Oltre a rappresentare un esempio sconcertante di bullismo istituzionale, le dichiarazioni del vicepresidente J.D. Vance alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza di metà febbraio e l’ormai celebre agguato a favore di telecamere, ordito con Trump ai danni del presidente Volodymyr Zelenskyy nell’Oval Office del 28 febbraio, testimoniano un passaggio geopolitico fondamentale: gli Stati Uniti non sono più disposti ad assicurare la sicurezza e la difesa dei loro partner europei.
È da questo presupposto, sintomatico di una rivoluzione copernicana della geopolitica e dei rapporti transatlantici, che il vecchio continente1 dovrebbe partire per riaprire il dibattito sulla necessità di dotarsi di un “esercito europeo”. Di questa prospettiva si parlò già nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, quando il Piano Pleven – dal nome dell’ex primo ministro francese, René Pleven principale sostenitore assieme ad Alcide De Gasperi della costituzione di una Comunità Europea di Difesa (CED) – fu affossato in seguito alla mancata ratifica francese del Trattato nel 1954. L’anno seguente, l’ingresso della Germania nella NATO finì col risolvere la questione del riarmo tedesco che aveva stimolato la proposta della CED.
Sebbene attualmente l’Unione Europea non disponga di un proprio esercito, negli ultimi trent’anni sono stati compiuti diversi passi verso una maggiore cooperazione in materia di difesa comune. La prima forza multinazionale a livello di corpo d’armata è stata rappresentata dagli Eurocorps2, istituiti nel 1992 a partire da una iniziativa franco-tedesca. A questi, fecero seguito l’introduzione della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) nel 1993 e, dieci anni dopo, della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC). Di recente, altre iniziative rilevanti includono la creazione del Fondo Europeo per la Difesa per il periodo 2021-2027 con un budget di 7,9 miliardi, nonché i documenti declaratori comuni riconducibili alla Bussola Strategica3 del 2022 e alla Strategia Industriale della Difesa del 2024. Ciononostante, il vincolo dell’unanimità per gran parte delle decisioni in materia di politica estera e di difesa, le difficoltà in termini di coordinamento centrale e il budget ridotto hanno costituito, da subito, ostacoli concreti all’efficacia di tali politiche e delle relative iniziative a supporto.
Oggi, le condizioni sono cambiate. Nella storia delle relazioni con i propri partner militari NATO, il recente disimpegno statunitense stride con la ripetuta opposizione di Washington alla creazione di una difesa europea pienamente integrata in nome del Non-Duplication principle4, specie in presenza di strutture già integrate (e guidate dagli USA) a livello NATO. Posta quindi la necessità, dettata dagli sviluppi internazionali contingenti, di riaprire il dibattito sulla creazione di una forza difensiva comunitaria, i principali temi che l’Unione Europea dovrebbe affrontare attraverso un’analisi strutturale (evitando improvvisate riunioni parigine, ndr) possono essere divisi in due grandi blocchi: aspetti tecnico-operativi (micro) e aspetti di sostenibilità politica ed economica (macro).
Afferiscono ai primi le considerazioni tecniche relative ai fattori abilitanti e alle capacità di logistica, formazione e sostenibilità operativa, le valutazioni in merito all’interoperabilità delle forze armate e le considerazioni in merito alla leadership di comando.
Afferiscono ai secondi le valutazioni di natura macroeconomica relativa al budget a disposizione e le conseguenti priorità di bilancio, le considerazioni di politica interna in termini di accettazione da parte dell’opinione pubblica nei singoli Stati membri e gli aspetti di compatibilità con gli attuali Trattati dell’UE.
