La riforma dello strumento terrestre russo

(di Francesco Cecchi)
28/02/22

La poderosa ed efficiente macchina bellica terrestre che oggi si sta imponendo nello scontro in Ucraina non è frutto del caso o di una tradizione militare storica della Russia, bensì di una chiara visione e decisione politico-amministrativa avuta e perseguita quasi ben 14 anni fa.

Per comprendere meglio i fattori di successo dello strumento terrestre russo che la portano, oggi, ad essere un ipotetico “near-peer adversary” dello U.S. Army come spessamente da loro indicato nelle pubblicazioni edite dalla “Army University Press”, è dunque opportuno ripercorrere i punti salienti che hanno portato alla creazione di questo efficacie strumento.

Nel 2008, a seguito degli enormi problemi gestionali e di impiego riscontarti sia nella 1^ che nella 2^ Guerra di Cecenia, (specialmente l’ultima non particolarmente felice per l’amministrazione Putin) l’attuale Federazione Russa decise di mettere in essere la più grande riforma dello strumento militare terrestre e dell’intera difesa dell’ultimo secolo (“Novyj Oblik” - “New look”), passando da uno sistema organizzativo mastodontico e poco professionale (molto corrotto) ereditato dall’ormai dissolta Unione Sovietica ad un’organizzazione decisamente più snella, professionale ed efficiente, che ad oggi, stando ai successi nei teatri in cui è stato impiegata (Siria, Crimea e forse Ucraina) risulta essere lo strumento privilegiato dall’amministrazione russa per ciò che concerne il perseguimento dei propri obiettivi di politica estera.

Se si volesse quantificare meramente numericamente la portata di questa riforma, basti pensare che agli inizi degli anni 90’ l’esercito russo era composto da una forza effettiva di circa 5.000.0000 unità (principalmente coscritti attivi in ferma biennale) ripartite in 1890 grandi unità elementari (divisioni) mentre ad oggi può contare su una forza effettiva di circa sole 755.000 unità (di cui 255.000 coscritti e 500.000 fra graduati/sottufficiali in servizio semi permanente ed ufficiali) suddivisi in appena 172 grandi unità.

Ma questa riforma, la quale è ancora parzialmente in atto, non ha solamente coinvolto l’aspetto quantitativo bensì ha riformato lo strumento terrestre a 360°, per alcuni versi (molto pochi dal punto di vista dottrinale e molti da quello gestionale-finanziario-organizzativo) occidentalizzandolo.

In pochissimi anni a partire dal 2008, dunque, si è operato congiuntamente su 4 diversi livelli:

“Personale” - rivedendo completamente la politica di arruolamento, passando da un esercito di coscritti in ferma biennale ad un esercito a reclutamento ibrido (35% di leva e 75% in servizio permanente / semi permanente) con la creazione di una nuova categoria, quella dei sottufficiali/graduati a contratto predeterminato (da 2/6/10 anni), i quali sono diventati il vero nerbo del nuovo esercito russo, altamente specializzati nei propri incarichi (raramente trasferibili o riqualificabili) non ricoprono quasi mai alcun incarico di comando (come da tradizione sovietica).

Di fatto i russi, nel corso degli anni 2000, hanno attentamente analizzato il modello di leadership diffusa utilizzato dagli eserciti occidentali e hanno deciso di non adottarlo, lasciando l’onere del comando (a tutti i livelli), alla sola categoria ufficiali, la quale seppur notevolmente ridotta risulta essere ancora, in percentuale, decisamente imponente se paragonata alle contro-parti occidentali. Basti pensare che attualmente nel solo esercito russo sono attive ben 10 accademie per ufficiali e il grado più inflazionato, cioè quello di tenente, conta circa 40.000 unità.

Pertanto, figure come staff sergeant (foto) americano o il maresciallo italiano sono completamente assenti e quel poco che si era creato dalla caduta dell’Unione Sovietica ai primi anni 2000, con questa riforma è stato totalmente cancellato.

“Riarricolazione ordinativa e costituzione delle forze” - si è deciso di accorciare notevolmente la catena di comando e controllo, passando da una catena a 4 gradi (distretto militare, armata, divisione, reggimento) ad una a 3 gradi (comando operativo strategico, gruppo d’armata, brigata), individuando coma grande unità di base la brigata anziché la divisione (diventando pertanto un sistema “brigato-centrico”), abolendo la dimensione reggimentale e favorendo l’impiego dei soli battaglioni, non intesi come unità bensì come sub-unità aventi una loro logica solo all’interno della brigata. Brigate che di fatto, al pari dei graduati/sottufficiali a contratto, sono il nerbo della riforma “Novyj Oblik” per ciò che concerne la riarticolazione ordinativa.

