In un momento quale quello che stiamo vivendo, con le relazioni internazionali che sembrano più che mai caratterizzate da incertezza, lo spazio gioca un ruolo importante nel complesso calcolo dei rapporti di forza. Senza l’impiego dei satelliti, per esempio, non esisterebbero i sistemi di posizionamento globale, sarebbero sensibilmente più difficili la sorveglianza militare e la raccolta di informazioni su possibili minacce alla sicurezza. Sotto il profilo ambientale, inoltre, sarebbero considerevolmente meno efficaci il monitoraggio meteorologico o dell’inquinamento. Le capacità di osservazione della Terra, infatti, sono ormai diventate fondamentali sia in ottica securitaria sia per la prevenzione dei danni collegati al cambiamento climatico.
In tale quadro, si guarda con sempre più interesse alle molteplici opportunità offerte dallo spazio e, in particolare, dal nostro satellite naturale, un tempo solitario faro notturno ammirato solo dagli astronomi, dai poeti e dalle coppie innamorate.
Gli statunitensi sono i soli, al momento, ad aver condotto un programma in grado di portare esseri umani sul suolo lunare. Tuttavia, il guanto di sfida è ormai stato lanciato (nello spazio) da altri paesi, Cina in testa, e ciò ha impresso una decisa accelerazione alla competizione.
Si tratta di una gara tecnologica, geopolitica e antropologica, dove il naturale impulso umano all’esplorazione si fonde con la fredda realtà delle rivalità di potere. Una gara che fa registrare continuamente nuovi progressi, segno tangibile dell’intensa attività che sta caratterizzando questo ritorno all’esplorazione spaziale, e verso la Luna in particolare, dove l’obiettivo è quello di stabilirvi delle basi abitate permanenti sia per finalità scientifiche sia per l’estrazione delle risorse sia per lo sviluppo di infrastrutture logistiche per future missioni interplanetarie.
Diversamente da quanto avvenuto nel XX secolo, però, la nuova corsa alla Luna vede oggi cimentarsi sia attori statali che privati, in competizione per il raggiungimento di traguardi importanti su un teatro strategico fondamentale, in un quadro geopolitico multipolare decisamente più complesso che in passato.
Un quadro che vede da una parte l’Occidente, nel senso più ampio, riunito attorno agli Stati Uniti e dall’altra la Cina, che si propone come leader del sud globale.
Conseguentemente se gli USA, grazie alla loro passata esperienza, stanno facendo la loro corsa per tornare sulla Luna, la Cina sta sviluppando il proprio programma all’inseguimento degli statunitensi, in una sorta di riedizione spaziale della fiaba di Esopo “La lepre e la tartaruga”.
In tale situazione, l’Europa non è né lepre né tartaruga dato che, mentre si dimentica di fare, troppo impegnata a scrivere le regole, sembra piuttosto avere scelto il ruolo di attore non protagonista del film che si sta sviluppando sotto il cielo stellato della bandiera statunitense.
Alla corsa, inoltre, prende parte anche un altro “corridore”, l’India, che si sta proponendo per autorevolezza e capacità, dibattuto tra i due schieramenti, aspirando ad appartenere a un sistema diverso dall’attuale, dominato dagli USA, ma avendo ancora forti rivalità con la Cina.
Ma vediamo sinteticamente cosa sta avvenendo.
Stati Uniti e Cina
Con il programma “Artemide”, portato avanti dalla NASA e da aziende di voli spaziali commerciali statunitensi, e la partnership di European Space Agency (ESA), Japan Aerospace eXploration Agency (JAXA) e Canadian Space Agency (CSA), gli USA si propongono di riportare equipaggi sulla Luna, con l'obiettivo a lungo termine di stabilirvi una presenza autosufficiente, di gettare le basi per permettere a società private di avviare un'economia lunare e, infine, di effettuare viaggi umani verso Marte.
Sotto il profilo tecnico il programma prevede, in estrema sintesi, uno Space Launch System (SLS) della NASA con la navicella spaziale “Orion”, che dovrebbe assicurare il trasporto dell’equipaggio verso la Luna, due Human Landing Systems (HLS) per l’allunaggio e una Lunar Orbital Platform-Getaway (LOP-G), per assicurare un presidio permanente in orbita lunarei.
