Le Forze Speciali

(di Tiziano Ciocchetti)
12/11/21

“Non si è un reparto speciale solo perché si ha un passato glorioso, epico, tantomeno l’aggettivo speciale può bastare a giustificare lo stanziamento di ingenti risorse economiche che ci vedono, all’interno del comparto militare nazionale, come primi fruitori. Non si è migliori perché possiamo accedere al materiale più efficiente e tecnologicamente avanzato. Questa presunta superiorità non può essere motivata dalle procedure non convenzionali impiegate, tantomeno si esalta nelle prove o nei test psico-fisici tremendamente selettivi.

La nostra essenza trova compimento profondo e concreto solo se gli aspetti appena citati vanno a plasmarsi su uomini consapevoli, maturi, orgogliosi di far parte di una comunità con una leadership autorevole che crea senso di appartenenza. In caso contrario c’è solo il fallimento. Solo così è possibile concedersi pienamente a una idea professionale volta a un obiettivo superiore. Solo così è possibile pretendere, da questi ragazzi, il sacrificio più estremo”.

(Estratto dal libro di Mario Chima, Caimano 69. Sabbia e polvere)

Premessa

Il secondo argomento che necessariamente affrontiamo nella nostra disamina del mondo “speciale” sono le unità, le forze, gli uomini che sono deputati a condurre tale tipologia di operazioni. In parte abbiamo introdotto il tema quando abbiamo descritto le operazioni speciali ma qua ci proponiamo di approfondirlo andando a toccare aree, particolari e dettagli che, seppur non sempre molto diffusi e popolari, ci sembrano indispensabili per fare la differenza e per non rimanere nel contesto vago, nebuloso e superficiale di moltissimi articoli e libri già pubblicati e conosciuti.

Sicuramente, infatti, non siamo originali perché sulle unità non convenzionali sono stati versati fiumi d’inchiostro e sono state realizzate affascinanti e avvincenti pellicole che, soprattutto negli ultimi anni, hanno invaso il mondo del grande e piccolo schermo, senza dimenticare i giochi elettronici di strabiliante realismo che, forse per questioni di marketing, fanno sempre più riferimento a questo ormai super sfruttato settore. Tutti sanno quasi tutto e anche i ragazzini che si sfidano online in estenuanti partite di “Call of Duty” (fotogramma) o “Special Forces Group 2”, scelgono le tattiche, le procedure e le armi delle loro contese con più dovizia, precisione e consapevolezza di un professionista del campo.

Coscienti quindi delle ambiziose aspettative del pubblico, ci accingiamo a descrivere e commentare le nostre opinioni confermando sin da subito, e in coerenza con quanto già pubblicato, il carattere selettivo elitario ed esclusivo di quanto andremo ad esporre. La deferenza, infatti, non fa parte della nostra indole e riteniamo che in questo, come in altri settori di importanza primaria, l’aver suscitato lo sdegno di qualche lettore faccia parte di un gioco che, se deve essere sincero e corretto, non può piacere a tutti.

Le Forze Speciali

Le Forze Speciali sono quelle forze specificatamente organizzate, selezionate, addestrate, equipaggiate, motivate e dotate che, impiegando tecniche peculiari e procedure innovative, conducono operazioni speciali. Una definizione che si trova in ogni pubblicazione militare o simile e che, di per se, non vuol dire quasi nulla e non fa altro che riprendere e riproporre, in un ciclo vizioso, la definizione delle operazioni speciali1.

Quello che comunque traspare all’istante è che la definizione mette immediatamente in diretta e biunivoca correlazione le forze speciali con le operazioni speciali. Le forze sono viste come “strumento”, come “mezzo”, come espediente necessario e indispensabile alla realizzazione di una determinata azione.

Altro fattore che emerge con immediatezza è la natura specifica, dedicata, convergente ed univoca di tali unità. Non sono prese a caso; non derivano da nulla; non servono ad altro o per altro e non sono dual use, come tanto piacerebbe a qualche personalità che ha assunto incarichi anche di spicco nel panorama della Difesa e che sogna di disarmare chi invece, delle armi, ha fatto una professione e che per la peculiare capacità ad usarle, anche solo potenzialmente, svolge un insostituibile servizio a favore dello Stato.

Non v’è dubbio alcuno che senza questi manipoli dedicati e specifici assetti le operazioni speciali non esisterebbero e non potrebbero essere realizzate. E questo dovrebbe già aprire una riflessione su quelle unità che, pur definendosi Forze Speciali, vengono impiegate in situazioni, contesti e missioni totalmente convenzionali. Ma questo argomento, già accennato in nostri precedenti articoli, verrà approfondito quando tratteremo del panorama nazionale.

Quindi, gli incursori nascono come tali, sono selezionati e formati per svolgere quei compiti e per quelle mansioni si addestrano e si preparano tutta la loro vita operativa. Contrariamente a quanto alcuni possano pensare, sono assetti estremamente specialistici e, come tali, devono essere impiegati conformemente alla loro preparazione e vocazione. Quello per cui si preparano, ed il modo in cui lo fanno, differisce sostanzialmente e profondamente da ciò che fanno gli altri militari che, non a caso, non sono contemplati quali attori principali nella realizzazione delle operazioni speciali. Nessuno si sognerebbe di impiegare un palombaro o un pilota da caccia, entrambi in servizio operativo, per altro se non per lo specifico incarico al quale sono dedicati, ma quando si tratta di Forze Speciali l’idea di poterle usare con la tattica del “prezzemolo” ovvero, un po’ dappertutto e per tutto - tanto non guasta mai - è una tentazione che ha già ammaliato molti dirigenti militari di altissimo rango.

