I nuovi programmi di esplorazione dello spazio ormai interessano in maniera sempre più pervasiva l'ambiente cislunare. Ciò fa sì che sempre più obiettivi delle attività spaziali si trovino compresi in una fascia che arriva alla superficie del nostro satellite, compresa the dark side of the Moon. Riferimenti musicali a parte, accanto a ogni progetto scientifico o obiettivo economico, viaggiano sempre motivazioni geopolitiche e, conseguentemente, militari. Sotto quest’ultimo punto di vista l’ampliamento dell’area di interesse obbliga a considerare anche lo spazio oltre l’orbita bassa terrestrei (Low Earth Orbit – LEO) e fino alla superficie lunare come possibile teatro operativo.
Con l’esistenza di un crescente numero di paesi che hanno capacità spaziali rilevanti e quasi un centinaio che impiegano satelliti in LEO, lo spazio è quindi diventato al contempo infrastruttura critica e frontiera di sicurezza strategica. Insomma, aumentando la presenza “umana” in quelle zone, aumentano anche le possibilità che si sviluppino minacce alla sicurezza di questo o quel paese sulla superficie terrestre o ai suoi interessi nello spazio. È per questo motivo che, nell’esaminare le questioni securitarie del dominio spaziale, si parla ormai di sistema Terra-Luna (Earth-Moon System – EMSys).
Nel contesto di un’accresciuta concorrenza geopolitica anche nello spazio, le capacità che permetteranno di rilevare, tracciare e identificare eventuali minacce si dimostreranno vitali per raggiungere quel vantaggio strategico che permetta di rendere credibile la deterrenza. L’insieme di queste capacità sono comunemente note nel settore civile come Space Situational Awareness (SSA) e, nel settore militare come Space Domain Awareness (SDA), fino a ieri sostanzialmente contenute entro i limiti dell’orbita bassa.
Il teatro operativo complessivo non è conseguentemente più limitato ai tradizionali confini della LEO, ma le operazioni spaziali potrebbero essere condotte in tutto il nuovo ambiente che, visti gli interessi geopolitici in gioco, nei prossimi decenni diventerà con ogni probabilità sempre più congestionato, conteso e competitivo, anche sotto il profilo militare. Ciò richiederà lo sviluppo di nuove e peculiari capacità, quali la gestione del traffico spaziale, il positivo controllo dello spazio lunare e dell’EMSys, la sorveglianza dei punti di Lagrange, l’osservazione meteorologica spaziale e la Difesa planetaria (leggi articolo “Geopolitica ed esplorazione spaziale”).
Per effetto dell’accelerazione della competizione strategica in corso e a causa dell’approccio muscolare messo in evidenza da taluni paesi, inoltre, esiste una concreta possibilità che le rivalità vengano estese allo spazio e che i paesi in grado di farlo passino dalla militarizzazione dello spazio alla sua arsenalizzazioneii.
La militarizzazione dello spazio in LEO e GEO
I campi tradizionali di interesse strategico in cui sono state sviluppate le capacità spaziali militari sono l’osservazione della Terra (principalmente per la raccolta di informazioni, il sostegno alle operazioni e lo sviluppo di dati geografici di riferimento), l’ascolto, l’allarme, le telecomunicazioni, la sorveglianza e il posizionamento (leggi articolo “Spazio: geopolitica, economia e difesa”). Per far ciò sono necessari mezzi (ottici, infrarossi, iperspettrali, radar, ecc…) con altissime prestazioni, predisposti appositamente per uso militare.
Le immagini raccolte dallo spazio sono la principale fonte di dati per la raccolta di informazioni utili a una valutazione della situazione in atto. Queste sono utilissime, a integrazione delle informazioni raccolte con altri mezzi disponibili in teatro, come i droni, per sostenere le operazioni in ambiente non permissivo sia nella preparazione della missione sia nel targeting sia nella valutazione dei danni.
