Dalle roventi dune egiziane, all’ombra delle Piramidi, il generale Bonaparte, insieme al suo fido aiutante generale Louis Alexandre Berthier, scrutava con aria preoccupata l’orizzonte oltre la costa. Le notizie che arrivavano dalla Francia erano pessime: Parigi era in fermento, ma cosa ancor peggiore erano le sconfitte militari che si susseguivano a ritmo impressionante. I soldati austro russi stavano dilagando nel nord Italia, aiutati dalle masse popolane in rivolta che al grido di “Viva Maria” prendevano a fucilate i soldati della Repubblica. Il ritorno dalle sabbie di Alessandria d’Egitto non sarebbe stato facile poiché la flotta britannica controllava le rotte principali del Mediterraneo, eppure era necessario tentare l’impresa. Il 22 agosto 1799 il generale corso scriveva un’accorata lettera a Kléber confidandole il comando dell’intera armata mentre lui s’imbarcava sulla fregata La Muiron accompagnato da Jean Lannes, Gioacchino Murat, il generale d’artiglieria Antoine François Andréossy e Auguste Marmont.
I prodromi della battaglia
Più passava il tempo e più l’astro nascente di Bonaparte prendeva forza: il suo insediamento come Console al fianco di Cambacérès e Charles François Lebrun, non fu che il primo atto di una carriera che lo porterà a dominare l’Europa. Per la Francia, dal punto di vista militare, il 1799 si chiudeva in modo disastroso: l’offensiva delle armate austro russe del generale Aleksandr Souvarov stavano demolendo il dominio francese nel nord Italia e si avvicinavano pericolosamente ai confini con la Francia. Gli “Alberi della Libertà” vennero abbattuti e della vittoriosa Armata d’Italia del 1796 rimaneva ben poco.
Il 3 marzo 1800 Napoleone indirizzò una lettera al Ministro della Guerra Berthier comunicandogli l’intenzione di creare l’Armata della Riserva: “Voi manterrete la massima segretezza su questo decreto, provvedendo ad avvisare tutte le persone nominate a tenersi pronte a partire e prendere tutte le misure necessarie per riunire a Digione tutto il necessario per approvvigionare questa armata”1. La cittadina di Digione fu prescelta come sede del Quartier Generale, mentre Auxonne come punto di raccolta per il parco d’artiglieria.
Nella visione generale di Bonaparte la nuova armata doveva soccorrere le truppe in difficoltà sul fronte italico dove il generale André Masséna, oramai isolato tra i confini della Repubblica Ligure, stava difendendo con pochi uomini, ma tanto coraggio, quella sottile striscia di terra che separava gli austriaci del generale Mélas dalla Provenza. Nodo centrale di questa ostinata resistenza era Genova, prossimo teatro di un drammatico assedio. Napoleone doveva affrettarsi giacché se il capoluogo della Repubblica fosse caduto, avrebbe aperto la strada agli austriaci; occorreva sorprendere le truppe di Mélas e batterle in un’unica e decisiva battaglia.
Il passaggio delle Alpi
Il piano del Primo Console prevedeva l’applicazione di uno dei principi fondamentali della tattica napoleonica, vale a dire la Manoevre sur le derrières. Tramite questa manovra, nella quale contava soprattutto la rapidità e la segretezza dei movimenti, Napoleone impegnava l’avversario senza lasciarsi coinvolgere in uno scontro fontale, per poi sorprenderlo, con una manovra avvolgente, alle sue spalle mentre tentava di ritirarsi. La marcia dei soldati destinati a irrompere sulla linea di ripiegamento del nemico avveniva segretamente, occultata da schermi di cavalleria e da barriere naturali i cui unici punti di passaggio erano presidiati2. In questo modo le armate avversarie, vedendosi preclusa la via di fuga, si demoralizzavano e non rimaneva loro che arrendersi. Per ottenere un immediato successo sugli austriaci di Mélas era indispensabile che il generale Massena resistesse dietro le mura di Genova il più a lungo possibile; se la città fosse caduta il comandante austriaco avrebbe avuto una possibilità in più per ritirarsi, aiutato dalle imbarcazioni inglesi al largo del porto3. Il Primo Console doveva sfruttare il fattore sorpresa garantito dal rischioso passaggio delle Alpi in un mese in cui i valichi erano ancora ostruiti dalla neve.
