14 settembre 1942: attacco degli inglesi alla base italiana di Tobruch

(di Marina Militare)
14/09/15

L'Armata italo-tedesca è ad El Alamein. Ancora un balzo e la guerra in Africa sarà finita. Messo alle corde, il comando britannico del Medio Oriente decide di attaccare, con un'operazione anfibia, la base italiana di Tobruch, il cui porto è essenziale per assicurare i rifornimenti al fronte in Egitto. Il piano prevede l'occupazione della città e del porto per 24 ore, l'affondamento o la cattura delle unità navali presenti e la distruzione dei depositi e delle infrastrutture. Presupposto di base dell'intero programma era la debolezza delle difese in mano, secondo l'ordine di operazione, a "meno di un reggimento di soldati italiani di scarsa efficienza".

L'operazione inizia la notte senza luna del 13 settembre 1942. A nord di Tobruch sbarcheranno 380 Royal Marines trasportati dai grossi cacciatorpediniere Sikh e Zulu (Forza "A"); contemporaneamente avrà luogo un attacco via terra da parte di 83 incursori (Forza "B"); seguirà sbarco a sud di 180 guastatori trasportati da 15 motosiluranti e 3 motolance (Forza "C"); la copertura strategica è assicurata dall'incrociatore Coventry e da 4 caccia di scorta (Forza "D"); un gruppo di segnalatori sbarcati da un sommergibile (forza "E") indicherà le spiagge da investire.

I primi ad agire, alle 22:00, sono gli uomini della Forza "B" che, camuffati con divise e armi tedesche, raggiungono il costone meridionale della penisola di Tobruch con l'incarico di eliminare, spietatamente e in silenzio, due batterie costiere, una dell'Esercito e una della Marina. Il personale della prima postazione riesce, tuttavia, a dare l'allarme, permettendo così ai marinai della batteria S.P. 5 di opporsi inchiodando gli incursori britannici. Il Comando Marina, ammiraglio Giuseppe Lombardi, già capo del Servizio Informazioni, assume senz'altro la direzione delle operazioni e dispone l'invio in zona di un nucleo del 3° Battaglione San Marco, i "soldati italiani di scarsa efficienza" di cui sopra. Nel corso della notte, illuminata solo dagli spari e dalle bombe a mano, il contrattacco del San Marco annienta i Commando.

Alle 01:00 il Comando Marina riceve una comunicazione dalla Motozattera MZ 733 - in mare come guardaporto assieme alla MZ 759 – "Motosiluranti nemiche cercavano di forzare le ostruzioni. Vado all'attacco". Poco dopo giunge una conferma dalla MZ 756, la quale comunica laconicamente di aver respinto un gruppo di natanti nemici. L'efficace azione delle motozattere, piccole unità anfibie, non sorprende. Sono navicelle da 200 tonnellate progettate per la mancata invasione di Malta e impegnate da mesi ad assicurare il traffico vitale con le prime linee combattendo ogni giorno e ogni notte gli aerei avversari. Scafi di ferro, protezione di cemento, uomini d'acciaio. Ben armate grazie al ricco bottino di fucili mitragliatori "fuori ordinanza" inglesi fatto a giugno a Tobruch che integra il cannone da 76 e la mitragliera da 20 regolamentari. Ogni marinaio non impegnato al motore o al timone ha la sua arma. Comandate da giovani ufficiali freschi d'Accademia o da capi Nocchieri di provata esperienza e con equipaggi di vecchie lenze, gli scanzonati "muli del mare" assestano calci dolorosi, ora non solo agli aerei, ma anche alla francamente sfortunata Forza "C".

È quindi il turno dei Royal Marines della forza "A". Le operazioni sono compromesse sin dall'inizio a causa dell'errata segnalazione dei punti di sbarco. Gli artiglieri della Regia Marina, dopo aver inchiodato i Commandos, sono tornati al consueto mestiere e quando, alle 5 del mattino, i caccia Sikhe Zulu si avvicinano alla costa, camuffati da navi italiane e battendo falsa bandiera (legittima ruse de guerre fino a quando non si apre il fuoco) si scatena, parole inglesi, l'inferno: i cannoni da 120/50 e 102/35 delle batterie Dandolo (la quale doveva ancora collaudare i propri pezzi appena installati, lo farà dal vivo) e Tordo, inquadrano il bersaglio mettendo a segno 7 colpi sul Sikh, incendiato e affondato, e 6 sullo Zulu. Il resto degli inglesi a terra è contrattaccato, a questo punto, da una compagnia improvvisata messa insieme con 40 marinai italiani SV (servizi vari), 30 colleghi tedeschi presentatisi spontaneamente all'ammiraglio Lombardi per prendere ordini e 90 Carabinieri, accolta da Lombardi col grido di "Siamo a posto, ragazzi, sono arrivati i carabinieri!". I Marines si arrendono in massa e vengono catturati. Sono duri professionisti e, pertanto, sanno quando abbassare bandiera.

L'opera è completata, dopo l'alba, da un gruppo di cacciabombardieri italiani Mc. 200, ormai obsoleti e destinati di regola a monotone missioni di scorta sul mare. Ma oggi, finalmente, si cambia musica. Dapprima una bomba da 50 kg suggella la sorte del Sikh, poi affondano la motosilurante MTB 312 e le motolance ML 352 e 353 danneggiando inoltre le MTB 308, 310 e 313. Seguirà in giornata una serie di azioni della Luftwaffe che affonderà l'incrociatore Coventry attribuendosi anche lo Zulu, già azzoppato e incapace di superare i 25 nodi, e le MTB 308 e 310, anch'esse danneggiate precedentemente, come abbiamo visto, dai piccoli Mc. 200. La MTB 314 è infine recuperata intatta, essendosi incagliata su un banco di sabbia. Al termine dei rastrellamenti a terra e del recupero dei naufraghi si conteranno 625 prigionieri, in maggioranza salvati delle motozattere, inclusi il comandante del Sikh e un malcapitato giornalista statunitense. L'archivio segreto del Sikh, affondato in acque basse, è recuperato e gli inglesi scopriranno quest'ulteriore iattura soltanto di lì a un anno esatto. Anche la bandiera dei Royal Marines cade in mano italiana, ed è tutt'ora tra i trofei della nostra Marina.

Un'accurata ricostruzione di questa vittoria italiana, realizzata nel 1973 dallo scrittore pavese Mino Milani e illustrata dal Maestro Attilio Micheluzzi, è stata recentemente pubblicata, grazie alla cortese disponibilità dell'editore Ivaldi e dello sceneggiatore, sul numero di giugno del Notiziario della Marina.

(nella foto in basso il vessillo dei Royal Marines catturato)