Le donne in armi: Caterina Sforza, un gigante (dimenticato) della storia d’Italia

(di David Rossi)
16/05/19

Ingiustamente poco valorizzata dalla pubblicistica, Caterina è forse la figura femminile più importante della Storia italiana (e europea) nella seconda metà del Quattrocento1, ma come nonna di Cosimo I, il capostipite della linea granducale dei Medici, ha portato la sua influenza indiretta sul nostro Paese fino all’inizio del XVIII secolo. Detta “Tigre di Forlì” dai contemporanei e chiamata “Leonessa della Romagna” in un noto film degli anni Cinquanta, dove è impersonata dalla grande Virna Lisi, nasce come figlia illegittima2 dalla liaison dell’allora scapolo duca di Milano Galeazzo Maria Sforza con la nobile Lucrezia Landriani, che gli da quattro figli, tra cui appunto Caterina, nata nel 1463.

Cerchiamo di capire in che contesto familiare e storico Caterina viene alla luce e cresce.

Il bisavolo è quel Muzio Attendolo, che a tredici anni nel 1382 lascia la famiglia nobile e decaduta3 per il mestiere delle armi, al seguito prima di Boldrino da Panicale e, subito dopo, nella compagnia di ventura di Alberico da Barbiano, il quale lo soprannomina "Lo Sforza", e diventa uno dei condottieri più noti del suo tempo, ponendosi al servizio di diverse città d'Italia, dal nord al centro, fino a quella di Napoli. Il figlio Francesco, uno dei migliori “generali” del suo tempo, prende in moglie Bianca Maria Visconti e eredita il governo della città dagli antichi signori di Milano e pone fine alla formale “Aurea Repubblica” per rifondare il ducato. Il padre, pur se distratto dalle belle donne, è anche lui un buon uomo d’armi, oltre che duca di Milano. Insomma, Caterina si trova in un ambiente che, mi si passi l’espressione, le permette di crescere come Lady Oscar senza doversi vestire da uomo: pur se bellissima di aspetto4 e di grande cultura, dimostra una innata predisposizione per il governo e per l'uso delle armi, con la consapevolezza di appartenere ad una stirpe di gloriosi guerrieri.

Il ducato di Milano non deve essere confuso con l’attuale, striminzita provincia: nel Quattrocento, pur con cambiamenti frequenti, comprende, infatti, il Ticino e gran parte del Cantone dei Grigioni a nord, scendendo a sud fino a Parma, Piacenza e alla Lunigiana. Strategicamente, aveva solo i grandi fiumi padani a coprirlo da Venezia e dalla Francia, principali avversarie. La pace di Cremona con Venezia nel 1443 sembra aver stabilizzato i rapporti tra le due capitali. A Napoli dal 1458 regna Ferdinando I, che ha portato la Casa di Aragona sul trono che era stato dei Francesi d’Angiò. La cosa, ovviamente, non è gradita a Parigi, dove si sostiene che la successione degli Angioini spetterebbe ai Valois, casa regnante francese dell’epoca. A Roma, nell’anno in cui nasce Caterina, è pontefice Pio II Piccolomini, il papa umanista. Ma presto viene a mancare: al suo posto siede sul trono di Pietro un Della Rovere, Sisto IV, in buoni rapporti con gli Sforza, come vedremo.

Ecco, Caterina cresce in un ambiente del genere. E nel 1473, ad appena dieci anni, si ritrova sposata con Girolamo Riario, figlio della sorella di papa Sisto IV e di vent’anni più vecchio. Ovviamente, le nozze sono una pura formalità: passano ancora alcuni anni prima che Caterina raggiunga l’età per la loro consumazione5. Al nipote, come regalo di matrimonio, il papa procura la signoria di Imola, già città sforzesca, nella quale Caterina entrò solennemente nel 1477. Non è l’unico “presente” alla coppia: nel 1480 il Papa, per ottenere un forte dominio in terra di Romagna, assegna al nipote la signoria, rimasta vacante, di Forlì. La signoria è poco più che un titolo onorifico, dal momento che Girolamo vive stabilmente a Roma, dov’è capo delle guardie pontificie. Negli anni romani, Caterina per l’unica volta in vita sua si abbandona alle distrazioni, senza pensare a questioni militari o di governo: mette al mondo tre dei quattro figli che ha con Girolamo, partecipa alla mondanità, si gode i salotti frequentati dai migliori artisti d’Europa e si sente lusingata in quanto considerata una delle donne più belle del suo tempo.

