1956, Operazione Musketeer: l’ultima impresa coloniale degli europei

(di Tiziano Ciocchetti)
22/01/18

Alla presa del potere in Egitto, da parte del partito nazionalista arabo, capeggiato da Gamal Abdel Nasser, fece immediatamente seguito la richiesta di ritirare le forze britanniche stanziate nel Paese nordafricano. L’ultimo reparto inglese lasciò l’Egitto il 31 marzo 1956. Tuttavia Londra conservò la sua quota di maggioranza nella Compagnia anglo-francese incaricata di gestire il traffico marittimo attraverso il Canale di Suez, un affare che le procurava ogni anno circa 35 milioni di sterline di profitti.

Il 26 luglio il presidente Nasser nazionalizzò la Compagnia del Canale per poter finanziare il progetto della diga di Assuan. Inoltre proibì allo Stato israeliano l’uso del Canale di Suez, violando così il trattato internazionale del 1888 che garantiva il libero transito a tutte le nazioni. Tale arbitraria iniziativa suscitò un coro di proteste internazionali e la crisi venne affrontata in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Nel frattempo le IDF (Israel Defense Forces) stavano pianificando l’invasione della Penisola del Sinai per mettere alle strette Nasser. Venne anche raggiunto un accordo con Parigi e Londra in base al quale le truppe delle due nazioni europee sarebbero intervenute, subito dopo l’attacco sferrato dagli israeliani, con il pretesto di difendere il Canale dai Paesi belligeranti.

Il 29 ottobre 1956 gli israeliani invadono il Sinai. Il 31, la RAF, attacca e nel giro di quattro giorni annienta l’aviazione egiziana.

Il 5 novembre i parà britannici erano partiti dall’aeroporto di Nicosia a Cipro, con l’obiettivo di assumere il controllo del Canale di Suez.

L’operazione Musketeer comporta l’impiego di circa 80.000 uomini, alla cui testa figurano la 16ᵃ Independent Parachute Brigate (Brigata Autonoma Paracadutisti) – comandata dal Generale Butler – e la 3ᵃ Brigata Commando dei Marines. Da parte francese vengono impiegate la 10ᵃ Divisione Paracadutisti e la 7ᵃ Divisione Meccanizzata, entrambe reduci da un turno di servizio in Algeria.

Il piano d’attacco prevede una serie di attacchi aerei allo scopo di sopprimere le difese nemiche. All’incursione aerea farà seguito il lancio del 3° Battaglione Parà sull’aeroporto Gamil, nei pressi di Porto Said. Contemporaneamente, i francesi, con il 2° Reggimento Coloniale Parà, hanno il compito di impadronirsi dei due ponti di Raswa che collegano Porto Said con la terraferma. Il giorno successivo gli uomini della 3ᵃ Brigata Commando dei Marines e del 1° Reggimento Parà della Legione Straniera sarebbero sbarcati su una delle due sponde del canale e, penetrando all’interno, avrebbero fornito supporto ai paracadutisti.

Il problema che assillava il comandante inglese dei parà, il tenente colonnello Paul Crook, era la zona sulla quale il 3° Battaglione doveva scendere. Il campo di Gamil si trova infatti su una stretta lingua di terra tra il Mediterraneo e il lago di El Manzala. È lungo appena 1,5 km e i paracadutisti avrebbero dovuto lanciarsi a gruppi di 20 uomini ad ogni passaggio dell’aereo. In caso di vento contrario c’è il forte rischio che gli uomini cadano in mare o nel lago, mentre anche un piccolo ritardo nel lancio potrebbe portare i parà su un impianto per il trattamento delle acque reflue situato ad est dell’aeroporto. Inoltre le spiagge e la lingua di terra fra il mare e il lago sono disseminate di mine e postazioni di mitragliatrici che coprono tutta la zona.