Si aggiungono poi le capacità di ascolto delle emissioni elettromagnetiche risultanti da attività sulla superficie terrestre. La capacità di raccogliere questi dati provenienti da sorgenti in una determinata area costituisce, infatti, un innegabile valore aggiunto per il monitoraggio dell'attività di un potenziale avversario e fornisce, nella maggior parte dei casi, l'allerta e la prima informazione su un evento. Oggi esistono sistemi spaziali in grado di individuare con precisione le emissioni elettromagnetiche, tracciarle e analizzarle efficacemente, fornendo dati essenziali per la pianificazione e lo svolgimento delle operazioni.
Ci sono, inoltre, gli ormai conosciutissimi sistemi PNT (Positioning-Navigation-Timing) come lo statunitense GPS, l’europeo GALILEO, il russo GLONASS, il cinese BEIDOU e il sistema regionale indiano IRNSS. Sistemi la cui importanza strategica e tattica non è più in discussione.
Parallelamente allo sviluppo di tutte queste capacità, infine, sono state sviluppate capacità di ingannare o interferire con i sistemi satellitari avversari, come lo spoofing e il jamming, in modo da degradarne le prestazioni.
Sfruttando tutte queste conoscenze, sono stati sviluppati sistemi di allerta anti missile balistico e di sorveglianza spaziale di alta precisione. È così possibile rilevare immediatamente il luogo di un eventuale lancio, identificare il sistema e le sue caratteristiche, diramare l’allarme e preparare le eventuali difese e risposte.
Il dominio spaziale in LEO, tuttavia, non è né isolato né inaccessibile, entro certi parametri, all’armamento cross-domain basato a terra, mare e aria. Già oggi USA, Russia, Cina e India hanno, per esempio, sviluppato armi cinetiche antisatellite (ASAT) per colpire da terra i satelliti avversari in orbita. Non solo, le esperienze acquisite nel secolo scorso con gli agganci delle navette nello spazio hanno permesso la realizzazione di satelliti anti-satellite in grado di effettuare manovre di intercettazione orbitale dell’obiettivo (Rendez-vous and Proximity Operations - RPO) e disturbarlo, sottrarre informazioni o disabilitarlo.
Famoso l’evento che, nel settembre 2018, ha visto il satellite russo “Luch” tentare di intercettare le comunicazioni del satellite militare italo-francese “Athena-Fidus”. Un evento non isolato. Nel giugno 2024, il satellite russo “Luch 2” ha infatti effettuato manovre sospette accanto ad alcuni satelliti Intelsat per le comunicazioni (che forniscono servizi al Pentagono), in quella che è sembrata essere una missione di raccolta di informazioni. Prima di lui, era stato il “turno” del satellite “Luch Olymp-K-1”, che ha portato avanti simili attività nei confronti di altri satelliti europei, statunitensi e africani. Non si hanno (ovviamente) evidenze, ma appare ipotizzabile un comportamento simile anche da parte dei satelliti occidentali, in una sorta di gioco a rubamazzo spaziale, che si svolge a distanze sempre maggiori dalla superficie del nostro pianeta.
I satelliti geostazionari, che lavorano a circa 36.000 km di quota (Geostationary Earth Orbit – GEO) e le cui funzioni sono strategiche per i militari, fino a ieri erano inarrivabili ma oggi anche loro sono diventati vulnerabili. Per cercare di impedire tali operazioni sono, pertanto, stati realizzati satelliti “guardiani” (Geosynchronous Space Situational Awareness), che controllano nello spazio le manovre avversarie.
L’arsenalizzazione oltre la LEO
Misure e contromisure spaziali a distanza “ravvicinata” fanno sì che si cerchi sia di portare le proprie capacità a un livello superiore a quelle dei potenziali avversari che di spostare sempre più lontano dalla Terra il proprio baricentro tattico, in modo da renderlo meno accessibile agli altri, e creare una credibile deterrenza riguardo le questioni “terrestri”.