Tuttavia, al momento sembra che ci sia qualche ritardo nel raggiungimento degli obiettivi dettati dal programma, del quale si parla molto, ma si vede poco, tant’è che la missione “Artemide II”, per esempio, dalla previsione iniziale di aprile è stata rimandata a settembre 2025, ufficialmente a causa di un’usura anomala dello scudo termico registrata durante la missione “Artemide I”. Nel complesso, però, sembra una specie di “Aspettando Godot” in salsa statunitense, che dà l’impressione che a determinare le priorità del programma non sia la politica ma gli interessi privati di alcuni attori. In tale ambito ci si chiede, con malcelata inquietudine, se eventuali nuovi obiettivi dell’Amministrazione Trump 2.0 possano aver rimesso in discussione il programma “Artemide” e, con esso, il contributo europeo, a favore di iniziative similari ma condotte da attori privati, come Space X per esempio.
Al momento, tuttavia, il programma “Artemide” (e, quindi, la cooperazione con gli USA) appare ancora attraente, visto che è stato sottoscritto da ben 53 paesiii. In tale ambito il blocco occidentale ha aderito quasi totalmente e l’elenco dei firmatari vede anche molti paesi emergenti, come l’India e il Brasile, formalmente appartenenti ai BRICS.
Il programma spaziale cinese, invece, meraviglia per l’ampiezza e la costanza con cui gli obiettivi parziali vengono raggiunti. Il dito del mondo punta verso la Luna e i cinesi guardano costantemente al nostro satellite naturale.
In risposta al programma “Artemide”, Pechino sta quindi sviluppando il proprio programma spaziale con eccezionale regolarità, senza balzi da record mondiale, ma raggiungendo sistematicamente ciascuna delle scadenze previste dal calendario, con l’obiettivo di portare un astronauta cinese sulla Luna entro il 2029, indispensabile preludio all’installazione della base permanente ILRS (International Lunar Research Station) sul nostro satellite naturale.
Con la missione Chang’e-6 (giugno-luglio 2024) Pechino ha, inoltre, consolidato i progressi raggiunti in precisione e affidabilità dei mezzi ed esteso la sua presenza fino alla faccia nascosta del nostro satellite naturale, dalla quale sono stati riportati indietro circa 2 kg di campioni di suolo lunare, prelevato nei pressi del polo sud-Aitken, una regione chiave per una migliore comprensione della formazione e dell’evoluzione della Luna.
Tuttavia, l’appoggio di Pechino all’aggressione di Mosca contro Kiev preclude ai cinesi ogni collaborazione di livello avanzato con i principali fornitori occidentali di tecnologia spaziale come Stati Uniti, Italia e Francia e ciò potrebbe avere pesanti ripercussioni sulla missione Chang’e-7, attualmente prevista per il 2026, che potrebbe subire ritardi a causa di possibili problemi di approvvigionamento del materiale necessario per il Rover “Rashid-2”. Un ritardo che potrebbe far slittare in avanti tutto il programma cinese.
Mentre gli USA sembrano faticare a mantenere il passo del proprio programma, la Cina insegue e ha raggiunto una tappa fondamentale verso le future missioni umane e la permanenza sul suolo lunare, avendo un occhio molto interessato al futuro sfruttamento delle risorse del nostro satellite.
Ma il programma cinese ha anche un altro obiettivo, tutto geopolitico. Pechino, infatti, vuole dimostrare al sud globale di essere in grado di sfidare efficacemente l’Occidente (Stati Uniti in testa), proponendosi come leader indiscusso dei BRICS & C.
Sotto tale aspetto, la competizione spaziale tra USA e Cina richiama alla mente il confronto tra USA e USSR durante la Guerra Fredda. In tale ambito non si può fare a meno di notare il diverso approccio verso l’esterno da parte dei due attori principali. Ora come allora, gli USA stanno prediligendo la cooperazione internazionale, integrando molti paesi nell’iniziativa. Rimane, però, da verificare se la nuova amministrazione Trump, tesa a ridurre la valenza strategica del multilateralismo, manterrà questo approccio.