In merito ai fattori abilitanti (enabler), intendendo per questi elementi trasversali che permettono lo sfruttamento del massimo potenziale delle capacità operative, alcuni dei principali fattori su cui l’UE dovrà concentrarsi sono l’aggiornamento tecnologico, la mobilità integrata, l’interoperabilità e l’addestramento congiunto. Secondo un recente sondaggio di Defense News5, frutto delle risposte di 17 analisti di settore, in assenza di supporto statunitense, le forze europee necessiterebbero di potenziare sensibilmente tali enabler per recuperare il gap con la Russia (termine di paragone non casuale). Gli esiti del sondaggio evidenziano come, a seconda della capacità operativa (capability) in esame, il gap non sussista (es. per le Satellite Communications6), possa essere ridotto in 3-5 anni (es. per il Battlefield Command and Control7) o in 5-10 anni (es. per il Long-range strike8).
Per quanto riguarda l’interoperabilità delle forze armate, questa richiederebbe obbligatoriamente una maggiore armonizzazione degli equipaggiamenti e dei sistemi d’arma ab origine (tramite la definizione di una politica industriale comune9), la formazione e l’addestramento congiunti e la presenza di un processo di procurement unico e condiviso.
Invece, il tema della leadership di comando risulta essere l’aspetto tecnico-operativo più delicato e con maggiori implicazioni politiche. Pur esistendo già una forma embrionale di comando unificato europeo per le operazioni di peacekeeping (sotto il cappello della PSDC) e considerando non del tutto peregrina la possibilità di creare un quartier generale dell’UE, esistono ostacoli di natura extra-operativa. Come osservato su questa stessa rivista online da altri autori10, un comando unificato delle forze armate degli Stati membri dell’UE che non contempli un ruolo sovraordinato per la Francia, stante la capacità di deterrenza nucleare dell’Eliseo, è semplicemente impensabile. Tuttavia, una totale sottomissione a Parigi degli assetti militari e strategici degli altri Stati europei appare difficile da realizzare, alla luce della rivalità interna.
In merito alle considerazioni di natura macroeconomica, l’istituzione di un esercito europeo imporrebbe un aumento dell’attuale voce di spesa dei singoli Paesi europei dedicata alla difesa. Dei 32 membri della NATO, solo 23 hanno raggiunto la soglia del 2% del PIL in spese dedicate alla difesa nel 2024, per quanto questa soglia sia stata definita “obsoleta” dall’attuale segretario generale dell’Alleanza atlantica, l’olandese Mark Rutte. Secondo recenti proiezioni, all’attuale spesa dei Paesi europei andrebbero aggiunti complessivamente fra i 250 e i 280 miliardi di dollari all’anno, anche se tali cifre potrebbero ridursi con il rafforzarsi delle economie di scala e di processi di acquisto centralizzati e su grandi numeri11. Inoltre, alcuni autori12hanno teorizzato anche l’istituzione di un fondo europeo alimentato dall’emissione di nuovo debito comunitario per l’aumento delle spese per la difesa, ma tale ipotesi dovrà fare i conti con le spinte dal nord Europa per una nuova ondata di austerity fiscale.
Tuttavia, il capitolo più delicato rimane la politica interna, considerando la radicata tendenza dei popoli europei a considerare la spesa per la difesa uno spreco di risorse. Sarà quindi fondamentale l’opera di sensibilizzazione dei cittadini da parte dei governi nazionali, al fine di far comprendere l’esigenza inderogabile di un sostanziale impegno economico in tal senso, anche a detrimento di altri capitoli di spesa pubblica.
Infine, un aspetto tanto burocratico quanto politico sarà l’individuazione della base legale all’interno dei Trattati europei (TUE e TFUE) e dell’acquis communautaire che legittimino la creazione di un esercito europeo. Può avere tale funzione l’art. 42,7 del TUE, che ricalca e supera l’art. 5 della NATO, stabilendo l’obbligo legale di difesa collettiva in caso di aggressione ad un Paese membro. Eventualmente, dovrà essere avviato un (rapido) processo di aggiornamento dei Trattati che tenga conto di possibili formule a geometria variabile – come le condizioni di “opt-out” o le modalità di “cooperazione rafforzata” (art. 20 del TUE) – che permettano agli Stati membri più restii (si pensi alla neutrale Austria o alla non allineata Ungheria) di svincolarsi da eventuali impegni senza rallentare i piani di integrazione altrui.