Emulo di Annibale, il 15 maggio 1800, il futuro imperatore dei francesi si mise in marcia verso il Gran San Bernardo: non c’era tempo da perdere anche perché le notizie provenienti dalla Liguria peggioravano di giorno in giorno4. Diversamente da come lo ritrasse il grande pittore Jacques-Louis David, Napoleone Bonaparte attraversò le Alpi in groppa ad un mulo: certo meno affascinante di un bianco destriero, ma più funzionale e soprattutto credibile. Esposti a continue valanghe e slavine la cosa più difficile per i soldati era trasportare l’artiglieria. Ogni pezzo fu scomposto dai fusti lignei e caricato a pezzi: i pesanti calibri furono adagiati dentro a dei tronchi scavati e lasciati scivolare – con l’ausilio di cordami e leve – verso valle. Nelle memorie del capitano Jean Roche Coignet, ai tempi semplice granatiere del 96° di linea, il passaggio del San Bernardo ci viene descritto con scrupolosità: “Si misero i nostri tre pezzi di cannone dentro conche profonde. In fondo a quelle conche vi era una grande mortasa per adattarvi una leva che serviva da timone per guidare il nostro pezzo, governato da un cannoniere forte e intelligente. Con il silenzio più assoluto bisognava ubbidirgli in tutti i movimenti che il suo pezzo poteva fare”5. Ogni capo cannoniere formò una squadra di quaranta granatieri per ogni cannone “venti per tirare il pezzo (dieci da ogni lato con un bastone di traverso alla corda che serviva da prolunga) e gli altri venti portavano i fucili dei primi che trainavano il pezzo”6.
Il primo vero impedimento però si verificò davanti la fortezza di Bard che, presidiata dagli austriaci del capitano Stockard von Bernkopf, sbarrava la strada ai 40.000 francesi dell’Armata di Riserva. Dopo alcuni tentativi malriusciti, il generale Berthier ricevette ordini da Bonaparte affinché la fortezza fosse aggirata grazie ad un passaggio alternativo rappresentato dal monte Albaredo. In soli due giorni 500 soldati scavarono la roccia, facendosi strada a colpi di piccone: furono ricavate delle scale e nuovi sentieri con tanto di ponti di collegamento.
Il problema riguardava l’artiglieria la quale non riusciva certo a passare da quei ripidi e franosi sentieri.
Il generale Marmont e il generale del genio Armand Samuel de Marescot arrischiarono di piazzare dei cannoni su posizioni elevate, ma senza alcun successo: la situazione era sempre più pericolosa poiché nella stretta vallata i francesi stavano formando un tappo senza via d’uscita. Nelle sue memorie Marmont – futuro maresciallo dell’Impero – menzionò le difficoltà di quell’impresa: “Quel sentiero presentava ancor più sinuosità e per conseguenza molto maggiori difficoltà di quello del San Bernardo”7. Inoltre gli fu ordinato di smontare per l’ennesima volta le bocche da fuoco correndo un rischio sul futuro funzionamento dei pezzi: “Se a forza di cure si può giungere a tanto non si dovrà più contare sopra questo materiale assai cattivo, trovandosi disgiunte molte parti e poco solide in conseguenza delle operazioni già eseguite. Se si disloga di bel di nuovo non sarà più buono a nulla”.
Dopo alcuni assalti respinti dai difensori, il generale Berthier cercò di giocare d’astuzia facendo transitare uomini e artiglieria dal vicino villaggio di Bard, a pochi metri dalle mura fortificate, dissimulando i loro movimenti con del fumo artificiale. I soldati francesi raccolsero paglia e quant’altro per accendere dei fuochi: era necessario agire nel massimo silenzio e di notte. Purtroppo per Berthier gli austriaci erano vigili e appena avvistati i primi francesi su di essi piovve un inferno di fuoco. La lotta fu dura, ma quantunque le perdite francesi fossero elevate, la maggior parte dei cannoni oltrepassò l’ostacolo lasciandosi alle spalle il massiccio di Bard8. Una volta aggirata, la fortezza fu posta sotto assedio e il 1° giugno il comandante von Bernkopf consegnò la resa ai francesi.
Tre giorni dopo la caduta di Bard una piazzaforte ben più importante cedeva le armi al nemico: il 4 giugno 1800, sul ponte di Cornigliano, il generale Massena si arrendeva agli austrici. Napoleone doveva cambiare piano e affrettarsi verso Alessandria se voleva uno scontro risolutivo con Melas.