Come direbbe il ministro Salvini, la “pacchia” a un certo punto finisce: nell’agosto 1484 sua santità Sisto IV viene a mancare. Alla sua morte esplodono i rancori contro i “favoriti” del pontefice: la residenza dei Riario, palazzo Orsini di Campo de' Fiori, è devastata. Caterina, che è incinta di sei mesi, raggiunge a cavallo la rocca di Castel Sant'Angelo per occuparla, insieme a un drappello di soldati che le sono fedeli, a nome del marito, che ne è il governatore. Da qui, Caterina minaccia con le sue armi il Colle Vaticano e il fiume e costringe i cardinali a venire a patti con lei: la giovane donna è ben determinata a consegnare la fortezza solo al nuovo papa. Tuttavia, cardinali non possono riunirsi in conclave, per timore di trovarsi sotto il fuoco delle artiglierie di Caterina. Né le loro milizie personali osano tentare una mossa - probabilmente suicida - per stanarla. Girolamo se ne sta, intanto, a guardare da fuori città, a capo del suo esercito. Dopo un tiremmolla infinito, alla fine Caterina -non soddisfatta- e il marito ottengono un buon capitale di ottomila ducati, il risarcimento dei danni subiti alle loro proprietà, la conferma della signoria su Imola e Forlì e, per lui, la carica di capitano generale della Chiesa. La donna, allora ventunenne, dopo aver tenuto in scacco Roma per dodici giorni, prende la via della Romagna, in tempo per far nascere un figlio a Forlì.

E proprio a Forlì le cose filano lisce per quattro anni, finché Roma non mette in difficoltà finanziarie la coppia - e il loro governo - cessando di pagare quanto dovuto. A quel punto, approfittando dello scontento popolare per l’imposizione delle tasse6 la nobile famiglia Orsi tenta il colpaccio: assassina Girolamo e cattura Caterina coi figli. La donna all’inizio sembra collaborativa: si offre persino di mediare con la rocca di Ravaldino, cittadella fortificata perno del sistema difensivo della città, che rifiuta di arrendersi ai nuovi padroni. Gli Orsi le credono, anche perché trattengono in ostaggio i figli. Una volta dentro, però, Caterina prende la guida della fortezza e si prepara alla riconquista del potere, incurante delle minacce ai suoi bambini. Il messaggio che fa arrivare ai “golpisti” è chiaro: se li avessero uccisi, avrebbe saputo vendicarli in modo crudele. Al ché, gli Orsi obiettano (immaginiamo basiti) che i figli sono sangue del suo sangue, per la donna: a questo punto Caterina, in una scena fra cronaca e leggenda, stando sulle mura della rocca, risponde a chi minaccia di ucciderle i bambini: “Fatelo, se volete: impiccateli pure davanti a me - e, sollevandosi le gonne e mostrando con la mano il pube - qui ho quanto basta per farne altri!”. Mai colpo di stato fallì in modo simile…7

Caterina diventa reggente in nome del primogenito Ottaviano e dimostra di non essere solo una validissima donna d’armi. Si occupa personalmente di tutte le questioni che riguardano il governo, sia quelle pubbliche che quelle private. Gestisce le relazioni con i signori degli Stati confinanti e conduce trattative matrimoniali per i suoi figli seguendo le usanze del tempo, secondo le quali concludere una buona alleanza matrimoniale era un ottimo modo di governare e mantenere la pace. Revisiona il sistema fiscale riducendo ed eliminando alcune tasse, controlla anche tutte le spese della famiglia e dello Stato, perfino quelle irrisorie8. Si occupa direttamente sia dell'addestramento delle sue milizie sia - da esperta - dell'approvvigionamento delle armi e dei cavalli. Trova anche il tempo per cucire e fare il bucato in famiglia9.

Ma Caterina non è solo un leader, un condottiero e il capo famiglia: è soprattutto una donna. E come tale si innamora. Giacomo Feo è il fratello del castellano di Rivaldino che le era rimasto fedele: quando si sposano lei ha 27 anni, lui 20. Restano insieme, nonostante la contrarietà dei figli, per quattro anni, probabilmente i migliori per la nostra eroina. Poi, anche lui muore, ucciso in un agguato. È il 1495. Caterina è riuscita a proteggere il suo territorio dalla calata dei Francesi e dalle mire dei nobili locali, ma non può nulla per difendere il suo uomo.