La Cina, invece, come l’Unione Sovietica di allora, procede in maniera sostanzialmente indipendente, avendo come obiettivo principale la creazione di un solido programma spaziale nazionale. La maggior parte dei 13 paesi aderentiiii all’ILRS, infatti, non ha alcuna esperienza di esplorazione spaziale e, quindi, l’apporto tecnico-scientifico non cinese è piuttosto basso, se non sostanzialmente nullo. Pur cercando (a parole) di ampliare la base di sostegno per il suo programma spaziale Pechino, probabilmente, non esercita la stessa attrattiva di Washington e conseguentemente rappresenta la (sola) vera locomotiva tecnologica dell’iniziativa, visto l’evidente grave rallentamento delle attività spaziali russe. In tal senso sembra che attorno al programma ILRS si siano aggregati alleati piuttosto che soci. Una differenza non da poco.
Gli altri attori
Una delle principali caratteristiche del panorama spaziale contemporaneo è la presenza di nuovi attori, statali e civili, che non si accontentano più di rimanere ai margini della scena ma che si propongono come protagonisti.
In tale ambito, se i piani di New Delhi verranno rispettati, quest’anno l’India potrebbe essere il quarto paese a organizzare e gestire autonomamente l’invio di esseri umani nello spazio. Una tappa politica e strategica rivolta principalmente agli ingombranti vicini, Cina e Pakistan, con i quali l’India ha vecchie ruggini irrisolte. Tuttavia, lungi dall’essere un punto di arrivo, tale risultato potrebbe efficacemente rappresentare il suo primo capitolo di una politica spaziale estremamente ambiziosa, come ricordato più volte dal Premier Narendra Modi. Durante una di queste, il 17 ottobre 2023, sull’onda dell’entusiasmo per il riuscito allunaggio della sonda Chandrayaan-3 (agosto 2023) vicino al Polo Sud lunare, impresa mai riuscita prima a USA, Russia o Cina, ha evidenziato come vorrebbe riuscire a completare entro il 2035 il programma della “Bharatiya Antariskha Station”, la stazione spaziale indianaiv, a inviare il primo astronauta sulla Luna per il 2040 e a costruirvi una base permanente entro il 2050. Un calendario ben più serrato di quello della Cina, già particolarmente ambizioso. In tal modo l’India intende offrire ai paesi non allineati una alternativa ai modelli cinese e statunitense.
Anche Tokio ha messo nel mirino la Luna. La missione SLIM (Smart Lander for Investigating Moon) è felicemente giunta sul suolo lunare il 19 gennaio 2024, permettendo ai suoi due moduli lunari – Lunar Excursion Vehicle LEV 1 e 2 - di effettuare rilevazioni a scopo scientifico. Il Giappone è così diventato il quinto paese ad aver portato con successo un mezzo sulla superficie del nostro satellite, dopo Stati Uniti, Russia, Cina e India. Lo scopo principale della missione, terminata a giugno 2024, era tuttavia quello di effettuare un allunaggio di precisione (accuratezza di 100 m), utilizzando soprattutto la tecnologia per il riconoscimento facciale, allo scopo di identificare crateri e formazioni rocciose sul suolo lunare per facilitare la manovra. Una precisione notevole, se pensiamo che il modulo “Aquila” dell’Apollo 11 ha effettuato l’allunaggio nel 1969 contando su una precisione all’interno di un’area di 20 x 5 km.
Ci sono poi gli outsider squisitamente civili come Space X, finanziato prevalentemente da contratti governativi, ai quali deve buona parte della propria vitalità, che guarda alla Luna allo scopo di creare un’economia lunare che possa servire da trampolino di lancio per Marte.
Da parte sua, la Blue Origin si è posta l’obiettivo di costruire delle infrastrutture spaziali permanenti che possano servire per l’estrazione delle risorse lunari ma anche per la creazione di un ecosistema autosostenibile al di fuori dell’orbita terrestre. Tutti obiettivi che, una volta raggiunti, potrebbero cambiare radicalmente le basi dell’economia mondiale.
L’Europa è, invece, sostanzialmente assente da questa corsa all’autonomia spaziale, mentre si accontenta di dare supporto agli altri. Abbiamo detto che il dito del mondo punta verso la Luna ma l’UE, con rare eccezioni, guarda con straordinaria attenzione … il dito. Troppo intenta a fare le regole, infatti, non dimostra sufficiente ambizione e fantasia per proporsi come leader. Una mancanza di immaginazione e di ambizione che le impedisce di figurare tra i titoli di testa di questo appassionante film, che stuzzica delicatissimi tasti dalle importanti ricadute geopolitiche, strategiche, economiche, tecnologiche e antropologiche. Un’Europa incapace di affrontare seriamente ed efficacemente le sue principali diatribe interne e di rimuovere gli ostacoli che impediscono una coerente crescita delle aziende tecnologiche europee.
