Gli Euromissili e il trattato INF

(di Tiziano Ciocchetti)
02/12/18

Nel corso della metà degli anni 60 del XX secolo, con l’instaurarsi di una parità strategica nucleare tra le due Superpotenze, si afferma il concetto della distruzione reciproca assicurata (Mutually Assured Destruction, MAD).

Con tale dottrina, la strategia difensiva della NATO - che si basava su di un utilizzo pressoché immediato di tutto l’arsenale nucleare tattico, in caso di invasione dell’Europa Centrale da parte delle forze del Patto di Varsavia – comincia a perdere di validità. Appariva infatti poco probabile che Washington avrebbe autorizzato la NATO all’impiego delle armi nucleari, con il serio rischio di una ritorsione sovietica, contro il territorio americano.

A questo punto, agli Europei non restò che formulare la cosiddetta Risposta Flessibile (dottrina ancora in vigore), la quale postula che in caso di un attacco convenzionale massiccio da parte del Patto di Varsavia, l’Alleanza si difenderebbe anch’essa con armi convenzionali.

Se però l’attacco si dovesse rilevare talmente potente da mettere in pericolo la stessa sopravvivenza dei Paesi della NATO, a questo punto gli USA autorizzerebbero l’impiego di armi nucleari tattiche, ovvero il rilascio nucleare (nuclear release). Una strategia formulata per mandare un chiaro messaggio al Cremlino: un eventuale attacco all’Europa, proprio se coronato da successo, avrebbe portato all’escalation nucleare tra le due Superpotenze.

La Risposta Flessibile portò al progressivo ritiro, dai territori dei Paesi europei della NATO, di quasi tutte le armi nucleari tattiche, lasciando solo alcuni ordigni B-61 (foto) ad utilizzo sia dell’USAF che delle altre aeronautiche della NATO (Italia, Germania Ovest, Belgio, Turchia, Olanda), sempre comunque con il sistema della doppia chiave.

Per aggirare tale dottrina, gli strateghi del Patto di Varsavia decisero che sarebbero stati loro stessi a varcare per primi la soglia nucleare, con il lancio di almeno 200 testate nucleari contro obiettivi strategici in Europa Occidentale, e solo dopo proseguire l’attacco con mezzi convenzionali.

Tuttavia, l’adozione di una simile strategia non avrebbe annullato completamente una possibile risposta nucleare americana.

La svolta si ebbe nel 1977, quando l’URSS cominciò a schierare i nuovi missili balistici a portata intermedia (Intermediate-Range Ballistic Missile, IRBM) SS-20 SABER, secondo la denominazione NATO. Montato su un lanciatore mobile, il missile poteva essere armato con tre testate nucleari da 150 chilotoni e aveva una gittata massima di 5.000 km, quindi sufficiente per colpire qualunque città dell’Europa Occidentale, ma appena inferiore al valore minimo previsto dal trattato SALT II per la limitazione degli armamenti strategici allora in essere (5.500 km), perciò non violava l’equilibrio nucleare instaurato tra le due Superpotenze.

Lo scopo di Mosca apparve subito chiaro: separare gli interessi strategici degli USA da quelli dell’Europa Occidentale. Infatti l’URSS poteva tenere sotto minaccia i governi europei per convincerli a non impiegare mai il loro deterrente nucleare, nemmeno in caso di invasione, e quindi i Paesi europei della NATO avrebbero accettato un’occupazione sovietica della Germania e dell’Italia nord orientale, per non rischiare la distruzione di Parigi o di Londra. A questo punto sarebbe apparsa poco probabile una rappresaglia nucleare americana, e anche se la minaccia di Mosca non fosse stata presa sul serio e l’impiego di armi nucleari da parte della NATO fosse stato seguito da un lancio di SS-20 (foto) su Roma o Bonn, difficilmente gli Stati Uniti avrebbero lanciato una rappresaglia.