Passano due anni e una donna così passionale non resta sola: si innamora e sposa Giovanni de’ Medici, detto “Il Popolano”, ambasciatore della Repubblica fiorentina. Dal matrimonio nasce un figlio, che viene chiamato Ludovico in onore del Duca di Milano, ma che in seguito divenne famoso con il nome di Giovanni dalle Bande Nere, padre di Cosimo I. Tempo due anni e nel mezzo delle guerre con Venezia, anche “Il Popolano” muore, per i postumi di una ferita. Caterina non si fa distrarre dal grandissimo dolore e dirige le manovre militari, si occupa dell'approvvigionamento dei soldati, delle armi e dei cavalli10. Manco a dirlo, l'esercito di Caterina riesce ad avere la meglio sui Veneziani e convincerli a girare alla larga da Forlì e Imola. Nasce così l’appellativo di “Tigre di Forlì”.

Alla fine, a Caterina tocca combattere col più grande (e ambizioso) “figlio di buona donna” dell’epoca: Cesare Borgia, nato da una delle tante relazioni del cardinale Borgia (ora, papa Alessandro VI), a cui la donna lascia Imola e Forlì senza combattere, rinchiudendosi nella Rocca di Ravaldino. Ovviamente, Caterina non cede a minacce e lusinghe che le chiedono di arrendersi. Mette persino una taglia su Cesare Borgia in risposta a quella che lui ha messo su di lei: 10.000 ducati per entrambi, vivi o morti. Cerca anche di prenderlo prigioniero, mentre questi è nei pressi della rocca per trattare. Diciamo che il “Valentino”, così è detto il giovane Borgia, ha pane per i suoi denti… La resistenza solitaria di Caterina, bombardata senza sosta di giorno e impegnata di notte a ricostruire e riparare, diventa oggetto di ammirazione di tutta l'Italia.

Alla fine, le forze soverchianti degli assedianti hanno la meglio, ma solo bombardando le mura della rocca in continuazione, anche di notte, per sei giorni consecutivi, si aprirono due grossi varchi. Il 12 gennaio del 1500 Caterina in armi tenta una disperata resistenza, ma viene presto fatta prigioniera.

È l’ultima battaglia: Caterina trascorre gli ultimi anni della sua vita a Firenze, nelle proprietà del terzo marito, dedicandosi alla Medicina, all’Alchimia e alla Cosmetica.

Muore il 28 maggio 150911.

La sua penna maldestra maneggiando

l’umile autore raccontò la storia,

i grandi in spazi angusti confinando

e abbreviando il percorso di lor gloria

(Henry V, atto quinto)

1 Altre grandi donne del XVI secolo vengono dopo: la cugina Bona Sforza (poi, regina di Polonia e granduchessa di Lituania) nasce nel 1494, Caterina de’ Medici (lontana parente dal lato del terzo marito) nel 1519, Maria d’Inghilterra nel 1516 e la sorella Elisabetta I Tudor nel 1533.

2 In seguito, legittimata, accolta in casa e ben voluta persino dalla moglie del duca, Bona di Savoia.

3 Si erano ridotti a fare i contadini.

4 Probabilmente è lei, allora nemmeno ventenne, la Dama dei Gelsomini del famoso ritratto di Lorenzo di Credi.

5 Caterina ha 16 anni quando nasce il primo figlio Ottaviano.

6 Girolamo aveva fatto tutto il possibile per non imporne a Imola e Forlì prima di allora.

7 La vendetta per la morte del marito, secondo l'usanza del tempo, è implacabile ma anche sorprendente. Ordina l’arresto, ma non la strage di tutti i cospiratori: tra di essi il governatore del papa Monsignor Savelli, tutti i generali pontifici, il castellano della rocca di Forlimpopoli, per il fatto che l'aveva tradita, e anche tutte le donne della famiglia Orsi e delle altre famiglie che avevano appoggiato il complotto. Soldati fidati e spie cercano ovunque, in tutta la Romagna, chiunque dei congiurati sia, in un primo tempo, riuscito a fuggire. Le case di proprietà degli imprigionati sono rase al suolo, mentre gli oggetti preziosi sono distribuiti ai poveri. Caterina non cessa di stupire!

8 Monti, Renzi e Conte: se ci siete, battete un colpo!

9 Quando i politici ci dicono che devono farsi servire di tutto punto “perché non hanno tempo di fare tutto come quando erano normali cittadini”, evidentemente non ce la raccontano giusta…

10 L'addestramento delle milizie, ricordiamolo, viene eseguito da Caterina in persona che, per reperire denaro e truppe aggiuntive, non si stanca di scrivere allo zio Ludovico, alla Repubblica di Firenze e agli Stati alleati confinanti.

11 Solo le filiali di Forlì di Poste Italiane si sono ricordate del 500esimo anniversario della morte, emettendo un francobollo. Non risulta che Milano l’abbia in alcun modo onorata nel 2013 per i 550 anni dalla nascita.