Si tratta di un obiettivo coerente con i programmi spaziali dei principali attori mondiali, come la realizzazione di stazioni spaziali in orbita lunare e di basi lunari permanenti, ipotizzate per i prossimi 15-20 anni. Ciò permetterebbe di massimizzare a proprio vantaggio i ritorni economici e strategici della competizione spaziale ma, va detto, porta in dote la possibilità di una militarizzazione spinta della Luna e, quasi certamente, la sua arsenalizzazione, ufficialmente per proteggere le risorse, gli equipaggi e le infrastrutture sul posto.
Un potenziamento militare che potrebbe vedere l’impiego di armi di nuova concezione a microonde o laser (ma non solo) che, lasciati i film di fantascienza, potrebbero diventare diffusa realtà con la leggiadra sigla di DEW (rugiada), acronimo di Direct Energy Weapon (leggi articolo “Le armi ad energia diretta, DEW: introduzione e classificazione”). Il vantaggio di tali armi risiederebbe nella mancata produzione di detriti spaziali. L’armamento cinetico ASAT, al contrario, impattando il bersaglio lo distrugge e provoca detriti che vagano nell’orbita, con la possibilità di causare danni anche a infrastrutture “amiche”.
Anche in ottica di possibile impiego militare deve essere letto il programma relativo alla Lunar Orbital Platform Getaway (LOP-G), di cui ho già parlato in un articolo precedente. Una stazione spaziale di dimensioni ridotte (nei progetti non armata) che dovrebbe assicurare un presidio permanente in orbita lunare, potenzialmente al riparo da attacchi provenienti dalla superficie terrestre. In prospettiva futura, tali stazioni spaziali (armate) potrebbero trovare ulteriori collocazioni nello spazio, magari in corrispondenza dei punti di Lagrange dello EMSys, in modo da formare una efficace rete di deterrenza.
L’eventuale arsenalizzazione dello spazio porterebbe conseguenze anche sulle tattiche e strategie di combattimento e di deterrenza sulla Terra. La possibilità di colpire obiettivi sulla superficie terrestre con armamento (cinetico e non) posizionato oltre l’atmosfera ridurrà, per esempio, la capacità di deterrenza dei missili balistici con testata nucleare collocati nei silos. La necessità di spostarli in posti più “protetti”, ovvero nascosti agli occhi spaziali, potrebbe accentuare la tendenza già in atto di una loro sistemazione in ambiente subacqueo, accrescendo ulteriormente l’importanza dei mezzi subacquei e l’indispensabilità delle marine militari di potenziare le proprie capacità di lotta nel particolare dominio.
Per quanto attiene al diritto internazionale, va detto che l’attuale struttura giuridica è piuttosto permissiva in quanto non pone limiti alla militarizzazione dello spazio, di fatto iniziata subito dopo il lancio del primo Sputnik. Va invece sottolineato come le Nazioni Unite, con il Trattato sullo spazio extra-atmosferico (10 ottobre 1967), vietino di sistemare armi di distruzione di massa e armi nucleari nell'orbita terrestre, sulla Luna o su altri corpi celesti o, comunque, posizionarle nello spazio extra-atmosferico. Paradossalmente il Trattato non cita altro armamento – cinetico e non - che, di conseguenza, è del tutto lecito, lasciando sostanzialmente aperta la porta all’arsenalizzazione dello spazio.
Tuttavia, per una efficace deterrenza non serve solamente possedere adeguate tecnologie satellitari, ma è indispensabile disporre di mezzi autonomi per posizionare gli strumenti (e gli eventuali armamenti) che la tecnologia ci offre, siano essi in orbita o sul suolo lunare.
Non solo capacità autonoma di lancio e lanciatori operativi, quindi, ma anche capacità di rapida sostituzione dei sistemi fuori uso, come anche la disponibilità di strumenti riutilizzabili come i droni spaziali, per esempio. In questo settore, gli USA hanno sviluppato il veicolo X-37B, uno spazioplano sperimentale non pilotato della Boeing in grado, una volta portato in orbita, di operare, volare e atterrare autonomamente su una determinata pista. Sostanzialmente un piccolo Shuttle automatizzato dotato di bracci robotici e con una stiva per il carico utile. La fantasia personale lascia immaginare i possibili impieghi, militari e non, e il ruolo strategico che potrebbe ricoprire uno strumento di questo tipo, una volta pienamente operativo.
