"Tu non puoi reggere la verità": il problema del riarmo europeo (spiegato bene)

(di Nicola Cristadoro)
14/05/25

Tu non puoi reggere la verità. … Viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile. Chi lo fa questo lavoro, tu? … Io ho responsabilità più grandi di quello che voi possiate mai intuire. … Voi non volete la verità perché è nei vostri desideri più profondi che in società non si nominano, voi mi volete su quel muro, io vi servo in cima a quel muro. Noi usiamo parole come onore, codice, fedeltà. Usiamo queste parole come spina dorsale di una vita spesa per difendere qualcosa. Per voi non sono altro che una barzelletta. Io non ho né il tempo né la voglia di venire qui a spiegare me stesso a chi passa la sua vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco e poi contesta il modo in cui gliela fornisco. Preferirei che mi dicesse la ringrazio e se ne andasse per la sua strada. Altrimenti gli suggerirei di prendere un fucile e di mettersi di sentinella…” - colonnello Nathan R. Jessep nel film Codice d'Onore.

Basterebbe il monologo del colonnello Jessep, interpretato dal grande Jack Nicholson, per chiudere il discorso sulla logica sostantiva al riarmo in un sistema democratico, quale quello Occidentale. Corre l’obbligo, tuttavia, di approfondire un minimo un tema tanto delicato e controverso su cui vengono dette tante parole, spesso senza cognizione di causa.

Riarmarsi non significa necessariamente fare una guerra, ma dimostrare di essere preparati e, soprattutto, pronti a farla, qualora qualche spirito animato da incontenibili manie di grandezza (e ce ne sono diversi ) pensi di poter aggredire impunemente un Paese pacificato.

Se Putin attaccasse la Polonia, chi muoverebbe un dito per intervenire? E i Paesi Baltici? Molti non sanno neppure cosa siano e dove siano, quindi poco importa. In un mio articolo su Limes1, trattavo l’argomento della corsa alle armi da parte tedesca, ben prima che Ursula Von der Leyen (anch’essa tedesca) ne auspicasse un’altra, più vasta, su scala europea. In un altro articolo2 su Difesa Online, descrivevo come la succitata Polonia, già in tempi non sospetti, ha sentito la necessità di provvedere al potenziamento delle proprie forze armate sulla base di una decisione presa in totale autonomia, per i timori suscitati dalla politica aggressiva e militarista della Russia di Putin.

Spostiamo, adesso, la nostra attenzione su cosa faccia costantemente la Russia da quando ha implementato la propria politica bellicista su larga scala, con la conseguente adozione dell’economia di guerra. Prendiamo un esempio banale, ma significativo, riferito all’elemento con maggiore capacità evocativa nell’immaginario collettivo quando si parla di guerra: il carro armato.

Pare che nel 2025 il lavoro presso la Omsktransmash3 si sia intensificato rispetto agli ultimi anni. Il T-80, prodotto in quell’azienda, è forse il miglior carro armato russo quando modernizzato nella versione BVM. Posto progressivamente in riserva nel tempo, ha conosciuto nuova vita nella seconda metà degli anni 2010, venendo incluso nel programma di riarmo delle forze armate russe dislocate nel lontano oriente e nell'Artico grazie alla caratteristica propulsione a turbina che lo rende particolarmente affidabile in zone dal clima rigido. Va detto che la sua revisione, tuttavia, richiede molto tempo e i motori diesel sono già stati modificati più volte nelle loro componenti, come nel caso delle turbine a gas, per creare una nuova generazione di turbine più potenti e affidabili.

In generale, le turbine a gas non sembrano essere state un investimento utile per l'industria della difesa. I carri armati Abrams, ad esempio, hanno costi di manutenzione superiori del 40% a causa di questa tecnologia ed emettono così tanto calore che la fanteria non può operare dietro il veicolo. Questa digressione ha lo scopo di far capire come la sbandierata riconversione dell’industria dalla produzione civile a quella militare non è un processo né immediato, né semplice da attuare, soprattutto in un’ottica di razionalizzazione delle spese da sostenere. Questa, dunque, è l’attitudine consolidata con l’economia di guerra nella produzione dell’industria pesante russa.

Si potrebbe obiettare che la Germania, fautrice del riarmo, voglia fare lo stesso, per dare ossigeno ad un’economia asfittica, puntando tutto sulla spesa militare. Può darsi, ma al netto delle supposizioni macroeconomiche da tavola calda, bisogna chiedersi cosa vogliamo fare noi Europei e, in particolare, noi Italiani.

