Il 21 settembre 1993, il primo presidente della Federazione Russa Boris El´cin comparve in televisione per annunciare con il decreto numero 1400 che il Soviet Supremo della Federazione Russa (così ridenominato nell’aprile dell’anno precedente) era da considerarsi sciolto e i suoi membri destituiti.
Questi alcuni dei passaggi nel suo discorso: “[…] La maggioranza del Soviet Supremo è direttamente ostile alla volontà del popolo russo. […] Il potere all’interno del Soviet Supremo è stato preso da un gruppo di individui che ne hanno fatto il centro decisionale per una opposizione intransigente. […] Io, come garante della sicurezza del nostro Stato, ho il compito di proporre un’uscita da questo vicolo cieco, di spezzare questo circolo vizioso.”
El´cin annunciò l’intenzione di riscrivere la Costituzione del 1978 secondo la quale le sue azioni erano in effetti illegali, ponendo le basi per l’attuale modello istituzionale russo suddiviso tra la Duma di Stato e il Consiglio della Federazione (Camera bassa e Camera alta).
La reazione del Soviet, dominato da comunisti e ultranazionalisti divisi su tutto, tranne che nell’odio verso il presidente russo e le sue riforme economiche che stavano trascinando la Russia in uno sfacelo sociale, fu immediata. El´cin venne deposto dal suo incarico e sostituito dal vicepresidente Alexander Ruckoj.
Eroe dell’Unione Sovietica in Afghanistan, pilota militare abbattuto da un caccia pachistano, era stato riconsegnato ai sovietici su pressione della CIA per evitare che una sua uccisione da parte delle milizie facesse saltare le trattative per il ritiro dal Paese. Era stato scelto da El´cin come candidato vice per le elezioni del giugno 1991 alla presidenza della Repubblica Socialista Sovietica Federativa Russa e, quando questa era divenuta Federazione Russa, aveva mantenuto il suo incarico.
Il rapporto tra il presidente e Ruckoj era peggiorato per le critiche di quest’ultimo alle riforme economiche, al punto che El´cin il primo settembre l’aveva sospeso dalle sue funzioni. Ma il Soviet aveva boicottato anche questa decisione che pertanto non entrò legalmente in vigore e Ruckoj poté subentrare come presidente facente funzioni nella notte del 22 settembre.
Dal punto di vista legale El´cin aveva torto, ma nella realtà dei fatti la crisi costituzionale sarebbe stata risolta con la forza delle armi.
Mentre fuori dalla sede del Soviet, l’enorme edificio della Casa Bianca dove adesso ha sede il governo della Federazione, iniziavano ad affluire sempre più volontari filo-Soviet per protestare contro El´cin, i deputati annunciarono di avere indetto nuove elezioni per l’anno seguente. Tra i volontari accorsi da ogni dove, impazienti di farla finita con El´cin, si trovavano i membri del movimento nazista Unità Nazionale Russa, i comunisti estremisti di Russia Lavoratrice, veterani di unità della polizia speciale sovietica precedentemente impegnati nelle Repubbliche che si erano staccate. Tra i tanti, anche Jurij Beljaev, deputato del Soviet di Leningrado, volontario filoserbo in Bosnia, quindi a capo di un gruppo criminale e dopo il 2014 volontario nel Donbass con l’unità “Batman” degli insorti del Lugansk. Nelle pagine che dedica agli eventi del 1993, il giornalista francese Pierre Sautreuil riporta i ricordi di Beljaev. “Volevamo passare all’azione, Cristo santo, far scorrere il sangue e far precipitare la situazione. […] Nell’emiciclo i preti organizzavano grandi messe ed elargivano benedizioni.”
Mentre nelle strade già si contavano i primi morti, El´cin ordinò di staccare acqua, gas e corrente alla Casa Bianca, circondata dalla polizia antisommossa. Tra il 2 e il 3 ottobre, gruppi di dimostranti (a tutti gli effetti insorti armati agli ordini del colonnello generale Albert Makashov) sfondarono il cordone di sicurezza e presero d’assalto il municipio di Mosca, mentre il tentativo di conquistare la televisione di Stato fu sventato dalla polizia e i morti si contarono a decine. Tra questi anche l’avvocato americano Terry Michael Duncan, che lavorava a Mosca e aveva deciso di scendere in strada per aiutare i feriti.
Furono i momenti in cui, secondo la ricostruzione di Beljaev, Ruckoj gli avrebbe ordinato di allestire un commando con cui raggiungere El´cin e assassinarlo per mettere fine alla crisi. Beljaev afferma che, dopo ore di attesa, trovò invece Ruckoj nascosto nel suo ufficio ubriaco fradicio e sconvolto dagli eventi. Disilluso, Beljaev sarebbe poi riuscito a sfuggire alle forze di sicurezza e lasciare la capitale.
Se questa testimonianza sia attendibile o meno, le stragi del 3 ottobre e l’assalto al municipio furono davvero la svolta della crisi ma non come il Soviet aveva sperato. L’esercito russo, che fino a quel momento aveva cercato di mantenersi distante dalla crisi politica, si schierò apertamente con il presidente e intervenne in suo favore. Sono le famose immagini del palazzo del Soviet in fiamme, colpito dai carri della Seconda Divisione Motorizzata delle Guardie di Taman appostati sul ponte di Novy Arbat. Dopo il bombardamento, l’edificio fu attaccato dalle unità speciali antiterrorismo Vympel e Alpha che ne ripresero il controllo un corridoio alla volta.
Passata alla storia come Crisi Costituzionale del 1993 e costata (versione ufficiale) circa seicento tra morti e feriti, la guerra tra El´cin e i suoi oppositori nel Soviet fu vinta dal primo che poté riscrivere la costituzione legittimando ex post il proprio operato e annullando ogni opposizione al potere presidenziale in Russia, un trend che dopo di lui Vladimir Putin avrebbe di gran lunga accelerato.
La vittoria di El´cin fu però di corto respiro. Con un Paese ridotto alla bancarotta e personalmente man mano preso dalla dipendenza da alcolici, l’anno seguente Boris El´cin sarebbe rimasto intrappolato nel disastro della prima guerre cecena, una delle più grandi umiliazioni della storia militare russa. Ma ripercorrere qui ogni sciagura in cui la Russia è incappata negli anni Novanta sarebbe impossibile.
Boris Nikolaevich El´cin morì nel 2007 per problemi cardiaci aggravati dallo stile di vita. Era in corso il secondo mandato di Putin, l’uomo a cui aveva consegnato il Paese nel 1999. Ruckoj è invece ancora in vita e ha proseguito la sua carriera politica legandosi in particolare all’oblast di Kursk ma alle legislative del 2016 il suo partito, Patrioti della Russia, non ha superato la soglia di sbarramento.
Per i pezzi riportati su Beljaev: Sautreuil, P. Le guerre perdute di Jurij Beljaev, Einaudi, 2022
Foto: OpenAI / RIA Novosti / web