Si comprende, quindi, il motivo per cui la capacità chiave che un paese sovrano, o una coalizione, deve possedere è quella dell'accesso autonomo allo spazio.
In tale ambito, va sottolineato che solo sette nazioni nel mondo hanno un lanciatore operativo (Stati Uniti, Russia, Cina, Unione Europea, Giappone, India e Israele).
La permanenza sulla Luna
Nonostante siano passati decenni dal primo astronauta che ha calpestato il suolo lunare, solo altri undici hanno avuto, in successione relativamente rapida, il privilegio di seguire Neil Alden Armstrong nella sua esperienza, camminare su un mondo che non è il nostro. Dal dicembre 1972, quando Eugene Andrew Cernan ha lasciato la Luna con l’Apollo 17, più nulla, solo robot e sonde si sono avventurati oltre la LEO, dove si trova la Stazione Spaziale Internazionale (SSI), il presidio umano finora più lontano dalla superficie terrestre. I due pionieri ci hanno ormai lasciato, ma le conoscenze che ci hanno trasmesso, unite alle competenze di coloro che hanno lavorato sulla SSI, sono alla base dell’attuale sforzo per tornare sulla Luna …. e restarci.
Oltre agli impianti e ai meccanismi per il viaggio spaziale e il trasporto nello spazio extratmosferico di carichi significativi, quindi, si stanno sviluppando anche dispositivi e strutture in grado di sostenere la permanenza sulla superficie lunare di astronauti, anche per intere settimane.
Non vanno, però sottaciute le enormi difficoltà, non solo tecnologiche, di un progetto epocale come questo. A partire dal corpo umano, che subisce un certo numero di danni dopo una prolungata permanenza a gravità molto inferiori a quella terrestre (sulla Luna è circa un sesto), per finire con il problema dell’assorbimento di radiazioni (da 100 a 200 volte in più che sulla Terra) nel caso di permanenze protratte nel tempo, la cui quantità potrebbe superare i limiti considerati ragionevoli. Nello spazio non ci sono, infatti, gli efficientissimi scudi che abbiamo sulla Terra (atmosfera e campo magnetico). È, quindi, indispensabile prevedere idonee schermature in modo che, almeno all’interno delle strutture fisse, l’assorbimento di radiazioni sia drasticamente ridotto. Si stanno studiando schermature di plastica o metallo, come pure la creazione di campi magnetici che siano in grado di proteggere dalle particelle dannose. Al momento, tuttavia, le barriere fisiche hanno ancora masse tali da non poter essere impiegate e i campi magnetici necessari sarebbero talmente intensi da creare più problemi di quanti ne risolverebbero, a partire dalle interferenze sulla strumentazione scientifica per finire all’elevato consumo energetico.
Poi c’è l’estrazione in loco dell’ossigeno e di altri elementi fondamentali sia per la sopravvivenza umana che per la propulsione dei razzi. L’acqua, infatti, si può scindere in idrogeno e ossigeno, ma farlo sarà redditizio solo se la Luna ospiterà una base spaziale.
Sempre in ottica di infrastrutture permanenti sul suolo (o in orbita) lunare, prosegue anche la sperimentazione sulla coltivazione di piante sfruttando il metodo idroponico, fornendo dall’esterno acqua e le necessarie sostanze nutrienti ed evitando che le radici delle piante vadano a cercarle nel terreno dove peraltro, sulla Luna, non otterrebbero nulla. Alcuni dei citati dispositivi sono frutto di progetti completamente italiani, segno di una significativa vivacità intellettuale e di una visione del futuro che va oltre l’immediato.