Il presidente Roosevelt si mobilitò per affrontare la dilagante progressione di Hitler in Europa, non tanto per ragioni umanitarie, quanto per arginare il potenziale dilagare del bolscevismo, nel caso di una vittoria dell’Unione Sovietica contro le forze italo-tedesche. Oggi il rischio del bolscevismo è scongiurato, ma è subentrato quello dello zarismo putiniano, anche se le potenzialità delle attuali forze armate di Mosca, in un paragone adeguatamente contestualizzato sotto il profilo storico, non reggono minimamente il confronto con quelle della Wehrmacht di allora.

I tre anni in cui Putin - innegabilmente grazie all’intervento americano - è rimasto impantanato nelle pianure ucraine per conquistare una porzione di terreno ben lontana dalle sue aspettative e, comunque, ad un costo esorbitante in termini di vite umane ed economico, sono serviti a dimostrare che attualmente, per usare una similitudine, nessuno deve poter presumere di entrare nel salotto di una casa non invitato, sedersi mettendo i piedi sul tavolo e pensare che il padrone di casa non gli assesti un ceffone tale da fargli girare la testa e indurlo a chiedersi “…Ma che diavolo succede?...”. Naturalmente non senza averlo prima invitato ad alzarsi e ad andarsene, secondo le regole di un’educazione democratica non aprioristicamente aggressiva.

Si chiama “difesa della Patria” concetto che non appartiene ad alcuni cittadini, giornalisti, intellettuali e cabarettisti che dimenticano di poter esprimere il proprio dissenso e le proprie opinioni proprio grazie a quella libertà fornita dai vari colonnelli Jessep che operano al servizio delle democrazie. La “Patria” non è il “paese” (con la “p” minuscola) sbeffeggiato con battute di quart’ordine da chi dovrebbe sperimentare cosa significhi essere una donna in Iran o nell’Afghanistan dei Talebani o, ancora, fare l’attivista per i diritti umani sotto le cariche degli Omon a S. Pietroburgo (tanto per non citare sempre Mosca).

Il cosiddetto “riarmo” deve essere interpretato nella prospettiva di un’efficace e credibile capacità difensiva e non si tratta della mera produzione di carri armati da opporre ai T-80 russi, ma di qualcosa di più complesso, costituito da capacità tecnologiche avanzate per la difesa nel dominio cibernetico e cognitivo, oltre che in quello fisico e, soprattutto, da un elevato livello di addestramento. L’inutilità delle parate in alta uniforme senza un’adeguata capacità di combattere l’hanno ampiamente dimostrata i soldati nordcoreani mandati allo sbaraglio da un altro dei numerosi illuminati leader che si agitano sul Pianeta. Non si tratta di voler fare la guerra, ma si tratta certamente di essere capaci di farla ed avere la necessaria determinazione a condurla, in caso di malaugurata necessità.

A meno di essere degli psicopatici, tutti vogliamo la pace, ma l’ingenuità dei “pacifisti” tout-court è pensare che ripudiare la guerra magicamente implichi il non avere nemici. O se non lo pensano, è prendere gli schiaffi dai nemici, illudendosi che prima o poi smettano.

Ai tempi di Roosevelt fu l'intervento degli Stati Uniti a risultare decisivo. In seguito, è emerso il ruolo che molti definiscono come 'l'ombrello della Nato'. Oggi, nelle condizioni attuali, per contenere sul piano tattico quella che appare come una nuova aspirante Wehrmacht spinta da un aspirante Hitler al Cremlino, l'Europa ha ancora bisogno della potenza di fuoco e delle ingenti risorse degli Stati Uniti.

Putin è un “temporeggiatore” e mi perdoni il console Quinto Fabio Massimo per questo paragone. È evidente che non ha alcuna intenzione di addivenire alla pax trumpiana perché i suoi obiettivi sono ben altri rispetto all’accontentarsi di qualche chilometro quadrato di territorio dopo gli sforzi sostenuti. E la coalizione dei “Volenterosi” è riuscita a farlo irritare, a dispetto del suo consueto aplomb, al punto di fargli definire “idioti” gli europei che gli si contrappongono, usurpando i toni normalmente propri di Dmitrij “Mutt” Medvedev nel ruolo pubblico che recita accanto a Dmitrij “Jeff” Peskov4. In tale quadro, il problema è che gli Stati Uniti vogliono chiudere l’“ombrello” sopra citato e lasciarci possibilmente un K-Way, proprio mentre le nubi della tempesta si addensano all’orizzonte.