Come recita l’accessibile dottrina dell’Alleanza, le FS sono assetti strategici2 e nessuno, che avesse letto tale definizione, potrebbe neanche immaginare di impiegare cotanto importante strumento per finalità che non siano anch’esse strategiche. E proprio perché fanno cose diverse con procedure altrettanto diverse, sono inserite in una catena di comando dedicata e separata, per quanto contermine, da quella convenzionale3

Ma uscendo dall’ambito puramente dottrinale e prendendo in esame quelle realtà particolarmente strutturate ed efficienti nell’ambito delle operazioni speciali, abbiamo stigmatizzato quelle che ci sembrano le caratteristiche principali di questa unità.

Innanzitutto i numeri. Le unità di incursori sono per definizione piccole4 e i requisiti per entrarne a far parte sono estremamente selettivi. Non vengono impiegate “a massa” o per attività convenzionali, non presidiano il territorio o gli obiettivi sensibili e non vi è quindi la necessità di disporne in quantità rilevanti, né tantomeno come Quick Reaction Force e non vi è quindi la necessità di sparpagliarle nei vari contingenti sperando che possano fungere da panacea per ogni spiacevole situazione.

Tali reparti sono inoltre particolarmente costosi ed onerosi, gli individui che ne fanno parte necessitano di un lungo e dedicato periodo di formazione5, di costante addestramento e di strutture, guarnigioni e aree addestrative particolari e dedicate che svolgano anche la funzione di tutela garantendo loro isolamento, riservatezza e discrezione. Sono dotate ed equipaggiate con lo stato dell’arte degli strumenti bellici e degli armamenti disponibili e, per questo, necessitano di costante, impegnativa e gravosa attenzione, anche finanziaria. Nessuna nazione ha la capacità e le risorse per produrne in quantità, sempre che voglia contare sul meglio che le tecniche addestrative, la tecnologia, la scienza e l’innovazione possano garantire, senza mai abbassare l’asticella e farsi sedurre dai numeri piuttosto che dalla qualità. Sono come una scuderia di formula uno: due macchine in pista sono più che sufficienti se, ad ogni Gran Premio, almeno una di loro sale sul podio.

Un altro motivo per essere pochissimi è dettato dall’efficienza dello strumento: come abbiamo già sottolineato nell’articolo dedicato alle Operazioni Speciali, in un “sistema” operazioni speciali efficace ed efficiente, per ogni incursore devono essere dedicati dai 3 ai 6 militari che lavorano per lui in termini di comando e controllo, logistica, supporto tattico, supporto di volo e di controllo dello spazio aereo, supporto spaziale, supporto delle trasmissioni e di guerra elettronica, supporto di proiezione ecc… Così, se la forza totale di incursori su cui posso contare è di 700 uomini, ne dovrò avere dai 2100 ai 4200 dedicati a supportarli. Questi numeri sono già di per sé eloquenti e spiegano, in modo razionale e pragmatico, perché le Forze Speciali devono essere ridottissime. Sempre che, nell’ipotetico Gran Premio, l’obiettivo sia quello di salire sul podio e non di accontentarsi di fare solo tanto inutile rumore in pista.

Al fine di corroborare quanto asserito con esempi pratici e reali che facciano capire realmente l’entità delle grandezze in gioco, andiamo a fare una rapida disamina di alcune celeberrime Operazioni Speciali.

Nella notte fra il 18 e il 19 dicembre 1941, incursori della Marina Militare portarono a termine l'Impresa di Alessandria, ai danni della flotta britannica nel Mediterraneo, scrivendo un finale culminante per l'operazione G.A.3.6 A loro sostegno, tuttavia, c’era un sommergibile con il suo equipaggio, le strutture e gli uomini dell’intelligence della Marina, che avevano iniziato gli studi e le analisi 6 mesi prima dell’azione, e tutti gli uomini e le strutture tecniche, logistiche, addestrative che hanno consentito di preparare l’incursione.

A febbraio del 1943 una decina di incursori del 10° reggimento arditi al comando del tenente Bartolini fecero saltare l’obiettivo di primaria importanza che era stato assegnato loro (viadotto ferroviario sull’Uadi Boudo-vaou in Algeria). In loro supporto, oltre gli uomini e le strutture di intelligence e logistico addestrative, il sommergibile Malachite e tutto il suo equipaggio che venne affondato sulla strada del ritorno poche miglia al largo di Cagliari.

L’operazione “Thalatine” condotta dal COS francese in Somalia nel 2008 quale rappresaglia a seguito del sequestro (con pagamento di riscatto) del veliero di lusso “Ponent” ha comportato l’impiego di un totale di circa 20 incursori a fronte di un supporto di tutto il Commendement des Opérations Spéciales, 2 fregate, una porta elicotteri, 4 elicotteri, 2 aerei Transall e 2 aerei Atlantique, assetti satellitari SIGINT e COMINT7 senza contare gli assetti per le relazioni diplomatiche e con l’armatoria.