Se tutti manterranno i propri programmi spaziali, nei prossimi 20-25 anni sulla superficie della Luna potrebbe inoltre verificarsi un affollamento epocale, in particolare nella zona del Polo Sud, dove sembra ci sia anche acqua allo stato solido, nelle aree in ombra. Per ridurre il rischio di incidenti, e le immaginabili difficoltà nella compilazione del modulo CID, si stanno infine valutando alcune proposte per stabilire sul nostro satellite naturale una rete wi-fi che metta in comunicazione il prevedibile alto numero di mezzi e rover.
Conclusioni
Il genere umano si è sempre avventurato oltre i confini del mondo che era conosciuto per il desiderio di sapere, ma soprattutto per allargare i propri limiti territoriali, per potenziare i propri commerci e per raggiungere una superiorità politica e militare. Possiamo quindi dire che lo spazio oggi è il campo dove la competizione umana trova la sua naturale prosecuzione sotto il profilo commerciale, tecnologico, politico e militare (leggi articolo “Spazio, la nuova frontiera”).
Una gara geopolitica che è partita il 4 ottobre 1957, quando l'Unione Sovietica mise lo Sputnik in orbita attorno alla Terra. Un evento che cambiò tutto. Da allora, molte nazioni e entità commerciali hanno trovato la loro strada nello spazio, dalle sonde che esplorano il sistema solare e interstellare ai satelliti che fotografano il nostro pianeta o che ci permettono di conoscere, con un semplice click, la nostra posizione sul globo.
Accanto alla ricerca e all’esplorazione, obiettivi sicuramente di elevatissimo livello morale e culturale, nel medio termine lo spazio sarà però anche (o sempre più?) una questione di geopolitica e di supremazia e, quindi, potrebbe rappresentare la nuova dimensione dei futuri conflitti.
Oggi il mondo è, infatti, caratterizzato da una grande instabilità e incertezza nei rapporti tra gli Stati e da una rapidissima evoluzione degli equilibri geostrategici. In tale ambito l’EMSys é, allo stesso tempo, un simbolo, una posta in gioco e un vettore delle molte rivalità planetarie e ogni crisi sulla Terra sarà prevedibilmente l'occasione per utilizzare le capacità nello spazio per ridurre l’operatività dell'avversario (interferenze con le telecomunicazioni, cecità dei satelliti di osservazione, inganno dei sistemi PNT) e, quindi, la sua capacità di analizzare la situazione e agire in autonomia.
Anche se nell’attuale mondo globalizzato l’esercizio del potere marittimo rimane un imperativo geopolitico, indispensabile per assicurare – per quanto possibile – la prosperità dei popoli pacificiiii, è abbastanza prevedibile che, come negli altri tradizionali domini terrestre, aereo e cyber, lo spazio extra-atmosferico diventerà, a medio termine, il nuovo campo di lotta armata per la salvaguardia degli interessi strategici delle potenze spaziali.
Le nazioni che ne avranno le competenze, quindi, non potranno non sviluppare autonomi e ambiziosi programmi per dotarsi di mezzi di conoscenza e di analisi della situazione spaziale e per la realizzazione di sistemi sempre più avanzati per proteggere i propri assets nello spazio extratmosferico e per inibire eventuali aggressioni da parte dei potenziali avversari.
In tale ambito, il nuovo corso statunitense, che sembra promuovere le decisioni unilaterali e i rapporti di forza invece che il dialogo costruttivo, specialmente con i tradizionali partner europei, non manca di provocare inquietudine e preoccupazione. Molti si stanno ora chiedendo se, con il programma Artemide, gli USA non intendano porsi come roccaforte inviolabile, in modo da essere più liberi di “tubare” con Russia e Cina, invece che continuare a esercitare le funzioni di bilanciamento geopolitico. In sostanza, ci si domanda se i presidi di Washington nello spazio serviranno solo i suoi interessi e se verranno sfruttati per imporre la sua egemonia al resto del mondo, magari in amichevole coabitazione con Mosca e Pechino. In tal caso l’apprensione sarebbe più che giustificata, in quanto saremmo di fronte all’anomala situazione in cui un solo partner (gli USA), per accrescere la propria sicurezza, metterebbe in pericolo quella di tutti gli altri partner, Europa compresa, lasciandoli alla mercé delle altre due potenze. Da invitati a tavola, diventeremmo il menù. Una prospettiva poco eccitante.
