Muli o mezzi meccanici? Le tecnologie più avanzate faticano a sostituire questi storici alleati dell'uomo

(di Gianluca Celentano)
26/02/18

Come non riconoscere che i muli - i più forti, sobri e dotati di uno straordinario senso dell'equilibrio tra gli equini - siano stati nel secolo passato un insostituibile sistema di mobilità anche per le Forze Armate, soprattutto se pensiamo a quei percorsi di alta montagna, stretti e faticosi, che i nostri soldati dovevano valicare trasportando vettovaglie e pesanti pezzi d’artiglieria.

Già a partire dal 1950 la tecnologia ha proposto due sistemi motorizzati che avrebbero dovuto sostituire il lavoro dei muli e alleggerire di conseguenza la fatica fisica dei nostri militari.

Probabilmente dispiace osservare un animale obbligato a sostenere degli sforzi quando lo si preferirebbe vedere libero di pascolare, tuttavia per i muli e più in generale per gli equini, il lavoro è sempre stato una prerogativa legata alle loro caratteristiche fisiche, chiaramente molto apprezzate dall’uomo, che a sua volta ne ha favorito l’evoluzione e la riproduzione.

Nell'Esercito c'è sempre stato grande rispetto e feeling tra gli uomini e gli equini in generale, un po' come avviene in altri settori per esempio tra gli agenti di polizia e i cani antidroga o antiesplosivo. Del resto nelle pagine gloriose che il corpo degli alpini ha scritto sul fronte di guerra quasi sempre il mulo è stato descritto come un valido e insostituibile collaboratore che affiancava fedelmente i nostri soldati nelle marce in montagna verso le trincee.

Erano inquadrati come effettivi nei battaglioni o nelle batterie, proprio come soldati, e i loro conduttori si affezionavano agli animali a loro affidati come accadeva con i cavalli nel caso dell’artiglieria. L'affetto era sempre corrisposto dagli animali che ricambiavano con la devozione le cure ricevute.

L’idea inziale fu una moto cingolata

A metà del secolo scorso il colonnello Ferruccio Garbari si occupava delle tecnologie motorizzate del nostro Esercito ed era in contatto con i più grandi ingegneri automobilistici italiani, tra i quali l’ingegner Busso, che fu il precursore della mitica Alfa Matta, e probabilmente anche con i progettisti della Moto Guzzi. Intanto, all’interno delle officine O.A.R.E. (Officina Automobilistica Riparazioni Esercito) oggi denominate CERIMANT, il colonnello Garbari, promosso poco dopo generale di brigata, affrontò il tema proponendo il progetto di un veicolo in grado di sostituire gradualmente i muli in forza all'Esercito.

Probabilmente non c’era una vera e propria necessità di operare una sostituzione di un “sistema collaudato” ma probabilmente l’evoluzione tecnologica e le possibilità economiche di quel tempo, consentirono di perseverare su questa idea.

Questo progetto prese il nome di “mulo meccanico”, forse “ad onor del merito equino”.

La Moto Guzzi diede il via alla produzione del prototipo 3x3, ma di cosa si trattava in sostanza?

Per dare subito un’idea della tipologia di veicolo che stava nascendo come prototipo all’interno degli stabilimenti militari, potrei fare riferimento a qualche film della seconda guerra mondiale, oppure ai più simpatici fumetti Sturmtruppen, dove spesso a bordo di tricicli motorizzati e cingolati, venivano raffigurati i soldati tedeschi della Wehrmacht.  

Si trattava di un motoveicolo adibito al trasporto di cinque militari (compreso il conduttore) con due cingoli posteriori rimovibili e con una grande novità: la ruota singola anteriore aveva la trazione inseribile e per svoltare non c’era un manubrio ma un normale volante. Un 3X3 in sostanza che, per la sua complessità tecnica e di accoppiamenti conici e giunti meccanici cardanici, necessitava di una attenta manutenzione, ma offriva al tempo stesso un sistema hill older anti arretramento - meccanico ovviamente - e un cambio a cinque marce più le ridotte inseribili, e la leva era il tipo a cloche come per le autovetture.

Anche la sua larghezza (carreggiata) posteriore poteva essere ridotta per affrontare i passaggi più stretti.

Fu assemblato usando ricambi e materiale inutilizzato in giacenza e i suoi cingoli provenivano da maglie segmentate di piccoli carri armati tipo l’M13/4.

La meccanica invece era il fiore all’occhiello della produzione motociclistica italiana, infatti equipaggiava il V7, ovvero un bicilindrico da 703 cc a 90° adottato per la mitica Moto Guzzi Falcone in dotazione all’Esercito italiano.

Una buona idea, ma non ebbe futuro nonostante qualche prototipo avesse partecipato a una parata del 2 Giugno di quel periodo; i muli quindi continuavano a rimanere il miglior infaticabile ausilio per gli alpini, almeno sino alla fine degli anni ’80.

Forse è stata la facilità con cui si poteva ribaltare con le sue sole tre ruote, o il suo peso di cinque quintali oppure la necessità di una costante manutenzione a sentenziare l’abbandono di questo veicolo dalla scena militare.

Con qualche modifica il progetto riprese vita tra gli anni sessanta e settanta con due veicoli civili che Moto Guzzi battezzò Ercole ed Ercolino (immagine); tricicli motorizzati molto apprezzati, nei cantieri ma anche dai commercianti in alternativa ai furgoni. Quando ero bambino, un falegname ne parcheggiava uno di fronte a casa mia.

Sempre nel secolo scorso arriva un altro veicolo... il controverso motocarrello MTC 80!

