La battaglia dei ponti di Nassiryah: la prima offensiva dell’esercito italiano dalla Seconda Guerra Mondiale

(di Tiziano Ciocchetti)
09/10/17

Il 6 aprile del 2004 il contingente italiano in Iraq – nel quadro dell’operazione Antica Babilonia iniziata l’anno precedente – affronta e sconfigge i miliziani appartenenti al movimento sadrista, in quello che è il maggiore scontro a fuoco sostenuto da reparti militari italiani dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Nel quadro dell’offensiva di Al-Sadr – leader del movimento sadrista – contro le basi dei contingenti occidentali in Iraq, Nassiryah rappresenta un bersaglio relativamente morbido, i miliziani sono a conoscenza delle carenze di mezzi pesanti degli italiani e dei caveat imposti nelle regole d’ingaggio. Inoltre Al-Sadr ritiene che una vittoria militare in quella città – a maggioranza sciita – possa rappresentare un trampolino di lancio per una sua affermazione politica.

Il piano dei miliziani è molto semplice, una volta fatto affluire i rinforzi da fuori città, avrebbero assunto il controllo dei tre ponti sull’Eufrate, oltre a quello della statale nella periferia orientale di Nassiryha. Questa ha un piccolo centro storico caratterizzato da vie di comunicazione molto strette, mentre il resto della città è costituito da edifici bassi e villette, con vie e viali abbastanza larghe.

Il 3 aprile sono cominciati ad affluire in città gruppi armati, inoltre si stava giungendo al termine di una importante festività sciita, con pellegrinaggi a Garbala, e in altre località sacre, di milioni di fedeli islamici, compresi sciiti iraniani. Da segnalare l’accesa propaganda alla lotta armata da parte di questi gruppi, sbandierando fantomatiche vittorie sui soldati italiani.

Nella città si trovano tre ponti carrabili che attraversano l’Eufrate. Il ponte chiamato Alpha – il più occidentale dei tre – è posizionato tra le basi Libeccio e Maestrale, la prima è occupata dai militari irakeni con una aliquota di carabinieri che si occupano dell’addestramento, mentre la seconda è stata abbandonata in seguito all’attentato del 12 novembre 2003.

Il ponte Bravo si trova al centro, nei pressi di un grande serbatoio d’acqua, il ponte Charlie, il più grande dei tre, si trova invece nella periferia orientale della città. I miliziani ne prendono il controllo, allestendo postazioni difensive con mitragliatrici e lanciarazzi RPG-7D.

Vista la situazione sempre più insostenibile, il 5 aprile, i carabinieri decidono l’evacuazione della base Libeccio. Vengono sostituiti da una squadra di tiratori scelti in forza all’ 11° reggimento bersaglieri della brigata Ariete, la quale fornisce importanti informazioni al Comando italiano circa il numero e i dislocamenti dei miliziani sadristi.

Il quadro tattico vede tutti e tre i ponti di Nassiryah occupati dai miliziani, da parte del contingente italiana non si segnala ancora nessuna iniziativa, in quanto si vuole evitare uno scontro. Una volta che le trattative si sono esaurite, il Comando italiano si vede costretto ad intervenire con forza, non essendo tollerabile che milizie armate controllino gli accessi principali della città, isolando di fatto la sede dell’Amministrazione Provvisoria (C.P.A.).

Dalla testimonianza del generale Luigi Scollo, allora comandante dell’11° reggimento bersaglieri e incaricato di guidare l’operazione per la riconquista dei ponti:

Fin dall’inizio, decidemmo di escludere l’utilizzo di elicotteri (in teatro si trovano velivoli HH3F dell’AMI, AB412 e CH47c dell’AVES) per il trasporto del personale nella zona d’operazioni. Nelle settimane precedenti avevamo sequestrato ingenti quantitativi di missili spalleggiabili ex sovietici SA-7 Strela a guida infrarossi: la minaccia di possibili abbattimenti nonché l’elevata rumorosità di tali velivoli ne sconsigliavano l’utilizzo.

Le forze d’attacco del contingente italiano:

  • Due compagnie dell’11° reggimento bersaglieri

  • Una compagnia del 132° reggimento carri Ariete (priva di carri Ariete e utilizzata come fanteria)

  • Uno squadrone del 3° reggimento Savoia Cavalleria (equipaggiata con blindo pesanti B1 Centauro)

  • Una compagnia di fucilieri del reggimento anfibio San Marco.