L’Europa deve, pertanto, prendere seriamente atto del nuovo approccio e, accanto ai tentativi per riallacciare il dialogo tra le due sponde dell’Atlantico (ma per dialogare bisogna essere in due ad averne voglia), deve prepararsi a sviluppare propri sistemi e procedure che possano consentirle di essere autorevolmente presente nel dominio spaziale, in modo da gestire le diverse esigenze in modo autonomo. Nel settore specifico, Roma, Berlino e Parigi dovrebbero quindi spingere l’UE a dar vita a iniziative industriali europee e a stabilire il principio della preferenza europea in tutti i contratti pubblici.
È diventato indispensabile accelerare e riprendersi una via europea allo spazio, cavandosi di dosso l’ormai anacronistica inclinazione a pensare alle politiche di difesa e deterrenza come a motivi di degrado etico e morale e non come a potenziali volani d’innovazione e di sviluppo. Una formazione culturale che ha causato l’attuale ritardo strategico e ha portato per troppo tempo a delegare ad altri la nostra sicurezza. L’Italia, con le sue competenze avanzate, può dare valore aggiunto all’Europa nel settore spaziale. Non c’è nulla di più dannoso del (non) agire come se stessimo attraversando tempi normali, mentre i nostri avversari hanno prepotentemente deciso che non lo sono più. Ciò è tanto più vero nel momento in cui gli USA stanno attuando un certo disimpegno strategico da un’area (il Vecchio Continente) in cui l’aggressività russa ha portato a (finora) tre anni di devastante guerra contro l’Ucraina.
Nessuno ha la sfera di cristallo per predire ciò che succederà. Tuttavia, come sempre accade nelle umane vicende, tra uno scenario piuttosto utopico in cui regnano la pace e la cooperazione, e un contesto gravemente pessimista di conflitto aperto la realtà, almeno a medio termine, vedrà probabilmente la capacità di uso di una credibile forza dallo spazio più come un elemento di dissuasione che come strumento di scontro. Lo spazio, quindi, tornerà prevedibilmente a essere un campo aggiuntivo di confronto delle ambizioni terrestri, come lo fu durante la Guerra Fredda, con azioni “dimostrative” a bassa o bassissima intensità che diano la possibilità di far comprendere che una eventuale aggressione non avrebbe esito positivo, riportando gli avversari al tavolo politico, diplomatico e negoziale. Lo spazio militare deve, quindi, evolversi di conseguenza. Da una funzione primaria di supporto alle attività di sicurezza e difesa sulla Terra, deve ora acquisire capacità operative. Agli occhi e alle orecchie, nello spazio si aggiungeranno quindi anche le braccia, meglio se robuste. La storia del XX secolo ci insegna che il timore di Mutual Assured Destruction (MAD) ha permesso di evitare una guerra globale, dalle immaginabili e apocalittiche conseguenze.
La differenza, comunque, la farà sempre l’essere umano. Resta da vedere se il rischio di MADiv (termine evocativo), che sia “limitata” al teatro vicino o esteso all’intero sistema solare, riuscirà in futuro a frenare gli ardori degli attori più bellicosi.
i Tra i 160 e i 2.000 km di quota.
ii Il termine “militarizzazione” riguarda l'utilizzo degli assetti spaziali per scopi militari, sostanzialmente partita all'inizio della conquista dello spazio. Russi e statunitensi, infatti, hanno rapidamente utilizzato i satelliti anche come collegamento per le comunicazioni militari a lunga distanza, e poi come mezzo di sorveglianza e intelligence. Per “arsenalizzazione” si intende, invece, il dispiegamento di armi nello spazio.
iii Si pensi, per esempio, che nel solo Mar Cinese Meridionale transitano merci per un valore di oltre 4.000 miliardi di USD, molte delle quali transitano attraverso il Mar Mediterraneo, dirette verso l’Europa.
iv In inglese significa “matto”.
Immagini: OpenAI