Passata la Pandemia Israele è pronto a colpire l’Iran

(di Tiziano Ciocchetti)
13/05/20

Secondo quanto affermato, lo scorso novembre, dall’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale dello Stato di Israele, Yaakov Amidror, le IDF (Israel Defense Forces) sarebbero pronte ad agire contro l’Iran, visto che sia gli americani, sia la NATO preferiscono chiudere gli occhi. L’obiettivo sarebbe quello di impedire, al regime teocratico di Teheran, di continuare a sviluppare il suo programma nucleare.

Potrebbe essere costoso, potrebbe essere problematico, e non sarà facile, ha dichiarato Amidror ma quando si tratta di garantire la sicurezza di Israele, ha affermato di non vedere alcuna alternativa.

Ha poi aggiunto che esiste una forte connessione tra un Iran nucleare e l'anello di fuoco attorno a Israele. Con un ombrello nucleare, l'Iran sarebbe libero di costruire un anello di fuoco intorno a Israele, a quel punto, sarebbe troppo tardi perché Gerusalemme fermasse il programma nucleare o il comportamento destabilizzante dell'Iran nella regione.

La diffusione del COVID-19 ha cambiato, almeno per il momento, le carte in tavola. Tuttavia, da come si evince dalle parole di un personaggio autorevole dell’establishment israeliana, la Repubblica Islamica, con il suo programma di arricchimento dell’uranio, viene considerata una seria minaccia, da debellare nel più breve tempo possibile.

Una minaccia non certo sottovalutata dall’altro storico nemico sunnita, l'Arabia Saudita, che ha denunciato come l'Iran abbia utilizzato le sue entrate economiche, derivate dall'accordo sul nucleare, per scatenare disordini nella regione.

Rivolgendosi alla sessione dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) a Vienna, il principe Abdullah Bin Khalid (foto), Ambasciatore dell'Arabia Saudita in Austria, ha affermato che l'arricchimento dell'Iran nel reattore Fordow è una forma di ricatto e una minaccia per la Comunità Internazionale.

Per rispondere agli attacchi, per il momento solo diplomatici, Teheran, per mezzo del suo Ambasciatore presso l’ONU, Majid Takht Rav, ha dichiarato, nell’ultimo summit al Palazzo di vetro, che la Comunità Internazionale deve costringere gli Stati Uniti e il regime sionista di Israele a rispettare i propri impegni nel creare una zona franca di armi di distruzione di massa in Medio Oriente.

Come è noto (ma nessun governo lo ha mai ammesso ufficialmente) lo Stato d’Israele possiede un arsenale di testate nucleari, custodite nell’impianto di Dimona, fin dagli anni ’60 dello scorso secolo.

Nel corso della Guerra dello Yom Kippur, nell’ottobre del 1973, l’allora Primo Ministro israeliano Golda Meir ordinò di schierare un certo numero di missili Jericho-1 e di lanciarli sulla Siria e sull’Egitto qualora la situazione tattica fosse diventata irreparabilmente compromessa per le forze israeliane. Proprio per evitare una escalation nucleare nella regione che Washington, il 13 ottobre 1973, lanciò repentinamente l’Operazione Nickel Glass, un massiccio ponte aereo di armamenti, munizioni e rifornimenti che, in un mese, rifornì Israele di 22.395 tonnellate di equipaggiamenti (quantitativi analoghi li ricevettero anche gli arabi da parte dell’URSS).

Le ingenti perdite subite dalle IDF nel corso del conflitto incentivarono, ulteriormente, l’accelerazione del programma nucleare israeliano che, nel giro di pochi anni, riuscì a mettere a punto un processo più rapido di arricchimento dell’uranio (grazie alla stretta collaborazione con il Sud Africa) e a produrre delle testate miniaturizzate da utilizzare nelle granate per gli obici da 175 e 203 mm.

Resta tuttavia il fatto che sul dossier iraniano si scontrano molteplici interessi, oltre a quelli israeliani ci sarebbero anche quelli di un’Europa incapace di avere un peso politico, nonostante i grandi interessi economici con Teheran, e di assumere un ruolo di mediazione.

Foto: IDF / Twitter