Sono presenti, ovviamente, anche aliquote di forze speciali (due distaccamenti del Col Moschin e uno del GOI) le quali svolgono una importante funzione di ricognizione degli obiettivi (fattore importante per la riuscita dell’operazione è determinare se sui ponti siano state collocate delle cariche esplosive).

Uno dei principali vantaggi dei militari italiani rispetto ai miliziani è costituito dalla buona dotazione di apparati per la visione notturna – anche se il numero è comunque inferiore alle necessità – nonché l’impiego di mezzi protetti.

Generale Scollo: una compagnia dei bersaglieri era equipaggiata con veicoli trasporto truppe VCC1 con protezioni spaziate (in grado di contrastare l’effetto perforante delle cariche cave), mentre l’altra era su VM90T 4x4, non protetti.

Inoltre sono a disposizione anche qualche M113 equipaggiati con il sistema controcarro filoguidato BGM-71 TOW e alcuni M-106 con mortai a canna liscia da 120 mm.

È altresì vero che i militari italiani hanno potuto condurre, nei mesi precedenti, un programma di addestramento al combattimento assai realistico, potendo sfruttare una grande area addestrativa poco fuori Nassiryha, eventualità poco realistica in Italia vista la scarsità di zone apposite nonché le numerose limitazioni imposte all’utilizzo delle armi pesanti.

Vista l’abbondanza, tra i miliziani, di lanciarazzi controcarro, si cerca di porre rimedio alla scarsa protezione offerta dai VCC1 – i mezzi in dotazione ai fucilieri del San Marco sono privi di protezioni aggiuntive – attraverso l’utilizzo di sacchetti di sabbia sul tetto ( in modo tale da ripararsi anche quando si spara dal cielo del vano di trasporto utilizzando l’apertura superiore ) e sui fianchi un telaio a rete metallica, le cui intercapedini vengono riempite con ulteriori sacchetti di sabbia.

Le blindo pesanti B1 Centauro (un mezzo ad alta mobilità su strada e fuori strada, in grado di contrastare reparti corazzati di limitata entità. La blindo è armata con un cannone da 105/52 mm con una dotazione di 40 colpi, dei quali 14 pronti all’uso in torretta; il sistema di condotta del tiro ne permette l’impiego sia diurno che notturno. Il mezzo, un 8x8 con sei ruote sterzanti, ha un peso in ordine di combattimento di 24 tonnellate, una lunghezza fuori tutto di 8,55 metri, una larghezza di 3,05 metri e un’altezza di 2,71 metri al cielo della torretta. Il propulsore è un FIAT MTCA da 520 hp, che assicura una velocità su strada di oltre 100 km/h e un’autonomia di 800 km) vengono schierate solamente in funzione di appoggio, evitando di farle entrare nelle strette vie del centro della città, in quanto la blindatura non sufficientemente spessa costituirebbe un grave handicap in un combattimento urbano.

Sul fronte opposto si trovano alcune centinaia di miliziani sciiti fedeli al leader estremista Al-Sadr, con grandi quantitativi di armi e di fanatismo, pronti ad utilizzare i civili come scudi.

L’attacco italiano ha inizio alle 3.30 locali del 6 aprile, tre colonne si muovono dalla base italiana di White Horse, cercando di sfruttare al massimo il vantaggio offerto dall’oscurità, in quanto i nostri militari dispongono di sistemi per la visione notturna. L’obiettivo sono i tre ponti sull’Eufrate, in prossimità dei quali, verso le ore 4.00, i militari italiani vengono accolti da un nutrito fuoco di sbarramento da parte dei miliziani, tra l’altro abbastanza impreciso (ma non per questo meno letale).

Il ponte Alpha è il primo ad essere investito dall’attacco italiano, sfruttando il fatto che i tiratori scelti, appostati alla base Libeccio, forniscono un preciso ed efficace fuoco d’appoggio. Per tutta la durata del combattimento gli sniper (appartenenti a diversi reparti del contingente) colpiscono con elevata precisione i bersagli nemici senza provocare danni alla popolazione civile.

Una volta occupato il ponte la colonna procede in direzione della C.P.A., poche centinaia di metri più avanti, mentre i miliziani cominciano a ritirarsi verso il centro della città, caratterizzato da strade molto strette e quindi ideali per tendere imboscate. Per tale motivo, nonché per evitare il più possibile un eventuale coinvolgimento della popolazione civile nella battaglia, i militari italiani rinunciano all’inseguimento.