Crook decide di far scendere la compagnia A sul lato ovest isolandolo. La compagnia C, invece, avrebbe dovuto impossessarsi della zona meridionale del perimetro, mentre la compagnia B si sarebbe dovuta occupare del lato est in preparazione dell’avanzata su Porto Said. Il supporto di queste unità è fornito da elementi del 33° Parachute Light Regiment Royal Artillery e dal 9° Parachute Squadron Royal Engineers. Figurava inoltre coinvolta nell’operazione una squadra medica per il pronto soccorso e una pattuglia avanzata per il controllo aereo della RAF. L’aeroporto è difeso da un battaglione di fanteria nonché da un numero imprecisato di elementi della Guardia Nazionale egiziana, con il supporto di 4 cannoni semoventi SU-100 di fabbricazione sovietica.

Il 3° Parà si lancia rapidamente fuori dall’aereo Vickers Valetta, improvvisamente si trova immerso in un vertiginoso caleidoscopio di colori: l’azzurro intenso del cielo, il giallo della sabbia e il cachi dei paracadute. Gli egiziani da sotto hanno cominciato a sparare. La batteria leggera, sistemata di fianco al ponte di Gamil, primo obiettivo della compagnia A, continua a riversare proiettili contro l’aereo inglese e ben presto anche le mitragliatrici installate nei fortini di cemento alle due estremità del campo iniziano a sparare contro il velivolo e i vulnerabilissimi uomini appesi ai loro paracadute.

Il fuoco avversario è micidiale. Per 30 secondi gli uomini, una volta toccata terra, non sono in grado di entrare in possesso dei container con l’equipaggiamento e non hanno quindi armi per combattere. Poi riescono ad armarsi e cominciano a rispondere al fuoco. La compagnia C è quella che subisce le perdite maggiori: nel giro di pochi minuti perde il 10% del proprio organico a causa delle mitragliatrici e dei mortai. L’ufficiale comandante della compagnia, il maggiore Dick Stevens, raduna i suoi uomini e li lancia all’attacco delle postazioni egiziane.

Mentre la compagnia B rastrella gli edifici e i serbatoi dell’acqua situati nella zona est, distruggendo quei fortini che tante perdite hanno causato agli inglesi all’inizio dell’assalto, la compagnia A si dirige alla torre di controllo e sugli edifici dell’aeroporto: vengono occupati rapidamente e con poche perdite. Dopo aver occupato gli edifici, la compagnia A si dirige sull’altro fortino, quello sul lato occidentale. L’ufficiale in comando, il maggiore Mike Walsh, affida questo difficile compito al 1° plotone: un’azione assai pericolosa in quanto tra gli inglesi e l’obiettivo ci sono da superare circa 400 metri di un’aperta distesa di sabbia. Il tenente Peter Coates guida due gruppi in avanti mentre un terzo gruppo fornisce la copertura. Giunti a un centinaio di metri da fortino, Coates richiede il supporto dell’artiglieria pesante. Un soldato si porta in avanti con un lanciarazzi da 89mm e con un razzo centra la feritoia del fortino. Quindi il plotone avanza rapidamente e conquista la posizione: due soldati egiziani rimangono sul terreno e altri 9 vengono catturati. Gli inglesi non subiscono perdite in questa fase.

Il lato sud dell’aeroporto viene rastrellato dalla compagnia C, mentre il quartier generale e la compagnia D (composta da personale amministrativo, cuochi e magazzinieri, ma addestrati come unità di combattimento di riserva dal momento che il reggimento pretendeva che ogni elemento del battaglione fosse un paracadutista esperto) recuperano l’equipaggiamento pesante lanciato dagli aerei e allestiscono due comandi: uno per il tenente colonnello Crook e l’altro più rudimentale, per il generale di brigata Butler, che si era paracadutato insieme con gli uomini del battaglione.

In questa fase della battaglia sorge però un problema: la zona di atterraggio è così molle che le pedane antiurto, montate sotto le ruote delle jeep per attutire l’impatto con il terreno non funzionano a dovere. Infatti le pedane, nel momento in cui toccano il suolo, devono rompersi liberando così automaticamente i veicoli dalle imbracature dei paracadute e rendendoli immediatamente utilizzabili. I parà devono quindi faticare non poco per liberare i mezzi incastrati nel terreno molle, nel frattempo vengono presi di mira dal fuoco dei mortai, al quale si aggiunge ben presto quello dei lanciarazzi multipli Katjusha (recentemente forniti da Mosca).

