Le molte lingue e le comuni speranze delle radio in Kosovo

21/05/14

Lo sforzo di fare un’informazione corretta c’è tutto, la passione per il giornalismo anche. A mancare sono i mezzi economici e, a volte, la possibilità di andare oltre le storie di odio interetnico che si trascinano dalla guerra del ’99.

Due radio storiche, in Kosovo, cercano come possono di avere un ruolo sociale, di trasmettere notizie ma anche programmi di intrattenimento.

L’unica differenza tra le due radio, è che una è serba e viene scelta come canale di aggiornamento dalla minoranza serba, l’altra viene seguita dalla maggioranza albanese.

La radio serba si trova nel villaggio dal quale prende il nome, Gorazdevac. Le poche case che compongono l’enclave affacciano su “Piazza Italia”, un ampio spazio che, come suggerisce lo stesso nome, è stato realizzato e pavimentato dalle forze italiane della missione Kfor della Nato. Accanto alle abitazioni, si trovano un ambulatorio, le poste, un ufficio comunale.

“Siamo attivi dal 2000, ma senza l’aiuto della Kfor non saremmo ancora in vita. Sono gli italiani che ci hanno fornito i mezzi tecnici per realizzare trasmissioni di buona qualità”, spiega Radovan, collaboratore e vicedirettore della radio, che come giornalista realizza anche brevi servizi televisivi che poi vende alle emittenti locali.

Suo è l’ultimo servizio su quanto accaduto al monastero serbo-ortodosso di Decani, quando uno degli ingressi è stato imbrattato con scritte inneggianti all’Uck, l’esercito di liberazione del Kosovo che si è reso colpevole delle “epurazioni” ai danni dei serbi.

“Sono atti ignobili, che ci riportano indietro nel tempo e ci rubano il futuro”, dice il giornalista.

Sul posto non è arrivato immediatamente, perché non ha un’auto a disposizione, ed è dovuto andare via subito poiché temeva qualche atto violento nei suoi confronti da parte dei visitatori albanesi del luogo sacro.

Nonostante queste difficoltà, radio Gorazdevac riesce ad andare avanti ed è ascoltatissima e amata dalla comunità serba.

“Del resto, in Kosovo i serbi ascoltano solo notizie provenienti da canali serbi e dunque a fare informazione radio per la nostra comunità ci siamo solo noi e RTK a Pristina”, racconta ancora il vicedirettore.

A trasmettere per la comunità albanese, pensa invece radio Peja. Anche in tal caso, le uniche attrezzature moderne in un edificio dall’aspetto spartano e internamente spoglio, le ha fornite il contingente italiano della Kfor.

Il direttore storico, Xhavit Husai, racconta una storia lunga decine di anni. La lingua utilizzata per le trasmissioni, che fino al ’99 era il serbo, dopo aver lasciato il posto all’albanese, nel 2000 (col ritorno dei serbi fuggiti a seguito della guerra) ha ricominciato a “parlare” serbo.

Ora Radio Peja è una radio multietnica. “Trasmettiamo in albanese, turco, bosniaco”, dice il direttore. Difficoltà comuni, dunque, che non scoraggiano però i responsabili delle due radio dalla volontà di occuparsi della prossima tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento. Questa avrà luogo il prossimo otto giugno. Anche il parere sulle elezioni è comune.

“La speranza che si apra una nuova stagione per il Kosovo c’è. Ma abbiamo avuto troppe delusioni in passato ed ora, dunque, siamo cauti nel fare pronostici. Speriamo solo di gettarci alle spalle un passato di violenze e sopraffazioni reciproche”, commentano i due giornalisti dimostrando che, almeno in questo caso, la differente etnia non altera i possibili giudizi.

Daniela Lombardi

(nella foto - dell'autore - il vicedirettore di radio Gorazdevac)