Sono questi i principali motivi per i quali continuiamo ad assistere a un Vecchio Continente che potrebbe partecipare autorevolmente alla competizione in veste di comprimario, ma che preferisce ricoprire ruoli minori, continuamente dilaniato dagli attriti politici interni all’UE e ai singoli Stati membri, preda di cieche utopie in cui i paesi frugali impongono a tutti di procedere con il freno a mano tirato e di deliri correlati a un sovranismo fatiscente che guarda indietro senza vedere i danni causati in passato e, soprattutto, senza accorgersi dei danni che sta causando oggi. Ciò comporta il fatto che, nonostante le invidiabili competenze tecnologiche italiane e francesi nel settore specifico, per esempio, le imprese non possono purtroppo fare affidamento su una visione politica comune, ambiziosa e sufficientemente stabile per sviluppare ulteriormente le loro capacità, condizioni invece necessarie per gareggiare efficacemente con i competitors statunitensi e cinesi.
La mancanza di adeguati e costanti investimenti pubblici, statali e comunitari, indispensabili per attirare investimenti privati, costringe quindi l’Europa a essere largamente tributaria delle iniziative statunitensi per la realizzazione delle sue ambizioni spaziali.
Facile comprendere le implicazioni profonde di questo fatto: progressivo declassamento e isolamento complessivo del ruolo geopolitico dell’Unione e dei suoi membri. Un’ombra che si proietta ineludibilmente verso il futuro.
Conclusioni
Stiamo vivendo una seconda era spaziale, dopo la prima che è stata il programma “Apollo”, sempre con la Luna come protagonista.
L’obiettivo oggi non è più “solo” la passeggiata lunare, a scopo scientifico, ma la permanenza prolungata sul nostro satellite e lo sfruttamento delle sue risorse, mentre si guarda con molta insistenza in direzione di Marte. Il sogno di lasciare la Terra e di visitare altri mondi, infatti, è antico quasi quanto l’umanità. Negli ultimi anni la tecnologia sembra abbia trovato alcune risposte che domani potrebbero rendere reale questo sogno atavico. Lo stesso Stephen Hawking era convinto che la nostra specie dovesse diventare multi-planetaria, abbandonando la Terra e stabilendo colonie permanenti nello spazio o su altri corpi celesti, non solo per l’estrazione di risorse o per fini militari, ma anche al fine di assicurare la sua stessa sopravvivenza a lungo termine.
Ma la visione degli attuali attori spaziali è più a lungo termine e, come detto, va ben oltre la “semplice” questione dell’esplorazione scientifica. È per questo motivo che non vanno sottaciuti gli aspetti squisitamente geopolitici della nuova corsa alla Luna, che ricalcano quelli dello scorso secolo (supremazia tecnologica, militare, economica) e si accrescono di nuovi motivi di competizione, come la formazione di aggregazioni geopolitiche di sostanziale contrapposizione all’Occidente. Una cosa, tuttavia, a oggi appare certa: la bandiera cinese troverà il suo posto sulla superficie lunare (vedremo se prima o dopo il ritorno degli USA) e, con molta probabilità, anche quella indiana raggiungerà tale risultato, accrescendo enormemente il peso contrattuale e geopolitico dei due paesi anche sulle questioni di questo mondo.
Tuttavia, la presenza di imprese private in questo delicato settore strategico fa sorgere inquietanti dubbi e perplessità. Gli Stati, finora unici interpreti di questo film, stanno pensando a cercare gli strumenti per controllare l’operato di imprese che, già oggi, dispongono di capacità spaziali paritetiche (o superiori) a quelle delle principali potenze del mondo? Saranno capaci di mantenere un equilibrio di forza con tali imprese, sia sul piano tecnologico che geopolitico? O saranno succubi delle loro competenze e possibilità economiche, e quindi sostanzialmente impossibilitati a elaborare una politica spaziale (ma anche planetaria) indipendente?