L’equipaggiamento pesante impedisce ai parà di spostarsi velocemente. È un peso notevole, problema comune nell’Esercito britannico, ma addirittura inevitabile nelle operazioni aviotrasportate, dal momento che ogni uomo deve trasportare a spalle, nello zaino, tutte le attrezzature necessarie.

Ora che i primi obiettivi sono stati conquistati, è compito della compagnia B spingersi in avanti. Le gravi perdite subite nelle prime fasi della battaglia sono state impreviste e brutali. Il tenente colonnello Crook, soddisfatto dell’avanzata compiuta da Stevens, si reca, insieme con il generale Butler, a portare ai parà il suo sostegno morale. Il loro arrivo produce un effetto positivo sui soldati, soprattutto perché i due ufficiali indossano il tradizionale basco rosso dei parà. I soldati hanno ancora gli elmetti d’acciaio dal momento che non hanno avuto il tempo di toglierli, ma ben presto cominciano ad apparire i berretti da parà: le ali d’argento e le baionette luccicano al sole. Ora sono pronti ad avanzare. Tuttavia in quel frangente il fuoco dei mortai non si è mai arrestato e, pochi minuti dopo l’arrivo di Crook, Stevens viene ferito.

Karl Beale, il suo secondo, assume il comando della compagnia B e invia il sergente Norman, insieme con un plotone di sottufficiali, verso nord, lungo la strada che conduce all’impianto per il trattamento delle acque reflue con lo scopo di neutralizzare un altro fortino che sta causando non pochi problemi agli inglesi. I mortai del battaglione entrano in azione a supporto dell’assalto di Norman, spianando la strada ad un altro plotone, quello comandato dal tenente Hogg, che avanza sotto la copertura del plotone anticarro.

Mentre Hogg conduce i suoi parà oltre l’impianto sino agli edifici deserti sul lato opposto, i cannoni senza rinculo da 106 mm riescono a centrare un cannone semovente egiziano. Nel frattempo viene richiesto l’appoggio dei velivoli delle portaerei ormeggiate davanti alla spiaggia, tuttavia, due Mystère francesi scambiano i parà di Hogg per egiziani e li attaccano, costringendo il plotone a ripararsi direttamente nelle vasche dell’impianto. I parà riescono poi, in un secondo momento, a raggiungere un fitto canneto proprio di fronte alle posizioni tenute dalla compagnia B.

La compagnia C rileva la B: alle ore 12.28 un massiccio attacco aereo, con il supporto dei mortai e dei cannoni senza rinculo polverizza la postazione egiziana che Hogg aveva individuato nel cimitero e alle ore 10.30 la compagnia esce dalla difficile situazione in cui si trovava e supera i 300 metri di basse dune di sabbia che la separano dal muro di cinta del cimitero.

Nelle postazioni nemiche c’è stata una carneficina. Tuttavia nelle trincee si trovano ancora difensori ben appostati. Il combattimento è spietato: pochi, da entrambi le parti, i soldati presi prigionieri.

La conquista del cimitero appare interminabile. Combattendo a distanza ravvicinata, a raffiche di mitra e a lancio di granate, gli inglesi devono fare appello a tutto il loro addestramento nel tentativo di avere la meglio.

I difensori infine si ritirano, e molti di loro raggiungono le donne e i bambini che fuggono da Porto Said sulle feluche attraverso il Canale di El Manzala, tra la città e Gamil. Mentre la compagnia C consolida le posizioni, molti parà si liberano delle pistole mitragliatrici Sten e dei fucili Lee-Enfield n. 4, che in diversi casi si sono dimostrati poco affidabili, sostituendoli con le armi abbandonate dagli egiziani: mitra Beretta, MP43 tedeschi, fucili e pistole mitragliatrici sovietiche SKS e PPS.

