Si parla molto dei rapporti diretti tra USA e Russia per raggiungere una stabilizzazione in Ucraina. Si tratta di un’iniziativa unilaterale, apparentemente non concordata con gli alleati e tantomeno con l’UE, che dall’invasione russa ha sempre sostenuto con decisione la difesa dell’Ucraina. Ancora più eclatante è la dichiarazione secondo cui sarebbero presto iniziati negoziati diretti per porre fine alla guerra in un vertice che si terrà a Riyadh, in Arabia Saudita.
Di fatto, Donald Trump ha sconvolto gli schemi tradizionali della diplomazia, andando in netta controtendenza rispetto alle politiche precedenti (da lui peraltro sempre avversate), cercando un riavvicinamento a Putin che, nei fatti, spezza l’isolamento diplomatico occidentale, coinvolgendo anche i Paesi europei.
Sin dai primi giorni del suo insediamento, Trump ha mostrato un atteggiamento di rottura con il passato e ha cercato di porre rimedio ai danni sociali ed economici delle amministrazioni precedenti. A settembre 2024, il debito nazionale degli Stati Uniti ammontava a 35,4 trilioni di dollari, il livello più alto mai registrato, senza segni di riduzione a causa di una spesa eccessiva cronica. Per avere un’idea della situazione, nel 2024 il governo precedente ha speso circa 1,83 trilioni di dollari in più rispetto alle entrate. Per memoria, dopo la prima amministrazione Trump, i prezzi erano aumentati del 18%, un dato senza precedenti negli Stati Uniti. Trump, prima ancora che un politico, è un uomo d’affari e punta al profitto per il suo Paese, che non può continuare a sostenere un debito così elevato.
L’andamento dell’inflazione americana, intesa come tasso d’inflazione rispetto all’anno precedente, è stato relativamente stabile durante il periodo Trump, con l’eccezione della recessione e della pandemia nella parte finale del suo mandato. Con l’arrivo di Biden, l’inflazione è salita fino al 9,1%, per poi ridiscendere gradualmente.
Quello che colpisce l’opinione pubblica europea è la nuova posizione degli Stati Uniti nei confronti della NATO. Tuttavia, chi ha vissuto i primi dieci anni di questo millennio nei corridoi del Quartier Generale di Bruxelles sa che non si tratta di una novità, ma piuttosto della ricerca di una maggiore incisività nelle decisioni sulla difesa collettiva. Già dagli ultimi vertici del secolo scorso, gli Stati Uniti avevano sollevato la questione della riduzione del peso finanziario a loro carico, chiedendo una redistribuzione più equa delle spese militari tra tutti i Paesi membri. Il rientro della Francia nell’Alleanza avrebbe dovuto agevolare questo processo, ma ha invece causato numerosi momenti di tensione. La ridistribuzione delle spese avrebbe garantito agli Stati Uniti due vantaggi: una riduzione dei costi della difesa, ormai insostenibili, e la vendita preferenziale di armi ad alta tecnologia agli alleati. Tuttavia, la situazione è peggiorata, generando innumerevoli discussioni all’interno dell’Alleanza su come affrontare il problema, soprattutto in seguito alla crisi economica globale aggravata dalla pandemia.
Nel frattempo, la Cina ha consolidato la sua influenza su gran parte dell’Africa, raggiungendo uno dopo l’altro i suoi obiettivi strategici. Altri Paesi emergenti, pur essendo riuniti in una coalizione fragile come i BRICS, hanno ribadito che le loro priorità restano focalizzate sugli interessi nazionali. Le politiche democratiche statunitensi non hanno prodotto benefici significativi per la classe media, contribuendo all’indebolimento della forza militare americana. Questa situazione ha in parte favorito la vittoria, seppur di misura, di Trump.
Trump sta agendo con determinazione per mantenere le promesse fatte in campagna elettorale, adottando scelte dure e impopolari sia in campo economico che militare. Il suo approccio, basato sulla strategia del bastone e della carota, spiazza molti osservatori, ma è perfettamente in linea con una parte dell’America che vuole dare priorità ai propri bisogni e è stanca di vedere risorse destinate a campagne sociali dai risultati incerti.
Sul fronte ucraino, il messaggio dell’amministrazione Trump è chiaro: opposizione all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, accettazione tacita della permanenza dei territori occupati sotto il controllo russo e nessun intervento diretto delle truppe americane in difesa di Kiev.
Questa posizione, sebbene in contrasto con il diritto internazionale, pone un interrogativo fondamentale: quale sarebbe la reazione degli Stati Uniti in caso di invasione di Taiwan da parte della Cina? Una simile decisione metterebbe in discussione il rapporto di fiducia all’interno dell’Occidente, che ha sempre visto negli Stati Uniti un baluardo contro i totalitarismi. In un simile contesto, diventa ancora più evidente l’assenza di una figura diplomatica del calibro di Kissinger, che sosteneva che "la debolezza è sempre stata una tentazione a usare la forza".
La sicurezza dell’Europa nel prossimo futuro dipende dalla solidità dell’Alleanza transatlantica e dall’impegno reciproco nel rispetto dell’articolo 5 del Trattato NATO. Un’eventuale riduzione dell’impegno americano potrebbe causare una paralisi politica e militare, simile a quella che ha ostacolato lo sviluppo della difesa comune europea.
Per comprendere l’importanza di questa cooperazione, bisogna guardare oltre la lotta per le risorse e riflettere sulla necessità di un’Europa più competitiva a livello globale. L’incapacità di sviluppare un modello europeo efficiente ha favorito l’ascesa di potenze con visioni culturali e strategiche molto diverse. Questo fenomeno ha radici nella globalizzazione e nella crisi del pensiero occidentale, caratterizzato da un individualismo crescente e da una perdita di coesione sociale. La globalizzazione ha imposto un modello consumistico in cui l’apparenza ha prevalso sull’essere, portando a un impoverimento culturale e a una crescente dipendenza da lobby transnazionali.
In questo scenario, Trump ha sorpreso tutti con la sua apertura verso Putin, una scelta che preoccupa i Paesi ex sovietici membri della NATO. Allo stesso tempo, ha dimostrato uno scarso interesse per l’Europa, vista come un’alleanza disunita. Tuttavia, la sua posizione non è una novità: già alla fine del secolo scorso gli Stati Uniti avevano richiamato gli alleati a una maggiore assunzione di responsabilità. L’Europa, dunque, deve ora affrontare la sfida di rafforzare la propria sicurezza senza poter contare incondizionatamente sugli USA.
L’Italia, in questo contesto, potrebbe giocare un ruolo chiave nel favorire un nuovo equilibrio internazionale. Ma per riuscirci, l’Europa deve abbandonare l’atteggiamento di dipendenza e ritrovare la propria coesione politica e strategica. Solo così potrà affrontare con pragmatismo le sfide del futuro e preservare il proprio ruolo nello scenario globale.
Foto: Guido Alberto Rossi / web / MoD China
(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)