In questo sembrerebbero più “scoperti” gli statunitensi perché, oltre a permettere alle imprese di rivendicare la proprietà delle eventuali risorse estratte nello spazio (Space Act del 2015), i titolari di tali imprese vengono oggi accolti a corte con tutti gli onori (e relativi incarichi governativi delicati). I cinesi, invece, attuano un altro tipo di approccio, in linea con la storia di quel paese, vale a dire uno stretto controllo politico sulle attività strategiche considerando, almeno ufficialmente, che le risorse dovrebbero essere estratte in un quadro di cooperazione internazionale, sotto stretto controllo statale, in accordo con il Trattato dello Spazio del 1967.
Nel frattempo, se l’Europa non metterà da parte le sue divisioni interne, potrebbe doversi accontentare di uno strapuntino all’ombra della bandiera a stelle e strisce. Prova ne sia che, nonostante l’enorme contributo tecnologico europeo per alcuni moduli essenziali della navicella spaziale “Orion” e della nuova stazione LOP-G, per partecipare alla missione “Artemide II” è stato invitato un astronauta canadese e il primo non-americano a scendere sul suolo lunare dovrebbe essere un giapponese.
Il futuro spazio multipolare ha delle implicazioni strategiche non indifferenti e l’apparizione di una compagine così variegata di attori comporta inevitabilmente una riconfigurazione dei rapporti di forza nel dominio specifico. Man mano che la Luna diventerà sempre più accessibile, la competizione non si limiterà più agli aspetti economici o scientifici, ma diventerà (e in parte già lo è) fatalmente una questione geopolitica, che non riguarderà più due blocchi contrapposti, ma necessiterà di un efficace e autorevole coordinamento multilaterale.
E qui si inserisce una nuova delicata domanda: la Luna diventerà un laboratorio di cooperazione internazionale o il teatro dell’ennesima frammentazione geopolitica? Iniziative come gli accordi “Artemide” tendono a creare un quadro normativo condiviso per lo sfruttamento delle risorse lunari, ma restano tuttavia accordi limitati a un gruppo, per quanto grande, di paesi. La sfida sarà, quindi, riuscire a contemperare in un ambito multilaterale le complesse necessità dei diversi attori, al fine di evitare una situazione di anarchia. La scelta è tra il multilateralismo, che consentirebbe di mitigare la competizione e di accentuare la cooperazione, creando le basi per una pacifica esplorazione interplanetaria, o l’individualismo, che potrebbe far diventare la Luna il grande campo di battaglia di un nuovo ordine spaziale frammentato.
Un allunaggio della Cina prima del ritorno degli USA segnerebbe una epocale vittoria d’immagine per quel paese, e avrebbe un notevole impatto negativo sugli elettori statunitensi, che l’Amministrazione Trump non potrebbe ignorare.
Per gli altri attori internazionali, pensare che l’attuale competizione spaziale possa essere derubricata a semplice scontro dottrinale non sarebbe altro che un grossolano errore strategico (leggi articolo “Spazio: geopolitica, economia e difesa”).
La politica europea e di alcuni suoi membri dovrebbe, quindi, prendere esempio da coloro che hanno ancora voglia di sognare e di guardare lontano, affrontando realisticamente anche l’attuale evoluzione geopolitica, che vede sostanzialmente un progressivo disimpegno statunitense dalle logiche multilaterali, e spogliarsi dei consueti calcoli di bassa macelleria, forse buoni per mantenere momentaneamente il potere, ma completamente inutili in una prospettiva di più ampio e lungo respiro, affinché anche il Vecchio Continente possa essere in grado di realizzare il passaggio da mera fantascienza a un qualcosa che potrebbe concretizzarsi prima di quanto possiamo immaginare.
i Si tratta di una piattaforma automatica che potrà essere visitata/abitata per brevi periodi anche da astronauti.
iii Cina, Russia, Venezuela, Sudafrica, Azerbaijan, Pakistan, Bielorussia, Egitto, Tailandia, Nicaragua, Serbia, Kazakhstan e Senegal.
iv In questo modo l’India sarà il quarto paese a dotarsi di una propria stazione spaziale, dopo Stati Uniti, Russia e Cina.
Foto: OpenAI / NASA / Xinhua / JAXA