Nella torre di controllo dell’aeroporto, nonostante i colpi di un cannone semovente SU-100 piazzato a Porto Said che aveva trovato l’alzo giusto, gli ufficiali del comando si dedicano alla pianificazione della seconda fase dell’assalto. Gli elicotteri della Marina hanno già evacuato i feriti, mentre la 9ᵃ squadra Paracadutisti sta liberando la pista dai barili messi dagli egiziani per impedire l’atterraggio di aerei nemici. Il colonnello de Fouquères, che funge da ufficiale di collegamento con il comando francese, atterra a bordo di un Dakota e, ignorando il fuoco dei mortai e delle mitragliatrici che battono sistematicamente la pista, dopo un breve colloquio con il generale Butler, decolla nuovamente per Akrotiri.

La compagnia C, che stava combattendo nella zona est, viene presa sotto il fuoco proveniente da un gruppo di edifici alla periferia di Porto Said. I continui attacchi aerei hanno ormai seriamente minato la capacità di resistenza degli egiziani. I quattro cannoni semoventi SU-100, posti a difesa del gruppo di edifici, sono stati abbandonati tuttavia le mitragliatrici piazzate negli appartamenti bloccano ancora l’avanzata dei parà inglesi; finché il tenente Mike Newall, ufficiale comandante del plotone mitraglieri, fissa la sua attenzione su un mezzo corazzato egiziano abbandonato nella terra di nessuno. Sistema il suo plotone in un punto riparato e poi raggiunge, sotto il fuoco nemico, il veicolo che, con l’aiuto del sergente della compagnia C, riesce a mettere in moto. I due parà attaccano le postazioni egiziane con le armi di bordo e poi fanno ritorno alle proprie linee.

Il giorno sta ormai volgendo al termine, per cui la compagnia C fa ritorno all’aeroporto; la compagnia B si apposta all’impianto per il trattamento delle acque reflue, tenendosi pronta a sostenere eventuali attacchi da parte egiziana. Il giorno seguente, i parà, si mettono in attesa dell’inizio del bombardamento navale, che avrebbe segnato l’avvio della seconda fase dell’operazione: l’assalto anfibio a Porto Said.

Tutti gli obiettivi assegnati al 3° Battaglione sono stati conseguiti ed anche i francesi del 2° Reggimento Coloniale Paracadutisti hanno portato a termine le loro azioni a Porto Fuad. Il comandante francese, colonnello Conan, è riuscito ad entrare in contatto telefonico con il comandante egiziano ed è certo che ormai sarebbe stato possibile negoziare la resa senza ulteriore spargimento di sangue: di conseguenza ordina che, alle ore 17.00, cessassero gli attacchi aerei.

Il generale inglese Butler raggiunge Conan nelle postazioni francesi in elicottero e dalle ore 18.00 alle 20.30 regna una non facile tregua.

Tuttavia non sussistono le condizioni per una tregua duratura. Dopo una notte relativamente tranquilla, il 6 novembre, il 3° Parà è dislocato nel porto per appoggiare lo sbarco degli altri reparti. Dopo una serie di attacchi aerei e un massiccio bombardamento navale, poco prima delle ore 7.00, i marines del 40° e del 42° Commando raggiungono le spiagge, sotto la copertura del fuoco delle mitragliatrici dei parà che li aiutano ad allontanarsi rapidamente dai mezzi anfibi.

Poco più tardi, il 45° Commando Marines viene trasferito in città con gli elicotteri, mentre il 1° Reggimento Parà della Legione Straniera prende terra lungo il frangiflutti, sul lato est di Poro Said. Elementi del 3° Parà sono coinvolti in scontri a fuoco per tutto il giorno e, non appena cade la notte, il 2° Parà giunge a riva con un reparto di carri armati Centurion.

Raggiunto dal generale Butler, il 2° Parà avanza fino a El Cap, una trentina di chilometri a sud dell’imboccatura del Canale di Suez e alle ore 23.59 gli egiziani accettano il cessate il fuoco.

(foto: web)