Operazione Tunderbolt condotta dagli israeliani a Entebbe.

Anche in Afghanistan dal 2005 al 2014 i task groups di Forze Speciali impiegati dalle varie nazioni che hanno contribuito avevano un numero di incursori che variavano dalle poche decine ad un massimo di 50-60. Anche in quel contesto, vi era un Comando dedicato che supportava tali unità e i paesi strutturati schieravano, a supporto di queste TF, unità di supporto tattico, assetti di volo dedicati, unità di intelligence (venendosi a creare anche specifiche intelligence fusion cells) e anche assetti ISR specificatamente orientati (incluse le strutture per l’interpretazione dei prodotti forniti dai sensori).

Potremmo continuare con esempi similari ma crediamo di aver esaustivamente coperto il settore. Ci chiediamo dunque quali siano le motivazioni operative che in alcuni paesi fra, cui il nostro, spingono alla corsa alla moltiplicazione dei reparti di Forze Speciali o similari senza peraltro potenziare contestualmente e proporzionalmente i reparti e le strutture di supporto che, invece, da un’analisi oggettiva, sembrerebbero l’elemento veramente essenziale e discriminante. Quello che, se fossimo dei dottrinali di estrazione anglosassone, definiremmo la “Critical Capability” del sistema operazioni speciali.

Altra caratteristica che balza istantaneamente agli occhi sono le dotazioni. L’equipaggiamento costituisce un unicum con l’operatore. Infatti la capacità di condurre missioni al limite dell’impossibile è conferita dall’estrema preparazione e professionalità degli individui sviluppate in sinergica armonia con lo stato dell’arte degli equipaggiamenti e delle dotazioni. Sovente le unità sono direttamente connesse con realtà industriali all’avanguardia che producono, coperte da un alveo di segretezza e ricercando e sperimentando in sinergia con gli incursori, gli equipaggiamenti che dovranno impiegare le unità non convenzionali. Spesso gli equipaggiamenti sono idonei solo ad alcuni ambienti, a specifiche situazioni tattiche operative e a singole tipologie di missione e gli operatori ne devono quindi disporre in numerici proporzionali alla loro flessibilità e duttilità d’impiego.

Se si vuole puntare a livelli di eccellenza non esiste la soluzione “one size fits all”. Come in Formula Uno, alla stessa macchina devono poter essere accoppiate decine di pneumatici diversi a seconda di pressione atmosferica, temperatura, umidità, tipologia di pista e centinaia di altre variabili. E sono proprio gli pneumatici che spesso fanno la differenza. Presentarsi al Gran Premio con una “gomma buona per ogni evenienza” perché non si hanno le risorse per un parco pneumatici adeguato - perché magari le si sono spese per mettere in pista 4 o 6 macchine in aggiunta ai canonici 2 bolidi - vuol dire perdere inevitabilmente! E di qui la beffa, oltre che il danno: non solo si spende enormemente per mettere 4 o 6 macchine nel circuito, ma in più si ha la certezza di perdere. Certo, che se lo scopo non è vincere ma fare inutile rumore in pista il problema cambia di prospettiva.

Altro segno distintivo rispetto alle unità convenzionali è la remunerazione. Come in ogni settore di eccellenza, il salario segue la legge di mercato: tanto inferiore è il numero di persone in grado di svolgere un compito in presenza di una richiesta sempre crescente di tale professionalità e tanto maggiore è la remunerazione per questi pochi esperti. Inoltre, vista la ristrettezza dei numeri (sempre che si sia seguita la politica dei numeri limitati), gli emolumenti elevati non comportano un particolare esborso per le casse dello Stato a fronte del servizio elitario fornito. D’altra parte di esborsi generosi da parte della Pubblica Amministrazione a beneficio di certe categorie considerate indispensabili hanno caratterizzato anche il recente passato, come lo dimostra il cosiddetto “decreto piloti”.

Il salario adeguatamente elevato costituisce un incentivo alla continuità. Chi fa l’incursore trova lavoro senza difficoltà in mille altre strutture per un compenso spesso molto più cospicuo. La formazione dell’incursore costa moltissimo in termini economici, di risorse e di tempo e, una volta formato, la Forza Armata deve garantire che l’investimento effettuato possa rendere adeguatamente evitando assolutamente costrizioni e vincoli, quali ferma obbligatoria o similari, che andrebbero a minare l’affidabilità dell’operatore. La paga, inoltre, compensa il costante rischio e la permanente disponibilità tipica dei reparti di incursori. L’impegno costante nel periodo di operatività comporta pesanti disagi quali l’impossibilità (o quasi) di farsi una famiglia, di godersi una vacanza quando lo si desidera e di dedicarsi a passioni e hobbies personali. Inoltre, l’emolumento copre anche, sebbene solo parzialmente, il costante rischio a cui viene esposto il personale durante l’addestramento e le operazioni.