Per difendere il ponte Bravo (quello centrale) i miliziani hanno eretto una barricata.

Generale Scollo: la nostra colonna era aperta da un carro del genio leopard ARV, fornito di lama apripista, un mezzo abbastanza protetto (circa 40 t di peso).

Su questo obiettivo, il combattimento tra i soldati italiani e i miliziani, si accende molto intenso, vengono utilizzati anche alcuni razzi controcarro Panzerfaust 3 e missili filoguidati Milan per mettere a tacere le postazioni di mitragliatrici, posizionate dai sadristi sul ponte. In questa fase dello scontro le perdite tra le file dei miliziani sono piuttosto consistenti, nonostante la rinuncia all’utilizzo dei mortai pesanti (pezzi a canna liscia da 120 mm) per non correre il rischio di colpire innocenti.

La manovra di attraversamento del ponte ha esito positivo e viene preso il controllo della piazza posta sull’altra sponda.

Il terzo ponte, il Charlie, è l’obiettivo della compagnia di fucilieri del San Marco, in questo caso appoggiata da alcune blindo B1 Centauro. I miliziani sono appostati ai lati della rampa d’accesso del ponte e in un palmeto adiacente, vicino ad alcuni relitti di carri T-55.

Il combattimento si accende molto violento e le prime difese, quelle su lato sud, vengono efficacemente eliminate. Una squadra di fucilieri, a bordo di VM90T si spinge sul ponte, tuttavia i miliziani cominciano a far uscire dei civili per utilizzarli come scudi umani.

Generale Scollo: dopo una attenta valutazione con il generale Chiarini, comandante del contingente italiano in Iraq, si prendeva la decisione di sospendere l’attacco, per non mettere a repentaglio la vita dei civili.

Intorno alle ore 7.00 i militari italiani hanno saldamente assunto il controllo di due ponti e controllano una sponda del terzo (il terzo obiettivo non è stato completamente raggiunto solo a causa dell’utilizzo, da parte dei miliziani, di civili come scudi umani).

Le perdite da parte italiana, nonostante l’enorme volume di fuoco sviluppato dai miliziani, sono piuttosto contenute (14 feriti in tutto), mentre quelle avversarie risultano molto alte.

Dopo le ore 10.00 c’è una notevole diminuzione dell’attività nemica, che permette di raggiungere un accordo tra le parti, in base al quale la polizia locale avrebbe pattugliato la riva nord dell’Eufrate e i militari italiani sarebbero rimasti su quella sud.

Terminata la battaglia – con esito positivo per le armi italiane – è doveroso formulare alcune considerazioni.

Nonostante il notevole volume di fuoco da parte dei miliziani le perdite italiane sono state basse. Diversi razzi PG-7 hanno colpito i poco protetti VCC1, ma – a differenza di quanto avvenuto a Mogadiscio il 2 luglio 1993 – le protezione spaziate aggiuntive hanno svolto bene il loro compito e non si sono registrate perdite all’interno dei mezzi.

Purtroppo il numero dei trasporto truppe non era sufficiente, per cui una parte dei militari è dovuta andare in combattimento a bordo dei VM90T (foto), veicoli 4x4 non protetti, infatti la maggior parte dei feriti si è registrata proprio su tali mezzi.

Tuttavia, nonostante le carenze nei mezzi, i militari italiani hanno avuto un comportamento impeccabile – sia dal punto di vista dell’azione di comando che dell’addestramento - selezionando gli obiettivi in modo da fornire un quadro esatto della situazione e causando diverse vittime tra le fila dei miliziani sadristi.

È altresì vero che l’assenza di carri armati (gli Ariete del 132° reggimento carri erano rimasti in Italia) ha sottoposto il personale a rischi assai elevati. Infatti negli ultimi anni si è assistito ad una sorta di ritorno alle origini, quando i mezzi corazzati venivano utilizzati in appoggio alla fanteria ed in modo del tutto dipendente dalla funzione esercitata da quest’ultima in azione. Un numero anche limitato di carri Ariete, grazie alla loro potenza di fuoco, avrebbe potuto supportare i militari italiani nella manovra d’attacco ai ponti, consentendo il raggiungimento degli obiettivi in maniera più rapida e sicura.

(immagini: fotogrammi YouTube / web / Nicoleon)