Trump, a differenza di Roosevelt, ha altre priorità. Trump non è un politico “puro”, ma piuttosto un affarista votato alla politica e chiamato a governare, come è accaduto in passato nel nostro Paese - fatte le debite proporzioni - nella nostra storia recente. Trump guarda a quali e quante risorse accaparrarsi e, per fare ciò, quali siano le alleanze convenienti e quali siano le zavorre da scrollarsi di dosso. Con queste premesse, l’Europa è una zavorra. Non ha nulla di concreto da offrire, tutt’altro. Anzi, no, mi correggo: l’Ucraina ha le terre-rare. Il presidente neo-eletto, dunque, vuole un’Europa militarmente più autonoma per ridurre il proprio impegno e concentrarsi sulla Cina, la grande e pesante zavorra sul piano economico.

Un vero Esercito europeo, tuttavia, non è facile da realizzare. Le divisioni politiche, le correnti sovraniste più o meno diffuse e la farraginosa burocrazia dell’Unione Europea rallenterebbero ogni decisione operativa. Non ha senso una sintesi delle forze militari senza premettere un'unificazione della rappresentanza politica europea. Delle forze armate prive di una guida politica unificata sarebbero inefficaci, perché mancherebbero una catena di comando e controllo (C2) chiara e una strategia condivisa.

Attualmente, l’Unione europea decide per consenso tra Stati con interessi e visioni strategiche diverse. Questo rende impossibile prendere decisioni rapide in caso di crisi. A differenza di Stati Uniti, Cina o Russia, che hanno un comando centralizzato, l’Europa rischierebbe di avere una forza militare paralizzata dalla burocrazia e dai veti nazionali.

È dunque, necessaria un’unificazione politica della difesa, con una governance chiara e decisioni a maggioranza relativa, altrimenti si rischia di avere come unico risultato un coordinamento inefficace tra le singole forze armate nazionali. I principali ostacoli a un esecutivo della difesa dell’Unione Europea, quindi, si possono riassumere principalmente nella resistenza opposta dagli Stati membri, in quanto i governi nazionali non vogliono cedere la sovranità militare e nella dipendenza dalla Nato reclamata da molti Paesi dell’Est, come la Polonia e i Paesi Baltici, che preferiscono la protezione americana a quella dell’Europa, considerata non ancora affidabile in materia di sicurezza.

Pensiamo, poi, ai leader di Ungheria, Slovacchia e potenzialmente Romania, che sfruttando la delusione dei propri popoli per il crollo delle prospettive di arricchimento e benessere attraverso il “sogno europeo”, offerte invece nel secolo scorso dal “sogno americano”, operano scelte che rendono perplessi sull’opportunità che ancora facciano parte della Nato e, nondimeno, dell’Unione Europea.

In conclusione, con gli attuali limiti europei, spendere 800 miliardi di euro nel “riarmo” nei prossimi quattro/cinque anni porterebbe a un potenziamento frammentato e inefficace. Ogni Stato investirebbe secondo le proprie priorità, senza una visione strategica comune, moltiplicando sistemi d’arma spesso incompatibili tra loro e aumentando la dipendenza da fornitori esterni.

L’industria della Difesa crescerebbe, ma senza un coordinamento centrale, si rischia una proliferazione di progetti nazionali in concorrenza anziché un’ottimizzazione delle risorse. La mancanza di un comando unificato e di una politica estera coerente impedisce di trasformare questa spesa in una vera capacità di deterrenza.

Le decisioni strategiche continueranno a essere bloccate dai veti nazionali, rendendo l’Europa una potenza militare solo sulla carta. Senza una riforma della governance, questi miliardi serviranno più a rafforzare singoli eserciti che a rendere l’Europa un attore geopolitico autonomo e credibile.

Finché l’Unione Europea resta politicamente frammentata e militarmente dipendente dagli Stati Uniti con l’attuale gestione, si corrono dei rischi. Se poi gli avversari globali fiutano debolezza e divisione, il rischio di qualche brutta sorpresa è ancora più immanente.

1 N. Cristadoro, Il Riarmo della Bundeswehr. Splendori e Miserie di un’illustre Forza Armata, Limes n. 5-2022.

2 N. Cristadoro, G. Bonci, Ritorno a Danzica. Le guerre del passato nell’agenda dei conflitti futuri, Difesa Online, 10/09/2024. https://www.difesaonline.it/mondo-militare/ritorno-danzica-le-guerre-del....

3 Grande azienda industriale per le produzioni meccaniche, principalmente macchinari pesanti, materiale ferroviario e armamenti, situata a Omsk, in Russia.

4 Nelle tecniche di interrogatorio Mutt e Jeff identificano il “poliziotto cattivo” e il “poliziotto buono”.