Altro fattore non trascurabile e ben implementato da molte nazioni che attribuiscono agli appartenenti alle Forze Speciali salari che spesso superano del 30% la paga dei commilitoni convenzionali, è il fattore dei requisiti minimi: chi non si adegua agli standard del reparto viene allontanato immediatamente nella consapevolezza che la fuoriuscita dal comparto implichi anche la perdita definitiva di rilevanti emolumenti. Tale procedura costituisce un motivante, sebbene non l’unico, per gli aspiranti ed uno stimolo per quelli che sono già operativi al fine di mantenere sempre requisiti fisici e professionali all’altezza del compito.

Oltre al fattore puramente economico in molte nazioni gli incursori beneficiano anche di un trattamento molto più generoso e comprensivo per quanto attiene la possibilità, per se stessi e per i propri familiari, di assistenza sanitaria, di accesso a studi superiori ed universitari, di reimpiego nella vita civile, di usufrutto di alloggi militari nelle sedi di servizio, di accesso a strutture sportive, culturali e ricreative, e di poter beneficiare di una pensione privilegiata ed anticipata.

Il costante, duro, realistico addestramento è inoltre la ragione di vita dei reparti incursori. Non c’è spazio per altro! O si è in operazioni o si è in addestramento! E qualsiasi altra attività distoglie tempo e risorse a queste due insostituibili e necessarie occupazioni. Movimenti da e per le aree addestrative, pause tecniche, interruzioni per periodi di licenza di addetti e/o responsabili, cerimonie, indisponibilità di velivoli o supporti, esigenze familiari o di vita ordinaria sono sabbia a grani grossi negli ingranaggi dei reparti incursori.

Di questa realtà se n’era accorto immediatamente il visionario ammiraglio McRaven che, nel suo “USSOCOM Posture statement” del 2012, già prevedeva la costruzione di aree addestrative adiacenti alle guarnigioni degli incursori e tutta una serie di misure a sostegno delle famiglie e dei percorsi professionali specifici del personale del comparto8 (soprattutto dei “leaders”) con la finalità ultima di avere maggiore disponibilità dei propri uomini svincolandoli da preoccupazioni, obblighi, corsi, necessità, non direttamente connesse a quelle strettamente professionali. Se, infatti, lo stato dell’arte dell’equipaggiamento è un necessario compendio per la vittoria, la chiave per il successo risiede nell’individuo e nelle sue qualità e preparazione9.

Anche le norme convenzionali costituiscono un vincolo e un freno. Non si possono chiedere prestazioni eccezionali in operazioni basandosi su regole convenzionali in addestramento. Come se si chiedesse a Hamilton di vincere il Gran Premio limitandolo però ad addestrarsi, come l’aspirante autista di un taxi, in un percorso urbano aperto alla circolazione e nell’assoluto rispetto del codice della strada. Non che il taxi, con il suo autista, non sia un mezzo indispensabile per la vita cittadina – lo è sicuramente più di Hamilton e della sua fuoriserie - ma i due “autisti”, per quanto entrambi con un volante in mano, fanno un mestiere diverso e si devono quindi addestrare seguendo norme e principi distinti e separati.

Altra tappa fondamentale in tutti i paesi del mondo per entrare a far parte delle Forze Speciali e una seria, attenta e spietata selezione. Intraprendere il mestiere dell’incursore non è cosa per tutti e non tutti i militari hanno le caratteristiche per farlo proprio perché l’attività a cui ci si dedica in tali reparti è sostanzialmente diversa da quella del mondo convenzionale. Spesso non bastano solo impegno e volontà ma servono qualità che o si hanno o è difficile conseguire. La selezione, pertanto, è accuratissima anche perché evita inutili dispendi di risorse ed è irrinunciabile garanzia di sicurezza10.

Ogni incursore mette giornalmente la propria vita nelle mani del proprio camerata e dobbiamo garantire, con ogni ragionevole certezza, che quelle siano chiaramente delle “buone mani”.

Il percorso selettivo si deve basare su dei requisiti di accesso che devono prevedere l’aspetto fisico, attitudinale e quello professionale. Se il primo e l’ultimo sono abbastanza facili da misurare perché si basano su performances oggettive l’attitudine rimane sempre un alveo problematico da valutare. Gli incursori, infatti, devono dimostrare, stabilità, adattabilità, tenacia, facilità d’apprendimento, capacità di sopportazione di stress fisici e psicologici, accettazione del rischio, disponibilità a vivere in condizioni estremamente disagiate e volitiva predisposizione al cambiamento e all’innovazione.

La selezione, proprio perché complessa, articolata e orientata anche a valutare qualità di non facile misurazione, deve essere lunga. Non può quindi ridursi solo alle fasi iniziali dell’istruzione ma deve proseguire per tutto il periodo formativo a garanzia di un prodotto sicuramente adeguato alle necessità. Questo esclude anche che un brevetto da incursore, a differenza di altre qualifiche, possa essere considerato come la sommatoria di varie abilitazioni prese in un lasso indefinito di tempo. Un corsetto oggi, uno fra due o tre anni, un’abilitazione fra cinque e, alla fine, dopo 10-15 anni viene consegnato il brevetto poiché il previsto curriculum è completato. Se questo metodo può andare bene per una università della terza età, sicuramente non è compatibile con il mondo di chi fa delle operazioni speciali una professione.

