continuamente rigenerata la spinta offensiva comunista, proseguita in Viet-Nam e sotto diversi aspetti anche nelle guerre al terrorismo del Ventunesimo secolo. Un altro primato della guerra di Corea, dove lo scontro militare da vincere passò in secondo piano rispetto al problema politico da gestire. Con l’ovvia perdita di rilevanza di ogni possibile superiorità tecnologica.

Gli anni Cinquanta videro l’immissione in ruolo di decine di modelli di aerei a reazione, sviluppati sulle teorie pensate ancora durante il conflitto mondiale. Alcuni non superarono la prova del fuoco e vennero radiati entro pochi anni, altri come il Sabre rimasero in servizio nelle successive versioni e in vari Paesi fino agli anni Settanta.

In generale, fu il banco di prova per sviluppare quei concetti, tattiche e linee di comando che avrebbero poi caratterizzato il fronte aereo della guerra fredda, facendone un tassello fondamentale del modo – spesso sclerotico – in cui vennero affrontati i successivi conflitti.

Foto: USAF / web