La piana di Marengo
Lo stallo provocato dal forte di Bard e la preoccupazione che l’artiglieria non arrivasse in tempo per la battaglia convinse Napoleone a puntare verso est, in direzione di Milano. Entrò trionfante in città con la speranza di trovare intatto il parco di artiglieria e nel frattempo farsi raggiungere dal corpo del generale Moreau proveniente dal San Gottardo. Scartata la possibilità di occupare Stradella serviva assolutamente bloccare la strada agli austriaci di Mélas portando la forza d’attacco principale ad Alessandria. Il pomeriggio del 13 giugno l’Armata di Riserva iniziò a schierarsi nella piana di Marengo con un effettivo totale di circa 31.500 uomini. Il comandante austriaco, lungi dall’accettare uno scontro in campo aperto – grave errore secondo Napoleone poiché gli avrebbe precluso l’utilizzo della cavalleria – arretrò le sue posizioni fino alla Cittadella di Alessandria, forse per timore delle truppe francesi di Suchet e Massena che provenivano da sud. A questo punto fu Napoleone a commettere uno sbaglio frammentando le sue forze; egli decise di inviare due contingenti, al comando del generale Lapoype e Desaix, al fine di chiudere le eventuali linee di ritirata al nemico. In possesso di forze esigue (circa 23.000 uomini), il Primo Console subì la sorpresa di Mélas quando questi attraversò i tre punti sul Bormida per attaccarlo frontalmente nei pressi di Marengo. Napoleone pensava si trattasse di una schermaglia diversiva così da appoggiare la ritirata austriaca, tuttavia intorno alle 11 del mattino e dopo ripetuti attacchi apparve chiaro che Mélas era tutt’altro che intenzionato a ripiegare. I generali Jean Lannes, Giocchino Murat e Claude Victor si opponevano alla pressione austriaca con appena 15.000 uomini, ed improvvisamente, verso le 11 la situazione precipitò. L’unica riserva impiegabile contava appena su 900 uomini della Guardia Consolare, la divisione Monier e parte della cavalleria, mentre il generale austriaco Peter Karl Ott marciava a passo spedito con 7.500 uomini verso il fianco destro francese, che rischiava di restare accerchiato. Napoleone iniziò a preoccuparsi e di conseguenza ordinò che Desaix e Lapoype ritornassero indietro per congiungersi sul campo di Marengo. Una sconfitta avrebbe significato la fine della campagna, ma non solo: sebbene il generale Bonaparte potesse sopportare una simile eventualità, il leader politico non poteva permettersi errori9.
Dopo una breve pausa impiegata dagli austriaci per serrare i ranghi, gli attacchi ripresero con più vigore e intorno alle 15,00 la battaglia sembrava perduta con lo schieramento francese che arretrava verso località Torre Garofoli. Ma proprio quando tutti i sogni di gloria parevano svaniti, avvennero due fatti che cambiarono le sorti della giornata: il generale Mélas lasciò imprudentemente il comando al generale Zach, mentre Charles-Antoine Desaix arrivò a Marengo con un rinforzo di circa 5.000 uomini. Il Primo Console, sorpreso da tanta fortuna, ordinò al fidato amico di contrattaccare con vigore le linee austriache: alle 17.30 alla testa della 9a demi-brigade légère il giovane Desaix rovesciò lo sbarramento dei reggimenti di fanteria austriaci di Wallis e Kinsky. Purtroppo durante l’avanzata, vicino a Vigna Santa, Desaix fu raggiunto da un mortale colpo di fucile.
La carica di Kellermann
Uno degli eventi decisivi che tramutarono la sconfitta dei francesi in una storica vittoria fu la carica della cavalleria del generale François-Étienne Kellerman. Erano le 18,00, ma le giornate di giugno garantivano ancora qualche ora di luce così da poter continuare a combattere e permettere agli austriaci una ritirata strategica. Poco prima della morte di Desaix, il comandante Kellerman ricevette l’ordine di caricare l’avversario non appena possibile, così da spezzarne lo schieramento. Il 2°, 20° e 21° reggimento di cavalleria insieme al 1°, 8° e 9° Dragoni si gettarono sui granatieri imperiali del generale Christof Lattermann, appoggiati dal fuoco di 16 cannoni del generale Marmont10. “Tre battaglioni di granatieri e l’intero reggimento di Wallis furono sciabolati e catturati” – ricorda nelle sue memorie il figlio del comandante Kellermann – “il cittadino Riche, cavaliere del 2° reggimento fece prigioniero un generale dello stato maggiore insieme al bottino di sei bandiere e 4 pezzi di artiglieria”11.