In molti paesi la selezione è sicuramente più rapida rispetto alla realtà nazionale ma, si tratta generalmente di nazioni che si basano su Forze Armate che garantiscono livelli qualitativi medi di elevatissimo livello. Per entrare nell’Esercito Italiano come VFP1, per esempio, le prove fisiche non sono invalidanti ma conferiscono solo un punteggio incrementale. Ovvero, un panzone che non supera neanche una delle 4 blandissime prove fisiche previste può comunque indossare le stellette se magari recita Dante, sa fare di calcolo o si ricorda il giorno, il mese e l’anno in cui è morto Napoleone. E siamo talmente convinti di questa pratica che, solo qualche anno fa, per decisione ministeriale, sono state sospese e, infine, ridimensionate sostanzialmente tutte quelle direttive e disposizioni che consentivano di prendere dei provvedimenti seri nei confronti dei militari che eccedessero nel peso ponderale. Se poi pensiamo che il passaggio da VFP1 a VFP4, nella realtà italiana, si basa essenzialmente sull’abilità nel rispondere ad un quizzone piuttosto che sulle capacità fisiche, professionali ed esperienziali maturate, ci rendiamo conto che i vincitori del concorso saranno principalmente quelli che hanno avuto il tempo di studiarsi il thesaurus delle domande piuttosto che gli atleti, i tiratori, gli scavezzacolli o i tecnici di settori specifici. Ed ecco anche perché in Italia un buon 30-35% dei volontari per il comparto forze speciali lascia le selezioni nei primi 3-4 giorni quando le prove, quelle vere, devono ancora iniziare. Al solo annuncio che dovranno passare 2 settimane senza orologio e telefonino il 20% dei prodi aspiranti incursori abbandonano il percorso selettivo. Questo è il livello di base del soldato italiano e, da questo, è necessario partire.

La selezione implica anche il concetto di Volontarietà in quanto deve essere applicata a soggetti assolutamente e convintamente volontari. Anche gli arditi del 1917 lo erano, così come lo sono in tutto il mondo! Curiosa e controversa, al riguardo, la normativa del reclutamento nell’Esercito che antepone il “Modulo di alimentazione” alle desiderate dell’aspirante. In poche parole, se durante una selezione ci fossero 10 aspiranti e tutti superassero tutte le prove e richiedessero di fare l’incursore, la loro volontarietà verrebbe prevaricata di criteri di riempimento degli organici – il cosiddetto “modulo di alimentazione”11. Un principio che sembrerebbe studiato a tavolino da strateghi della debolezza generalizzata e del fronte ugualmente cedevole su tutta la sua ampiezza e che contribuisce a demotivare chi avrebbe le qualità e le potenzialità per aspirare al meglio. Oltretutto, tale principio ha portato nel passato a rinunce volontarie di personale che, pur avendo superato le selezioni, ha preferito rientrare al reparto d’origine piuttosto che essere assegnato ad una unità non di proprio gradimento.

Infine, altro cruccio e lamentela costante in quasi tutte le forze armate del mondo è il parere secondo il quale le forze speciali drenerebbero gli altri reparti di tutte le migliori risorse e degli uomini più preparati. E su questo, se il sistema del reclutamento funzionasse veramente, non ci sarebbe nulla di male. Intanto perché se si rispettasse il requisito dei numeri ristrettissimi che caratterizza i reparti incursori (che mediamente coprono il 03% - 04% del totale delle Forze Armate) questo drenaggio sarebbe marginale e sarebbe giustificato da una prioritarizzazione delle esigenze. Inoltre, non condividiamo il concetto delle “risorse migliori”. Chi fa l’incursore non è “migliore” di chi si cimenta in altre attività, eventualmente è peculiare. Si può essere ottimi logisti, eccezionali meccanici navali, insostituibili controllori dello spazio aereo, incomparabili alpini e consolidati assi dell’aria senza avere le caratteristiche per superare le selezioni da incursore.

Infine, non essendo i reparti incursori dei “buchi neri” che divorano ogni cosa, questo flusso in ingresso dovrebbe essere bilanciato da paritetico flusso in uscita di chi ha terminato la vita operativa e può riversare una preziosa esperienza in altri reparti convenzionali che, inevitabilmente possono trarre grande vantaggio da queste professionalità. Questi flussi, teoricamente, dovrebbero funzionare benissimo, nella realtà, almeno nel panorama nazionale, ci sono svariate problematiche – come il trascinamento dell’indennità – che ci riproponiamo di analizzare in un prossimo articolo.