Seppure sin dalla 2^ Guerra Mondiale i russi siano sempre stati molto attenti al così detto concetto “combined-arms” con la costituzione di queste nuove unità ordinative (gruppo d’armata/brigata) si sono decisamente superati, lasciando, pressoché costante, un rapporto numerico di 3 unità di supporto al combattimento (fra artiglieria terrestre, artiglieria contraerei, genio, NBC, ecc.) per ogni unità di manovra presente sul terreno (fanteria/carri). Per cui ad oggi una brigata di manovra (tipo) russa, come quelle che si stando muovendo in territorio ucraino, verosimilmente si articola in sole 4 sub-unità di manovra (3 battaglioni carri e 1 battaglione di fanteria se la brigata è corrazzata o l’inverso se invece è motorizzata) ma con al seguito ben 12 sub-unità di supporto al combattimento (di prassi 3 gruppi d’artiglieria di cui 1 MLRS, 2 gruppi di artiglieria contraerea, 1 battaglione genio, 1 compagnia NBC, 1 battaglione esplorante, 1 battaglione acquisizione obiettivi e 1 compagnia tiratori scelti) per un totale di circa 5.000 uomini. Un rapporto di forze fra unità di manovra e supporto al combattimento che al momento in campo occidentale non ha pari e che permette alle brigate di manovra russe di essere completamente autonome.

Il passaggio alla struttura brigato-centrica, dunque, non solo ha semplificato il sistema di comando e controllo, rendendolo più aderente alle esigenze operative. ha, inoltre, "sgonfiato" (vedi la riduzione drastica delle grandi unità da 1890 a 172) un sistema di comandi oramai saturo e inefficace, svincolando così un ingente quantitativo di fondi che sono stati dirottati sull’aggiornamento dell’equipaggiamento e del parco veicoli, com’anche per la ricerca e lo sviluppo tecnologico in campo difesa.

“Rigenerazione del parco mezzi-materiali e costante sviluppo tecnologico” - grazie ai fondi ricavati dalla riorganizzazione ordinativa e avendo ereditato un’impressionante quantitativo di materiale, seppur obsoleto, dall'ex Unione Sovietica, l’amministrazione decise di rinnovare progressivamente tutto il parco mezzi e sistemi d’arma.

A differenza dell’approccio occidentale, quello russo però, ha previsto un rinnovo progressivo (grazie ai molteplici progetti di sviluppo) in contemporanea ad “un’upgrade” costante dei mezzi e materiali già in dotazione (con un minimo di dismissioni). Un esempio su tutti, sotto questo aspetto, risulta essere la situazione all’interno dei Battaglioni carri dove nonostante attualmente ci siano all’attivo ben 4 differenti tipologie di MBT (T72 - T80 - T90 - T14) e si stia lavorando alla massiccia entrata in linea dell’ avveniristico T-14 (figlio di un virtuoso programma di sviluppo), il grosso della flotta russa risulta essere costituito ancora dai T-72B i quali invece di essere progressivamente dismessi, in questi anni, sono stati oggetto di “un’aggiornamento” divenendo così dei T-72B3, che grazie ai loro circa 1.000 esemplari in servizio attivo, risultano essere la vera spina dorsale delle forze corrazzate russe.

Questo approccio ha dunque permesso di mantenere sempre elevatissimo il livello dei parchi sistema d’arma/veicoli/vaivoli, evitando qualsiasi isteresi dovuta ad un rinnovo massiccio e contemporaneo, come spesso avviene in occidente.

“Dottrina e addestramento” - a seguito della riforma del personale, dei livelli ordinativi e l’introduzione di nuovi sistemi d’arma (basti pensare agli UAV o GMLRS) e al generarsi di nuove dimensioni del combattimento (quella cyber su tutte), c’è stato anche un considerevole adeguamento dottrinale, il quale molto poco ha in comune con quello occidentale (viziato da 20 di guerra al terrorismo). Dal punto di vista dottrinale, infatti, principalmente i russi hanno mutuato la maggior parte dei principi storici della dottrina Sovietica (la più empirica ed esperienziale di tutte), attualizzandoli e modernizzandoli in base ai plausibili futuri contesti d’impiego, e operando la generazione di dottrine del tutto nuove per contesti fin ad ora non preventivati, basti pensare all’ottimo lavoro svolto nell’ambito dell’Hybrid Warfare dove ad oggi i russi risultano essere leader indiscussi.

Per ciò che concerne l’addestramento, invece, man mano che la riforma dava i suoi frutti questo (quasi mai simulato a mezzo apparati digitali) è stato notevolmente aumentato ed incentivato sotto un’ottica di totale sviluppo della capacità “combined arms” e di proiettabilità strategica. Esempio emblematico di quest’ultima caratteristica risulta essere la prassi che prevede che qualora un battaglione di fanteria debba prendere parte ad una attività addestrativa standard-routinaria di livello brigata questo sia costretto a percorre non meno di 1000 km, in piena autonomia logistica, prima di potersi dispiegarsi e condurre l’atto tattico.

Una visione strategica a medio termine, dunque, che la Federazione Russa ha avuto la forza e la volontà di concretizzare in brevissimo tempo, con estremo successo.

Riferimenti utilizzati per la stesura dell’articolo.

  • The Russian Way of War, Foreing Military Studies Office, Dr. Lestre W. Grau, Charles K. Bartles (ed.2017)

  • Fangs of the Lone Wolf, Dr. Lestre W. Grau (ed.2009)

  • TTR Russia TRADOC G-2 ACE Threats (luglio 2015)

  • Leasson Learned from Russo-Ukrain War, Personal observer Dr. Philips A. Karber. (luglio 2015)

​Foto: MoD Fed. