1967: la Gerusalemme liberata

(di Tiziano Ciocchetti)
08/01/18

Poco dopo le 9.30 di martedì 6 giugno 1967, il colonnello israeliano Mordechai Gur, comandante della 55° Brigata Paracadutisti, parlò via radio ai suoi soldati: ci troviamo sull’altura che sovrasta la Città Santa. Presto entreremo a Gerusalemme, l’antica città che è stata il sogno di innumerevoli generazioni di ebrei, e alla quale aspirano tutti gli ebrei viventi. Alla nostra brigata è stato concesso il privilegio di arrivarci per prima.

La conquista di Gerusalemme era l’apice della vittoria nella guerra dei Sei Giorni, in quanto il controllo dei Luoghi Sacri – con il Monte del Tempio ed il Muro del Pianto – era ritenuto di vitale importanza per il giovane stato di Israele. L’onore di prendere fisicamente possesso di quel grande obiettivo era stato concesso agli uomini di Gur, per il coraggio e la professionalità dimostrati nei due giorni precedenti.

La 55° Brigata aveva conquistato la parte settentrionale di Gerusalemme, sbaragliando le difese dell’esercito giordano, all’alba del 6 giugno.

La tensione tra Israele e gli stati arabi confinanti si era bruscamente aggravata il 5 giugno, quando l’aviazione israeliana aveva sferrato un attacco a sorpresa contro gli aeroporti militari egiziani (foto a dx). L’offensiva ebbe successo ma, nella confusione di quella giornata, re Hussein di Giordania fu indotto a credere che gli israeliani fossero stati pesantemente sconfitti: decise quindi di muoversi a sua volta.

Alle ore 11 ebbe inizio un bombardamento ad opera dei giordani lungo la linea di confine e l’aviazione sconfinò nello spazio aereo israeliano. Si trattò di un atto sconsiderato di cui re Hussein si sarebbe in seguito pentito amaramente. Nello spazio di poche ore le IDF (Israel Defense Forces) mobilitarono la loro aviazione e il maggior generale Uzi Narkiss, capo del Comando Centrale, diede il via a un’offensiva strategica contro il territorio giordano.

Le IDF si trovavano in una situazione poco favorevole. Il problema principale era costituito da una stretta lingua di terra, esposta al bombardamento dell’artiglieria giordana su entrambi i lati, che era l’unico collegamento con l’area di Gerusalemme. Questo corridoio doveva essere reso sicuro, si decise quindi di impiegare i mezzi corazzati della 10° Brigata del colonnello Ben Ari per avanzare a nord della striscia, in direzione dell’altopiano che collega Gerusalemme al centro di Ramallah; nello stesso momento gli israeliani attaccavano Latrun occupandola. A sud del corridoio, nel frattempo, la 16° Brigata Gerusalemme lanciò una serie di attacchi che tagliarono le principali linee di comunicazione giordane con le loro forze a Hebron. La riuscita di queste due operazioni, favorito da riconquistato predominio aereo, diede una nuova fisionomia alla situazione. I giordani avevano perso l’iniziativa strategica e la loro posizione a Gerusalemme era adesso seriamente minacciata.

All’interno della città, le prospettive per entrambi i contendenti erano complicate da due fattori.

Il primo era la presenza di una enclave israeliana – che comprendeva l’ospedale Hadassah e l’università ebraica – all’interno della zona giordana di Monte Scopus. Uno degli obiettivi delle IDF era appunto liberare l’enclave che si trovava sotto la tutela delle Nazione Unite sin dal 1948, mentre i giordani desideravano annientarla.

Il secondo fattore che complicavano le operazioni militari nella città era la presenza di fortificazioni edificate da entrambe le parti nei 20 anni trascorsi dal momento in cui era stata fissata la frontiera tra i due Stati. Tali sbarramenti di bunker, trincee, reticolati e campi minati rendevano difficile, se non impossibile, ogni offensiva.

La principale forza giordana nella città era costituita dalla 27° Brigata di fanteria, sotto il comando del generale Ata Ali. Altre brigate di rinforzo erano stanziate sia a nord che a sud, mentre un battaglione corazzato era dislocato alle spalle delle costruzioni nella valle di Kidron. L’aviazione israeliana compì grandi sforzi per colpire le linee di comunicazione fra queste forze e le concentrazioni giordane a nord e a est. Tuttavia Ali era un comandante esperto e la maggior parte dei suoi uomini erano reduci della Legione Araba, decisi ad opporre una strenua resistenza.

Contro di essi, gli israeliani decisero di impiegare una delle loro migliori unità: la 55° Brigata Paracadutisti.

I Paracadutisti erano un corpo addestrato per azioni dirette e abituato a trovarsi in prima linea. Nelle sue fila vi erano molti veterani che avevano partecipato a numerose incursioni nei territori arabi. Durante la pianificazione del conflitto, il Comando israeliano aveva pensato di impiegare i parà contro gli egiziani nel Sinai. A mezzogiorno del 5 giugno fu loro ordinato di prepararsi per un lancio operativo contro El Arish, in modo da sostenere l’avanzata lungo l’asse nord-sud.

Il successo dell’aviazione con la stella di David fu così schiacciante che alle 16 dello stesso giorno venne presa la decisione di impiegare la brigata contro i giordani a Gerusalemme.

Il piano era che il 66° ed il 71° Battaglione della 55° Brigata attaccassero lungo il fronte che andava dalla Porta di Mandelbaum all’edificio della Scuola di Polizia, occupato dai giordani. Non appena effettuato uno sfondamento, il 28° Battaglione si sarebbe spinto a sud verso le mura della Città Vecchia. I carri armati della Brigata Gerusalemme avrebbero sostenuto l’azione, tuttavia i parà dovevano aprirsi un varco combattendo, attraverso un’impressionante serie di ostacoli senza un appoggio adeguato prima che l’attacco potesse acquisire slancio.

La 55° Brigata si preparò all’assalto. Fu deciso di entrare in azione il più presto possibile, ma i battaglioni non furono pronti prima delle 2.15 del giorno 6 a causa del mancato arrivo delle munizioni alle batterie di mortai da 81 mm. Alla fine però, ogni cosa andò a posto e alle 2.15 cominciò il fuoco di sbarramento. I primi plotoni israeliani si avvicinarono alle posizioni giordane alla luce dei proiettili traccianti e delle case in fiamme. Piazzarono delle cariche esplosive sotto i reticolati di filo spinato e le attivarono dopo una rapida ritirata.

Una volta oltrepassato il filo spinato, il 66° Battaglione doveva spingersi a nord, oltre la scuola di polizia, per conquistare l’importante posizione della Collina delle Munizioni, mentre il 71° doveva avanzare attraverso la zona dello Sheikh Jarrah e della colonia americana verso Wadi El-Joz. La Collina delle Munizioni era un punto fondamentale e anche la scuola di polizia era ben fortificata. I parà erano carichi come muli di caricatori supplementari per i mitra Uzi e di granate.

Giganteschi riflettori spazzavano i muri bianchi della scuola di polizia. Mentre i fari giordani illuminavano la zona, le case in fiamme rendevano l’oscurità circostante ancora più fitta. I colpi dei cannoni dei carri, dei mortai e degli obici da 88 mm provocarono uno sbarramento generale non appena i parà si spinsero avanti. Era anche impossibile vedere da dove proveniva il fuoco delle armi leggere del nemico. Se si fosse avvistata una trincea o una piazzola, sarebbe stato possibile attaccarla e distruggerla, ma bisognava dare la precedenza assoluta agli obiettivi importanti. Nonostante il pesante carico e il massiccio fuoco nemico, gli uomini del 66° riuscirono a proseguire l’avanzata.

La compagnia A fu la prima ad entrare nella Scuola di Polizia, aprendosi un varco attraverso il recinto per il bestiame. In gruppi di quattro i parà ripulivano le stanze: due lanciavano una granata e sparavano raffiche di mitra all’interno della stanza, mentre gli altri due si spostavano verso la stanza successiva.

Una volta occupata la scuola, la compagnia A si mosse verso l’hotel Ambassador, assieme alla compagnia D, mentre le compagnie B e C proseguivano verso la Collina delle Munizioni.

All’alba i parà erano impegnati in una dura battaglia per la conquista della collina. Nelle trincee e nei bunker era spesso arduo distinguere i compagni dai nemici e lo scontro diventò ancora più confuso quando i giordani cominciarono a sparare dai loro nascondigli a nord delle colline.

I mezzi corazzati giunsero in soccorso, ma il combattimento a distanza ravvicinata è sempre un incubo per i carri armati, che devono essere protetti dalla fanteria contro il fuoco dei lanciarazzi e dei cannoni senza rinculo. Ben presto i parà esaurirono i caricatori supplementari che si erano portati dietro e dovettero cominciare a ricaricare a mano i nastri delle mitragliatrici, prendendo le cartucce una per una dalle scatole di munizioni, un lavoro ingrato quando ci si trova sotto il fuoco nemico. Poco per volta, però, la Collina venne conquistata ed il cosiddetto grande bunker cadde alle 5.15.

Nel frattempo il 71° Battaglione stava a sua volta incontrando una forte resistenza. Non poche difficoltà vennero riscontrate per individuare la strada oltre le linee giordane. Inoltre, il problema di imboccare la strada giusta nell’oscurità, sulla base di scarse fotografie, era aggravato dalla necessità di distruggere le postazioni occultate dei giordani.

Gli israeliani cominciarono a occupare la zona fra la frontiera e la strada di Nablus, lanciando granate nelle piazzole e muovendosi con cautela nelle zone più esposte. I parà ebbero un colpo di fortuna quando i difensori giordani della strada per Wadi El-Joz furono colti di sorpresa. Immediatamente una compagnia si mosse sino al termine della strada per fortificare alcune posizioni in questa importante intersezione.

Anche se l’avanzata nel suo complesso stava ottenendo i risultati sperati, le artiglierie di supporto giordane ben presto individuarono il luogo dove gli israeliani stavano concentrandosi. Le squadre addette ai mortai e ai cannoni senza rinculo della Brigata finirono così sotto il fuoco nemico e subirono gravi perdite.

Una mitragliatrice pesante aveva in particolare causato grosse difficoltà con le sue raffiche prima di essere messa fuori combattimento da un colpo di bazooka; e una mitragliatrice leggera si rivelò una vera e propria spina nel fianco degli israeliani, malgrado ogni tentativo di metterla fuori combattimento. Taceva per un attimo quando un proiettile di obice le esplodeva vicino e subito dopo riapriva il fuoco. Alcuni ufficiali, appartenenti al Comando del 28° Battaglione, si offrirono volontari per ridurla in silenzio, ma quando tentarono di avvicinarsi caddero in trappola e il comandante della compagnia di supporto, che guidava il gruppo, fu ferito gravemente.

Dopo un’attesa apparentemente interminabile, si fece l’alba prima che le avanguardie del 28° Battaglione superassero il filo spinato e cominciassero ad avanzare verso sud.

Combattere alla luce del giorno era ancora più pericoloso che combattere di notte. Adesso i cecchini potevano sparare senza che i lampi ne rivelassero la posizione, e gli osservatori dell’artiglieria giordana avevano una visione migliore della situazione.

I parà del 28° avanzavano in zone che si ritenevano bonificate, ma gli israeliani scoprirono ben presto che le truppe nemiche potevano facilmente reinfiltrarsi, attestandosi di buone posizioni. L’edificio del Consiglio Musulmano dovette essere espugnato tre volte prima di essere sicuri che non vi fosse rimasto nessuno pronto a colpire di sorpresa gli israeliani in avanzata.

Il compito di procedere lungo la via del Saladino fu affidata alla compagnia C, che però si incamminò erroneamente lungo la strada di Nablus, a causa dell’impossibilità di orientarsi con sicurezza nella zona. I parà dovettero far piazza pulita nell’edificio della YMCA, da cui proveniva un considerevole volume di fuoco. Entrati con ogni cautela, i parà trovarono vuoto l’edificio, salvo il treppiede di una mitragliatrice. All’improvviso la squadra venne investita da numerose raffiche, e molti uomini caddero feriti. Vi era troppo poco tempo perché ci si potesse occupare di un singolo ostacolo, e un combattimento corpo a corpo avrebbe provocato diverse perdite. Così la squadra si ritirò ed un carro armato sparò due colpi contro i piani superiori dell’edificio; poi l’avanzata continuò.

Alle 5 circa vi fu un momento di calma, e i parà del 28° ricevettero l’ordine di fermarsi. Fu un momento esasperante, in quanto il rischio di essere colpiti da un cecchino o da una salva di obice erano elevatissimo. Poi l’avanzata riprese con l’appoggio di una consistente forza corazzata. L’obiettivo principale era adesso il museo Rockefeller, un maestoso edificio moderno che dominava gli accessi all’angolo nordorientale della Città Vecchia. Il boato dei cannoni dei carri armati rimbombava tra gli alti edifici, assordando i parà. I combattenti appiedati avevano difficoltà a comunicare con gli equipaggi dei mezzi corazzati poiché i cavi dei microfoni esterni erano sati messi fuori uso dalle granate. Tuttavia, nonostante questi problemi, i carri armati furono una vera salvezza, in quanto solo loro potevano distogliere il fuoco dell’artiglieria giordana dalle truppe a piedi, e la loro presenza scoraggiava il nemico nel voler ingaggiare una battaglia a distanza ravvicinata.