Come per le operazioni, anche le forze speciali devono essere Joint, ovvero organizzate prevendendo tutte le componenti e i domini del loro impiego12. Ciò non esclude una loro organizzazione di guarnigione suddivisa per forza armata, ma il loro impiego, e quindi anche il loro addestramento, deve essere principalmente joint secondo il principio “train as you fight”. Inoltre, come ho avuto anche modo di commentare in uno dei precedenti articoli, tutti i reparti incursori più blasonati del panorama internazionale condividono un aspetto cromosomico. Questi reparti, e gli uomini che ne fanno parte, sono accomunati da un particolare genoma che si è plasmato con la storia, con le straordinarie operazioni condotte, con i morti in combattimento e in addestramento, con gli esperimenti andati a male, con le sconfitte subite, con le frustrazioni derivanti dall’essere considerati degli sconsiderati, con il piglio di ironica superiorità col quale spesso vengono trattati… non ci scordiamo che l’autorespiratore a ciclo chiuso e il siluro a lenta corsa progettati e proposti da Teseo Tesei con risorse limitatissime furono profondamente sottostimati dalla Regia Super Marina per la decisione di qualche saccente e convenzionale ammiraglio che credeva più nelle corazzate che in qualche fantasioso, bizzarro ed inverosimile uomo-rana. Quindi, che si tratti degli arditi di Messe e delle motosiluranti di Rizzo, degli uomini di Stirling o dei commandos di Karl Student questi reparti affondano le loro radici nella storia discendendo direttamente da chi, da più di un secolo – o almeno da svariate decine di anni – si è cimentato nel pianificare e compiere azioni al limite del ragionevole.

Altra caratteristica che si percepisce osservando il panorama dei paesi strutturati è la dimensione “digitale” di queste unità, nel senso “elettronico” del termine: come nella tecnologia binaria, infatti, o sei zero o sei uno, lo zero virgola cinque non passa! Anche qui, la dottrina della NATO, da sempre forzatamente e deliberatamente inclusiva, introduce vari livelli di capacità per le unità di SOF che, se da una parte sono comprensibili in un’ottica d’impiego combinato di forze che provengono da varie force providers nazionali, dall’altra è in contrasto con la definizione stessa di tali assetti. Come posso considerare un assetto strategico se ha solo parzialmente le capacità che dovrebbe possedere? Ma la NATO è innanzitutto un’alleanza politica e la sua prima priorità è quella di non dissociare, sgretolare e disarticolare l’Alleanza stessa, cosa che impone un’inclusività a priori anche alle spese dell’efficacia e dell’efficienza prettamente tecnico-militare.

Quando, nel 2007, fu istituito il NATO SOF Coordination Center (che poi si è evoluto in NATO SOF Headquarter) alle dipendenze del carismatico ammiraglio McRaven, uno dei primi crucci da risolvere è stato quello di trovare il modo di includere nella cerchia delle SOF tutti i membri dell’Alleanza, senza esclusione, attirando anche i paesi più piccoli con forze armate irrisorie e capacità nell’ambito delle forze speciali quasi inesistenti. Da un punto di vista politico tale approccio ha avuto successo ma i contributi forniti da tali realtà in operazioni hanno avuto scarsissimo rilievo e hanno potuto essere impiegati solo in un contesto in cui altre formazioni fornivano le capacità essenziali di cui erano carenti.

La differenza principale la si è vista nel primo teatro operativo in cui il NATO SOF HQ ha avuto un ruolo: l’Afghanistan. In tale contesto, infatti, le nazioni strutturate da un punto di vista delle Operazioni Speciali come USA, UK, AUS e FRA, e che avevano anche interessi nazionali e volontà politica per raggiungere determinati obiettivi, avevano già schierato in maniera indipendente e autonoma le loro Task Forces che agivano sotto egida nazionale. Le altre timide nazioni hanno invece, solo successivamente, risposto alla chiamata dell’Alleanza andando a colmare i Combined Joint Statement Of Requirement13 che nelle varie Force Generation Conference Bruxelles sponsorizzava, fornendo ognuna una piccola e spesso risibile fetta di capacità. E in operazioni, senza l’intelligence, i velivoli Rotary e Fixed Wings, i mezzi per la mobilità terrestre, gli assetti di ISR e, spesso, anche la QRF provveduti principalmente dagli USA, le piccole unità fornite da questi paesi sarebbero state essenzialmente inutilizzabili. In realtà hanno operato marginalmente, quasi come “prestatori d’opera” perché gli obiettivi paganti e di valore nessuna nazione li ha mai ceduti ad altre Task Forces che internamente non possedevano le capacità per individuarli, seguirli e colpirli. Nessun pescatore ti dice dove cattura le prede migliori perché per trovare quelle poste ci ha messo anni e ha impegnato tempo e risorse, e così funziona anche nel mondo non convenzionale.

Al termine di questa carrellata in cui abbiamo cercato di evidenziare le qualità delle unità incursori affrontiamo il tema sicuramente importante delle risorse. La problematica dei fondi a disposizione nei bilanci della Difesa e dell’ormai cronico sottofinanziamento delle Forze Armate, soprattutto nel periodo di crisi mondiale che ha caratterizzato il post 2008, investe, infatti, anche gli ambienti delle Forze Speciali. Anche qui le risposte sono state diverse, a seconda delle varie nazioni e dei loro interessi primari in termini di politica e strategia di difesa. In alcune sono stati fatti tagli trasversali che hanno inevitabilmente interessato anche i reparti incursori, in altre, questi stessi reparti hanno visto comunque crescere i loro budget, l’interesse e le risorse complessive messe a disposizione.