In sintesi, il percorso di avvicinamento per la realizzazione di un esercito europeo è irto di sfide per l’UE e comporterà una rivisitazione delle sue stesse finalità: un’unione sovranazionale non solo politica ed economica ma anche difensiva.
Se l’UE riuscirà ad andare oltre agli ostacoli operativi e politici, dell’attuale scenario internazionale, finora carico di incertezze e tensioni, questa potrebbe diventare l’occasione per costruire una nuova Unione Europea più forte e unita o come direbbero gli anglofoni “a blessing in disguise”.
1 Questo articolo esamina le sfide e criticità relative alla creazione di un esercito europeo con un focus esclusivo sugli Stati membri dell’UE. Per semplicità e coerenza analitica, il Regno Unito è escluso da questa trattazione al fine di porre maggiore attenzione alle dinamiche di difesa nel contesto dell'integrazione europea piuttosto che in una prospettiva transatlantica più ampia.
2 Dal 2002 sono classificati come forze di reazione rapida (Rapid deployable forces). Attualmente contano poco più di un migliaio di effettivi.
3 Di particolare interesse, per chi scrive, risultano essere le tempistiche relative alla pubblicazione di questo documento del Consiglio dell’Unione Europea, pubblicato a marzo del 2022, a meno di un mese dall’aggressione russa all’Ucraina, a testimonianza della chiara direzione del nesso di casualità (se ancora fosse necessario ribadirlo) fra aggressione russa e riarmo europeo.
4 Riconducibile al "modello 3 x 3 x 3" dei primi anni 2000, si tratta di una sintesi teorica di tre differenti proposizioni declaratorie sintetizzabili tramite il trittico delle 3D, 3I e 3C. Laddove le "3D”, teorizzate da Madeleine Albright, Segretario di Stato per l'amministrazione Clinton, consistevano nel: No Duplication, No Discrimination e No Decoupling. Le "3I" furono invece declamate dal Segretario della NATO, Lord Robertson, per ribadire l'importanza di alcuni concetti relativi ai rapporti fra alleati: Improvement, Inclusion e Indivisibility. Mentre la dottrina delle "3C"msi può ricondurre alle teorie post-11 settembre: Confidence, Capabilities e Committements (vd. anche Principi fondamentali del ricercato equilibrio tra ESDP e NATO, Centro italiano Studi per la pace, 2000).
5 Mind the gaps: Europe’s to-do list for defense without the US, Ruitenberg R., Defense News, 2025.
6 Per Satellite Communications si intendono i collegamenti di comunicazione satellitare sicuri ed affidabili a servizio delle forze armate su vaste aree.
7 Per Battlefield Command and Control (C2) si intende l’insieme dei sistemi e dei processi utilizzati dai comandi militari per dirigere e coordinare le forze durante le operazioni.
8 Per Long-range strike si intende la capacità di attacco a lungo raggio.
9 In merito si vedano anche le raccomandazioni contenute nel Rapporto sul futuro della competitività europea di Mario Draghi (2024), capitolo 4 “Aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze”, paragrafo “Aggregazione della domanda e integrazione degli asset industriali della difesa”.
10 Esercito europeo: una strada che porta all’Eliseo?, Ciocchetti T., Difesa Online, 2022.
11 Optimale Beschaffungsverträge bei asymmetrischer Informationsverteilung: Zur Erklärung des nationalsozialistischen Rüstungswunders während des Zweiten Weltkriegs, Zeitschrift für Wirtschafts- und Sozialwissenschaften 118: 275–294, Streb, J. and S. Streb, 1998.
12 Guns and Growth: The Economic Consequences of Defense Buildups, Kiel Report 2, Kiel Institute, Ilzetzki, E., 2025; Identifying government spending shocks: It’s all in the timing, The Quarterly Journal of Economics 126(1): 1–50 Ramey, V.A, 2011