La rivoluzione dei calibri e la riscoperta del 7,62 NATO

(di Tiziano Ciocchetti)
26/08/22

Con la vittoria, avvenuta a inizio anno, della Sig Sauer nella gara indetta dal U.S. Army per la Next Generation Squad Weapon (NGSW) - finalizzata a introdurre in servizio nuovi modelli di fucili d’assalto e di LMG (Light Machine Gun) - è stata presentata una nuova munizione in calibro 6,8x51 mm. La cartuccia (.277 Fury) ha un bossolo della stessa lunghezza del colpo NATO 7,62x51 mm (derivato dal .308 Winchester) e un proiettile da 135 grani.

Al momento non è ancora chiaro di come e quando l’Esercito intenda distribuire le nuove armi ai reparti, sembrerebbe comunque che le carabine M-4 in calibro 5,56x45 mm rimarranno ancora in servizio per un po’.

Da tempo il Pentagono era alla ricerca di un nuovo calibro per implementare la potenza di fuoco delle squadre di fanteria. In Afghanistan, con scenari operativi caratterizzati da ingaggi a lunghe distanze, la fanteria occidentale si è trovata in difficoltà (overmatch) nei confronti delle milizie talebane armate con armi ex sovietiche (principalmente AKM, RPK, RPD, PKM in calibro 7,62x39 mm e 7,62x54 mm). Tale situazione ha fatto si che il calibro 7,62x51 mm ritornasse prepotentemente in auge, non solo con le mitragliatrici d’accompagnamento.

Come mai il 7,62 era stato messo da parte, almeno per quanto riguardava i fucili d’assalto?

Uno studio analitico dei combattimenti di fanteria della Seconda Guerra Mondiale aveva rivelato che la maggior parte degli scontri a fuoco si erano svolti a distanze nettamente inferiori ai 400 metri, nonostante i soldati erano armati con fucili e munizioni in grado di ingaggiare un bersaglio fino a 2.000 metri di distanza.

I tedeschi furono i primi a intuire che, qualora un fante avesse potuto impiegare munizioni più leggere e meno potenti, efficaci soltanto all’effettiva distanza d’impiego, avrebbe potuto trasportare un numero maggiore di colpi, con un conseguente aumento del volume di fuoco erogato, grazie anche all’introduzione di armi munite di selettore di tiro. L’Esercito tedesco fece tesoro di tali considerazioni e presentò il fucile d’assalto (Sturmgewehr - foto) camerato per la cartuccia calibro 7,92x33 mm kurz. Il binomio fucile d’assalto e cartuccia depotenziata conferì al singolo fante tedesco, almeno nell’ultima fase del conflitto, un notevole incremento della potenza di fuoco grazie alla possibilità di sparare a raffica.

Da parte alleata non vennero presi alcuni accorgimenti, causa anche delle linee di produzione già impostate e delle enormi scorte ammassate. Lo sviluppo di nuovo munizionamento richiede tempo e ancora nel corso della Guerra di Corea (1950-53) la fanteria americana e quella alleata era ancora armata con modelli risalenti alla Seconda Guerra Mondiale (principalmente M-1 Garand, BAR, etc.).

Oltre cortina, invece, ci fu molto interesse per la caruccia kurz tedesca. I sovietici infatti realizzarono la munizione M43 in calibro 7,62x39 mm, per le carabine SKS e i fucili d’assalto Ak-47. Il risultato fu eccezionale, in quanto il colpo M43 riunisce in sé caratteristiche di forza d’urto e di effetti letali alle normali distanze di combattimento (100/200 metri), pur essendo compatta e munita di una carica piuttosto leggera per poterla impiegare con fucili d’assalto in grado di erogare fuoco automatico.

Anche gli inglesi cominciarono a sviluppare una nuova cartuccia per sostituire la loro antiquata 7,7 mm (.303), una munizione la cui carica di lancio era composta da cordite, propellente di scarsa efficacia, e che era orlata, caratteristica che ne rendeva poco pratico l’uso con le armi automatiche.

Dopo una serie di prove venne prodotta una nuova cartuccia con fondello scanalato (senza orlo), conosciuta come .280. In realtà si trattava di una .276, ovvero una 7x44 mm, creata per il nuovo fucile bullpup EM-2 (foto).

A questo punto entrò in ballo la politica. A nuova cartuccia inglese arrivò proprio quando si stava firmando il Patto Atlantico (1949), il quale conteneva una clausola in base alla quale tutte le nazioni facenti parte dell’Alleanza si obbligavano a impiegare, per quanto possibile, un programma di standardizzazione delle armi, nella cui lista delle priorità figuravano al primo posto le munizioni per armi leggere.

L’idea di usare la stessa cartuccia in tutta l’area NATO era certamente valida, tuttavia gli americani non provarono molta simpatia per la nuova munizione inglese da .280, in quanto la giudicarono scarsamente potente alle lunghe distanze.