Soprattutto in Italia questa tematica è molto sentita e i commenti di molti lettori e molti militari quando si parla di reparti incursori spesso vertono verso la considerazione che, nonostante le riduzioni generalizzate di risorse che ha colpito indistintamente tutte le forze armate, il divario tra quanto è concesso agli incursori e quanto poco invece rimane per gli altri è eccessivo. E questo porta inevitabilmente a una corsa a diventare tutti “speciali” o, se volete, “mezzi incursori” nella speranza che qualche scampolo di bigliettone possa trafilare anche a proprio beneficio.

Se non si può che esprimere solidarietà verso questa sconcertante realtà, è tuttavia necessario sottolineare l’approccio diverso che si potrebbe e, a nostro avviso, dovrebbe adottare in queste situazioni.

Ricorrendo sempre alla metafora con la Formula Uno, alla quale abbiamo assimilato i reparti incursori, quello che spicca è la finalità per la quale si mettono dei bolidi in pista. Non vi è, infatti, la necessità di mera presenza nei circuiti di velocità ma l’obiettivo principale, e direi unico e pagante, per una scuderia di formula uno è quello di salire sul podio. Solo tale risultato garantisce “la soddisfazione del cliente” e quindi i ritorni dell’investimento in termini di visibilità, immagine, fama, assicurando la “fidelizzazione” del pubblico: se vince la Ferrari, alcuni magnati compreranno i bolidi rossi ma la massa dei consumatori comprerà cappellini, maglie, penne, e diavolerie varie con lo stemma del cavallino rampante perché tale simbolo rappresenta una squadra vincente, unita, all’avanguardia dal punto di vista tecnologico. Di questa condizione ne potrà giovare anche il gruppo più grande che finanzia la Ferrari ma che produce veicoli commerciali al solo scopo di creare profitto.

Quindi, se in caso di scarsità di risorse mi posso permettere di fare delle scelte a volte drammatiche in una grande società che produce automobili commerciali, come il licenziamento dei dipendenti, la riduzione delle linee e degli stabilimenti di produzione, l’ottimizzazione delle reti commerciali ecc….sottofinanziare la scuderia di Formula Uno precludendone quindi inevitabilmente la raggiunta dell’unico scopo che ne giustifica l’esistenza - il podio - ne vanificherebbe integralmente la ragione di esistere.

Analogamente, proprio perché i reparti incursori servono per tutelare i più alti e irrinunciabili interessi nazionali e proprio perché le operazioni speciali non concedono il diritto di replica, avere un sistema operazioni speciali a scartamento ridotto o a capacità solo parziale poiché sottofinanziato è assolutamente inutile. Anzi controproducente! Oltre al danno, infatti, tale assurda condizione ingenera anche la beffa. Se il sistema OS non è sempre al 180% ed in grado di condurre con la più grande probabilità di successo le attività alle quali è deputato, perde la ragione di esistere e vanifica totalmente gli investimenti nel settore. Meglio allora non averlo. Piuttosto che spendere un patrimonio per mantenere in pista una fuoriserie scarburata che non vince mai, meglio lasciar perdere e dedicarsi ad altro. Principio che invece non si applica ad un grosso gruppo che produce autoveicoli e che ha motivi di profitto che giustificano la sua esistenza.

Dotarsi di reparti incursori, come correre in Formula 1, non è obbligatorio e non lo prescrive alcun medico. Mentre rinunciare alle Forze Armate è impossibile, almeno per uno stato che voglia sopravvivere e che non voglia abdicare totalmente la propria sovranità nazionale. Lo sanno bene gli Stati Baltici che, non disponendo di Forze Aeree all’altezza hanno richiesto all’Alleanza Atlantica di occuparsi della difesa dei propri cieli cedendo però contestualmente una buona fetta di sovranità e di controllo dei propri spazi nazionali. Ed è altrettanto vero che il disporre di questi reparti non attribuisce né fama né reputazione. Anche nel mondo automobilistico, ci sono case che producono eccellenti autoveicoli e hanno un mercato più che apprezzato pur senza vedere rappresentati i propri bolidi nei vari Gran Premi. Quindi, se la decisione è di dotarsi di un sistema Operazioni Speciali il complesso deve raggiungere la massima espressione possibile.

In estrema sintesi, o si ha un sistema operazione speciali che rappresenta lo stato dell’arte della preparazione, addestramento, operatività, tecnologia, dotazione e capacità di risposta o, meglio non averlo e dedicare quelle preziose risorse ad altro. Purtroppo, nel settore, come già illustrato parlando della dimensione digitale e binaria delle forze speciali, le vie di mezzo non producono che disastri. Non disponendo di risorse infinite si può ragionare sulle dimensioni dello strumento speciale ma non sulla sua completezza, efficacia e capacità in tutte le sue componenti. D’altra parte se gli incursori sono effettivamente “pochissimi” come dovrebbero effettivamente essere, anche il sistema complessivo sarà estremamente contenuto e ragionevolmente oneroso.

Panorama Nazionale

In Italia, la componente speciale è costituita da 4 fasce di unità ben distinte tra di loro e caratterizzate da funzioni e compiti differenti.

  1. un Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (COFS): unico comando responsabile della concezione, pianificazione, predisposizione e condotta e delle operazioni speciali, dell’addestramento e delle esercitazioni interforze nazionali e multinazionali della componente speciale e della definizione degli standard delle forze speciali. Il comandante del COFS, inoltre, è principale interlocutore del capo di SMD per l’impiego della componente speciale.