In questo scenario, la Risposta Flessibile perdeva tutto il suo peso nei rapporti di forza. È bene ricordare che a quel tempo gli USA erano retti dall’Amministrazione Carter, non certo passata alla Storia per il decisionismo in campo internazionale. Tuttavia la Germania del Cancelliere Schmidt e l’Italia dei Governi Cossiga e Craxi intrapresero un’intensa campagna diplomatica finalizzata a convincere gli altri Paesi della NATO della convergenza d’interessi strategici tra gli USA e l’Europa Occidentale, ovvero che una eventuale occupazione da parte sovietica, anche solo di una parte dei Paesi della NATO, avrebbe portato inevitabilmente ad uno scontro nucleare con gli Stati Uniti.

In un raro momento di convergenza, l’Europa, con in testa Italia e Germania, riuscirono ad ottenere da Washington il dispiegamento di nuove armi nucleari tattiche, vincolando de facto la volontà degli USA a mettere in gioco la loro stessa sopravvivenza al fine di proteggere il territorio dell’Europa Occidentale.

Il 2 dicembre del 1979, i ministri della Difesa e degli Esteri dei Paesi della NATO, a Bruxelles, formularono la cosiddetta Doppia Decisione: avviare trattative con Mosca per una limitazione dei rispettivi arsenali nucleari di teatro e pianificare i dispiegamento, entro 1986, di 108 missili balistici MGM-31B PERSHING II in Germania e 464 missili da crociera BGM-109G GRYPHON GLCM,montati su lanciatori mobili schierati in Belgio, Italia, Olanda e Regno Unito. Ovviamente la gestione e, nel caso l’utilizzo di queste armi sarebbe stato appannaggio unicamente degli USA.

L’URSS cercò di bloccare l’iniziativa mobilitando le sue tradizionali quinte colonne, dai tradizionali partiti comunisti al soldo di Mosca alle associazioni pacifiste a senso unico. La grande battaglia ideologica per gli Euromissili vide le più grandi manifestazioni pacifiste mai celebrate in Europa. Alla fine però i governi di Bonn e Roma – i due governi chiave - tennero duro e nel novembre del 1983 si arrivò al dispiegamento dei primi Euromissili.

Ben presto però si arrivò a considerare queste armi di teatro come moltiplicatori di rischi per una escalation nucleare. Quindi, anche grazie alla nomina a Segretario Generale del PCUS di Gorbaciov, dopo comunque lunghi negoziati assai complessi, si arrivò alla decisione di eliminare completamente questa categoria di armi.

L’8 dicembre del 1987 a Washington, il Presidente degli Stati Uniti Reagan e il Segretario del PCUS Gorbaciov firmarono il Trattato INF (Intermediate-range Nuclear Forces), il quale prevedeva non più semplicemente una limitazione numerica degli arsenali nucleari ma piuttosto l’eliminazione totale di una categoria di armi, nella fattispecie la distruzione di tutti i missili basati a terra con una gittata compresa tra i 500 e 5.500 km nonché i relativi apparati di lancio, compresi i missili da crociera e quelli balistici, sia che fossero armati con testate nucleari sia con quelle convenzionali.

Inoltre è doveroso aggiungere che il Trattato INF riguarda esclusivamente l’URSS e gli USA, infatti gli europei non ebbero e non hanno alcuna voce in capitolo. Lo scorso 20 ottobre il Presidente Trump ha annunciato la decisione di uscire dal Trattato in quanto Mosca lo avrebbe violato introducendo in servizio un nuovo missile da crociera lanciabile da terra. È altresì plausibile che la decisione dell’Amministrazione americana sia finalizzata ad intraprendere una più efficace politica – uscendo dall’ INF avrebbe le mani libere - di contenimento delle capacità missilistiche cinesi, in espansione continua. Infatti, grazie all’entrata in servizio di una nuova generazione di MRBM (Medium-Range Ballistic Missile) e IRBM (Intermedie-Range Ballistic Missile), Pechino è in grado di colpire pressoché tutte le basi americane nel Pacifico Occidentale.

(foto: National Nuclear Security Administration / U.S. DoD / web)