La cartuccia impiegata dagli americani, a quel tempo, era la .30-06 (una 7,62x63 mm), considerata ormai obsoleta (risalente al 1906) e quindi matura per essere sostituita da una nuova. Ciò nonostante venne presa come riferimento per la fabbricazione di una nuova munizione. Mediante la riduzione della lunghezza del bossolo a 51 mm, sembrò che i progettisti fossero sulla strada giusta per produrre una cartuccia più corta, tuttavia la pallottola conservava, più o meno, lo stesso peso di prima, tanto che la carica di lancio faceva si che gli effetti generali fossero soltanto di poco inferiori a quelli della cartuccia .30-06.

Gli Stati Uniti adottarono la nuova munizione 7,62x51 mm nel 1952, ciò significò, in sostanza, che anche gli altri eserciti della NATO avrebbero dovuto fare lo stesso. Gli alleati si trovavano in condizioni finanziare, in seguito al conflitto, talmente disastrose da essere costretti ad accettare che fosse Washington a pagare le spese militari per la difesa dell’Europa per molti anni a venire.

Rimarrà il colpo NATO standard per molti anni. Negli anni ’60 lo U.S. Army (anche se le prime acquisizioni furono da parte dell’USAF) comincia ad introdurre in servizio l’ArmaLite AR-15 (M-16) in calibro 5,56x45 mm con palla da 55 grani. Le necessità della guerra nel sud-est asiatico comportavo l’impiego di un’arma leggera, in grado di erogare un elevato volume di fuoco. Le iniziali esperienze nella giungla non furono positive per la nuova munizione. Particolarmente grave si rivelò il problema degli inceppamenti delle armi: i primi lotti di munizioni distribuite alle truppe avevano una nuova carica propellente, differente da quella conosciuta con la sigla IMR (Improved Military Rifle), la quale bruciava in modo completo e pulito. La nuova carica, invece, conosciuta come polvere a granuli, introdotta in servizio nel 1954, venne impiegata per riempire i bossoli delle munizioni da 5,56 mm.

Quando queste munizioni giunsero ai reparti impegnati nella giungla del Vietnam cominciarono i guai in quanto, aggiungendosi alla mancanza di pulizia dei fucili M-16, i residui lasciati dalle nuove cartucce a polvere granulare formavano all’interno dell’arma un composto viscoso che, finché caldo, costituiva una pasta appiccicosa, una volta raffreddatosi si solidificava per la presenza di elementi di carbone, bloccando così il meccanismo di sparo del fucile (l’unico modo di sbloccarlo era quello di introdurre lungo l’anima della canna uno scovolino, operazione assai complessa in una situazione di combattimento).

Per quanto riguardava la balistica del colpo calibro 5,56x45 mm, invece, le perplessità erano indirizzate nei confronti della potenza: le piccole dimensioni del colpo fanno si che sul bersaglio venisse rilasciata pochissima energia cinetica, rispetto a un colpo di calibro maggiore. In pratica se l’avversario non veniva colpito in un punto vitale del corpo, oppure non colpiva un osso rimbalzando all’interno e creando così danni maggiori (anche se spesso il colpo si “ribalta” provocando una maggiore lacerazione dei tessuti) questi poteva continuare a combattere. Ecco perché agli inizi degli anni ’80 venne introdotto il nuovo colpo SS-109 (M-198) con palla da 62 grani.

Il nuovo colpo diede il via a una adozione di nuovi fucili d’assalto negli altri eserciti della NATO. L’Italia fu uno degli ultimi paesi ad adottare ufficialmente il calibro 5,56x45 NATO, nel 1992 con il sistema Beretta AR/SC/SCP-70/90 (foto).

Come abbiamo scritto all’inizio di questo articolo, la munizione 7,62x51 mm rimase comunque come calibro standard per i fucili di precisione e le mitragliatrici d’accompagnamento (nella metà degli anni ’90 lo SME ebbe l’assurda idea di ricalibrare le MG-42/59 in 5,56x45 mm, idea per fortuna rimasta solo allo stadio di prototipo).

Con la necessità di disporre di un colpo con prestazioni balistiche superiori al 5,56, venne largamente reintrodotto nelle squadre di fanteria i cd “fucili da battaglia” in calibro 7,62 (da pochi anni la fanteria italiana ha ricevuto il Beretta ARX-200). Da qualche anno, inoltre, lo USSOCOM ha scelto il calibro 6,5 Creedmor (6,5x49 mm) per i bolt-action in dotazione ai reparti speciali.

A nostro giudizio il 5,56x45 mm rimarrà ancora in servizio per molto tempo, al netto dei nuovi calibri (tra cui il 6,8x51 mm) il 7,62 sta conoscendo una nuova “giovinezza”.

Un fire team dovrebbe essere armato con un misto di armi leggere in calibro 5,56 mm e 7,62 mm, in modo da poter ingaggiare una molteplicità di bersagli.

Foto: SIG SAUER / YouTube / U.S. Army / Esercito Italiano