  2. un’aliquota Tier 1 - reparti incursori: specificatamente incaricati di assolvere tutti i compiti previsti dalla NATO (Direct Actions, Special Reconnaissance e Military Assistance) e i compiti nazionali che, da quanto ci risulta, sono recentemente incrementati poiché due nuovi task nazionali sarebbero stati aggiunti a quelli di Strategic Reconnaissance e Hostages Release Operations che già conoscevamo.

  3. Un’aliquota di reparti Tier 2: incaricati di assolvere unicamente i compiti previsti dalla NATO e di supportare i reparti Tier 1;

  4. Un’aliquota di reparti Tier 3, di supporto alle operazioni speciali.

La descrizione sopra riportata, che deriva da una pubblicazione ufficiale a cui abbiamo già fatto riferimento14, fa già un po’ di chiarezza in un panorama nazionale abbastanza confuso e alimentato da storie, chiacchiere, siti internet di dubbia origine e dicerie che sviano da quella che invece è la realtà oggettiva. Ci riproponiamo tuttavia di analizzare in dettaglio la componente speciale nazionale in un prossimo articolo sperando di aggiornare tutti i lettori anche con dettagli che scaturiscono dalla novellizzazione di alcune direttive fondamentali del settore.

1 Le operazioni speciali sono quelle attività militari condotte da forze specificatamente organizzate, selezionate, addestrate, equipaggiate, motivate e dotate che usano tecniche peculiari e procedure innovative (si veda anche nostro articolo dedicato)

2 NATO SOF are strategic assets to be employed to help achieve strategic and specified operational level objectives (AJP 3.5)

3 SOF are commanded through a special operations component command (SOCC) which exist alongside other service or functional component commands with a joint staff to plan and direct special operations (AJP 3.5)

4 Esclusa la realtà degli USA, molto articolata e meritevole di considerazioni più approfondite, le forze speciali tout court di molti paesi strutturati rappresentano circa il 0,3- 0,4% del numero totale delle FA. Se invece si prende in considerazione il “comparto” ovvero si includono i supporti alle FS e i Comandi dedicati i numeri oscillano tra il 1,4% e il 2% del numero totale delle FA (in riferimento alle nazioni che dispongono di forze di polizia a ordinamento militare come gendarmeria, Guardia Civil, Koninklijke Marechaussee, carabinieri, ecc…, nel numerico delle FA non vengono inclusi tali organici in quanto dedicati principalmente e per statuto a compiti “interni”).

5

7 Signal Intelligence e Communication Intelligence

8 Additionally, USSOCOM will continue to work with the Services to secure priority access to local ranges and training areas reducing SOF’s need to “travel to train”. (…)

USSOCOM is forging a comprehensive leadership development program designed to train, educate, and manage the career paths of future SOF leaders. We will develop tailored SOF professional military education to provide the tools required for today’s complex environment, and will work with the Services to more effectively manage career progression of SOF leaders including key combined, joint and interagency assignments. “USSOCOM Posture statement 2012 - Adm. William H. McRaven”.

9 Although SOF often use sophisticated and unique methods and equipment, the key to success lies with the individual operator (AJP 3.5)

10 SOF personnel undergo a careful selection process and mission-specific training beyond basic military skills to achieve entry-level special operations skill (AJP 3.5)

11 “Tuttavia, si specifica che la citata “preferenza” ha il valore di “desiderata” e, pertanto, n_o_n_ _è _v_i_n_c_o_l_a_n_t_e_ _per la F.A. ai fini dell’assegnazione dell’aspirante alla successiva “Fase Formativa di Base Specialistica” precipua per ciascun reparto FS e, di conseguenza, al successivo impiego presso il relativo reparto FS. Di questa “preferenza”, infatti, si terrà conto subordinatamente all’applicazione del criterio meritocratico rappresentato dalla priorità di scelta in relazione alla posizione ricoperta dall’aspirante nella graduatoria di merito, suddivisa per categorie, redatta al termine del Corso OBOS, ferma restando la prioritaria applicazione del “Modulo di Alimentazione” stabilito annualmente dal DIPE in relazione carenze organiche dei reparti FS;”

Tratto da “DOMANDA DI ADESIONE ALL’ITER SELETTIVO E FORMATIVO PER OPERATORI DELLE FORZE SPECIALI” dell’Esercito Italiano.

12 North Atlantic Treaty Organization (NATO) special operations forces (SOF) are organized in a joint manner with land, maritime and air units from the troop-contributing nations (TCN)s, and other domain capabilities constituting a mission-specific special operations component (AJP 3.5)

13 Una sorta di lunga lista di capacità di cui l’Alleanza è carente e che viene richiesta alle varie nazioni contributrici.

14 “Direttiva per il potenziamento delle Forze Speciali” edizione 2018 citata durante l’audizione del comandante del COFS alla Commissione Difesa sul “trattamento economico dei corpi speciali delle Forze Armate” (https://webtv.camera.it/evento/17964).

Foto: Esercito Italiano / web / Difesa Online / web / U.S Army