Dopo l'insoddisfacente esordio del triciclo cingolato, l’idea del generale Garbari di agevolare la mobilità delle truppe alpine non venne affatto abbandonata. Una commissione militare affidò l’incarico alla società Fresia S.p.A che, per scopi civili e da cantiere, produceva già una specie di quad, un carrello con quattro ruote e un pianale motorizzato.

La società Fresia è ancor oggi una solida realtà nazionale con sede in Liguria ed esattamente a Savona dove, nel lontano 1923, l’imprenditore Giovanbattista Fresia decise di specializzarsi nella produzione in serie di piccoli trattori, alcuni dei quali con trazione idrostatica.

La produzione odierna di Fresia è particolarmente legata alla costruzione e allestimenti di veicoli adibiti alla pubblica utilità come ad esempio alcune versioni per i Vigili del fuoco e la Protezione civile ma anche imponenti spazzaneve per la pulizia autostradale. Il suo nome è ormai sinonimo internazionale di qualità ed efficienza e la sua mission aziendale garantisce parecchio lavoro stabile agli operai.

Il veicolo commissionato dalla Difesa aveva un assetto insolito, e diciamolo subito, appariva poco affidabile; del resto immagino che alcuni lettori già sappiano delllo scarso successo pratico dell’MTC80 riscontrato poco dopo il suo ingresso in caserma.

Non offriva infatti alcun ausilio particolare sulle mulattiere più insidiose, ma riusciva a non sbilanciarsi, anche se molto caricato, solo sui falsipiani maggiori o sulle ripide praterie disseminate di pietre.

Ma occupiamoci ora della tecnologia di questo quattroruote. L’MTC era composto da un pianale con l’aggiunta di un volante e la sua guida poteva avvenire sia da terra camminando, piuttosto che da seduti sportivamente sul bordo del pianale stesso. La sua larghezza era poco di più di un metro, una misura superiore a quella che occuperebbe un mulo su un sentiero di montagna; la lunghezza invece, si attestava intorno ai due metri.

Quasi un piccolo parallelepipedo, ma con grossi limiti. Mosso da un motore Briggs&Stratton inizialmente monocilindrico con avviamento a strappo e successivamente a due cilindri da 700 cc erogava una potenza di soli 18 cavalli, che ne favorivano, come si può immaginare la coppia, mantenendo la velocità al di sotto dei 20 km/h. Il motore era posto in mezzo ai due assi in uno spazio di un metro e venti, questo soprattutto per ottimizzare gli ingombri e gli spazi e garantire al tempo stesso una certa stabilità del baricentro.

Il quad come esempio

Non a caso prima ho voluto prendere ad esempio il quad, il quadriciclo corto a trazione integrale che, nonostante abbia una suddivisione delle masse diversa, può avere comportamenti simili in certi usi estremi dell’off road, come per esempio, l’impuntamento anteriore.

I 430 kg di carico utile dell’MTC80 non gli conferivano una grande stabilità e non era affatto difficile che il motocarrello si ribaltasse lateralmente; forse era quasi più stabile frontalmente quando superava pendenze di oltre 50 gradi. I due assi erano sterzanti e i suoi pneumatici, seppur con un piccolo diametro, erano molto larghi e simili nel disegno del battistrada a quelli di un comune fuoristrada; un punto forte quindi la presa a terra dei pneumatici, almeno per compensare le forze esercitate dai carichi che potevano mettere in crisi il baricentro nelle manovre.

Il motore era in realtà una pompa idraulica che metteva in pressione dell’olio, come avviene per le macchine da cantiere e la pressione generata raggiungeva delle piccole turbine poste nei suoi due differenziali, uno anteriore e l’altro posteriore.

La massa di mezzo quintale sommata alla portata elevava a quasi una tonnellata il peso dell’MTC 80, che a questo punto poteva uguagliare quello di un’utilitaria; un aspetto, poco operativo probabilmente, che deluse le aspettative dei nostri militari.

Fresia F18

Questa è stata la denominazione più moderna dell’MTC 80 e forse molti non sanno che anche i Marines americani lo utilizzarono ma con risultati diversi e probabilmente migliori, considerati i terreni del Medio Oriente più adatti alle sue caratteristiche.

Bisogna anche dire che dopo qualche centinaio di acquisti molti MTC e F18, vennero parcheggiati nelle caserme e non più utilizzati, ma solo avviati e fatti muovere ogni tanto per mantenerli efficienti e operativi.

C’è allo studio un robot al quale l'Esercito USA sembrerebbe interessato e che potrebbe rappresentare l’antesignano, nei prossimi decenni, di un rivoluzionario concetto di Esercito.

Forse parlare di robot è un po' fantascientifico oggi, ma anche internet lo era 40 anni fa, così come i droni, e sebbene il mio augurio sia con convinzione che l’uomo non abbia più bisogno di farsi del male, guardiamo insieme di cosa si tratta, ammirati oltreché dalla tecnica, dalla sua similitudine con i muli, usciti gloriosi dalla scena delle Forze Armate nel ’90.

LS3

Il robot è una creazione della Boston Dynamics e il suo nome tecnico è LS3 (Legend Squad Support System). Si tratta in questo caso di una sorta di cavallo in grado di percorrere con 180kg di carico distanze di oltre 30 chilometri e la sua alimentazione è sia solare sia con batterie al litio.

Ne sono stati testati esemplari con un motore a due tempi utilizzato esclusivamente come generatore per le batterie.

Sofisticati sistemi mantengono la macchina in equilibrio anche sulle lastre di ghiaccio, mentre la sua linea dinamica e il peso ridotto le permettono quanto meno le stesse performance dei simpatici e intelligenti anche se testardi muli.

(immagini: U.S. DoD / web / Boston Dynamics)