Per le 8 la 55° Brigata poteva vantare al suo attivo una serie di brillanti successi. Tutti i suoi obiettivi erano stati raggiunti ed esistevano ora le condizioni per un’ulteriore avanzata.

A partire dalla Collina delle Munizioni era stata stabilita una linea verso nord che attraverso Sheikh Jarrah e l’hotel Ambassador, arrivava fino a Wadi El-Joz, ai piedi del monte Scopus: ciò migliorava la situazione delle guarnigioni assediate. A sud, intanto, la conquista del museo Rockefeller aveva reso possibile l’assalto contro la Città Vecchia. I parà del 28° Battaglione avevano preso posizione all’interno dell’hotel Rivoli, di fronte alla porta di Erode.

Le perdite subite dalla Brigata per raggiungere gli obiettivi prefissati erano state pesantissime, ma la situazione era adesso assai promettente. Il morale era alle stelle, e Gur si preparò a far muovere il 66° Battaglione ancora più a sud per un’altra giornata di combattimenti.

Narkiss, deciso a penetrare nella Città Santa al più presto, ordinò a Gur di concentrare le forze per espugnare l’ultima roccaforte dei giordani nella zona dell’ospedale Augusta Victoria, su una cresta a sud del Monte Scopus, e di prepararsi a circondare la Città Vecchia. I piani vennero rapidamente messi a punto e fu deciso di attendere fino alle 19.30, cioè fino al calar della sera, prima di sferrare l’attacco.

L’assalto all’ospedale ebbe un esordio tutt’altro che positivo, poiché parte delle truppe stavano troppo sotto alle mura della Città Vecchia e furono bersagliate dal fuoco nemico. Alle 21.40 Gur venne informato che 40 carri armati M-48 in dotazione all’esercito giordano erano stati avvistati dalla parte opposta del pendio che i suoi uomini stavano prendendo d’assalto.

Gur disponeva di soli 4 Sherman e non poteva rischiare lo scontro. Decise quindi di attendere fino al giorno seguente, quando poteva essere richiesto un supporto aereo. Il piano di Gur era di attaccare alle ore 11.30 del 7 giugno; per quell’ora, infatti, l’aviazione israeliana avrebbe potuto colpire gli M-48. L’Alto Comando israeliano decise invece che l’attacco dovesse aver luogo molto più presto, alle 8.30 del mattino. Ci si dette quindi freneticamente da fare per organizzare i modi e i tempi dell’attacco, che doveva essere sferrato contemporaneamente da Monte Scopus e attraverso la valle di Kidron.

Tuttavia, tali accurati preparativi si rivelarono del tutto inutili. Ata Ali era rimasto completamente isolato dalle avanzate israeliane a nord e a sud, e dagli attacchi devastanti dell’aviazione contro i convogli di soccorso. Senza la possibilità di ricevere rinforzi corazzati, Ata Ali diede l’ordine della ritirata alle prime ore del 7 giugno.

Alle 8.04 a Gur fu dato finalmente l’ordine tanto atteso: espugnare la Città Vecchia. Subito dopo gli attacchi aerei sulla cresta Augusta Victoria, i suoi uomini si lanciarono all’assalto e alle 9.30 Gur poté trasmettere lo storico ordine alla sua Brigata.

L’ingresso nella Città Vecchia doveva avvenire attraverso la Porta del Leone che era l’unica abbastanza ampia per far passare i carri armati: quando il supporto corazzato dei parà si avvicinò al varco ci fu solo qualche sporadico sparo.

Gur entrò per primo, e le sue truppe incontrarono solo una debole resistenza da parte di alcuni cecchini isolati. Alle 10 circa gli israeliani raggiunsero il Muro del Pianto.

La 55° Brigata aveva ottenuto una vittoria che sarebbe diventata leggendaria nella storia dello Stato di Israele.

(foto: web / Defense Ministry’s IDF Archive)