La battaglia era vinta, tuttavia quella giornata era costata a Napoleone molti uomini tra cui un suo caro amico, il generale Desaix. Proprio lo stesso generale compagno di mille avventure in Egitto e che era sfuggito diverse volte al triste destino; poco prima di morire, memore dei pericoli scampati tra le sabbie del deserto, sembra abbia sussurrato: “Temo che le palle d’Europa non mi riconoscano più”12. Il 15 giugno 1800 Napoleone spedì una lettera ai consoli Cambacérès e Lebrun: “Le notizie dell’armata sono molto buone. Non posso dirvi altro, sono afflitto da più profondo dolore per la morte dell’uomo che stimavo e amavo di più”13. Per la sepoltura di quell’uomo coraggioso fu scelto un luogo simbolo dell’intera campagna, il valico del Gran San Bernardo dove ancora oggi una lapide a lui consacrata ne ricorda il coraggio.
Il 14 giugno 1800 il sole tramontava su una giornata sanguinosa, ma destinata ad entrare nel mito della storiografia imperiale. Appena pochi anni dopo, nel dicembre del 1805, un altro scontro, ad Austerlitz, stravolse le sorti dell’Europa, ciò nondimeno Marengo occupò sempre un posto privilegiato nel cuore di Napoleone, fino alla sua dipartita sul desolato scoglio di Sant’Elena.
Il Marengo Museum
Per chi volesse rivivere i momenti salienti della campagna del 1800 il Museo della battaglia di Marengo offre una prospettiva interessante di quanto accaduto il 14 giugno 1800. Le sale museali, ben allestite e con riproduzioni iconografiche di grande effetto, percorrono le giornate che portarono al trionfo Napoleone Bonaparte. Il museo è una perla rara nello scarno panorama museale dedicato all’epoca napoleonica in Italia, soprattutto perché, dopo alterne vicende, le autorità locali hanno saputo rivalutarlo costruendo una struttura moderna e di grande impatto.
1 Il decreto di formazione dell’Armata della Riserva era datato 8 marzo 1800; la nuova unità era destinata a procurare rinforzi sia all’Armata d’Italia del generale Massena, sia a quella del Reno del generale Moreau. Napoléon Ier, Correspondance générale, Paris, Fayard, Tome III, p. 119.
2 Hubert Camon, La Guerre Napoléonienne. Les systèmes d’opérations théorie et techniques, Paris, Economica, 1997, pp. 33-34.
3 Per una descrizione dettagliata del piano cfr. David Chandler, Modificare la memoria storica: Napoleone e Marengo, in Vittorio Scotti Douglas (a cura di), L’Europa scopre Napoleone 1793-1804, Atti del Congresso Internazionale Napoleonico (Cittadella di Alessandria, 21-16 giugno 1997), Vol. II, p. 868.
4 Il piano iniziale prevedeva che Napoleone passasse per il Sempione o il San Gottardo, ma le notizie da Genova lo costrinsero a cambiare idea e a gettarsi dalla Valle d’Aosta direttamente su Genova via Alessandria. La Guerre Napoléonienne, op. cit., p. 84.
5 Jean-Roche Coignet, Le memorie del capitano Coignet, Milano, Longanesi “I Cento Libri”, 1970, p. 121.
6 Ibidem.
7 Marmont, Memorie del Maresciallo Marmont Duca di Ragusa. Dal 1792 al 1841. Prima traduzione italiana per Emprando Framarini, Milano, Francesco Sanvito Libraio Editore, 1857, p. 272.
8 Victoires, conquetes déstastres, revers et guerres civiles des français, Paris, Au Bureau des Publications Illustrées, 1840, vol. VII, p. 31.
9 Bruno Ciotti, La dernière campagne de Desaix, in Annales historiques de la Révolution française, 324, avril-juin 2001, URL: https://journals.openedition.org/ahrf/381#ftn46.
10 Digby Smith, Charge. Great Cavalry Charges of the Napoleonic Wars, London, Greenhill Books, pp. 43-44.
11 Duc de Valmy, Histoire de la Campagne de 1800, Paris, Dumaine, 1854, p. 181.
12 Marmont, op. cit., p. 280.
13 Correspondance générale, op. cit., p. 301.
(foto: web / Marengo Museum)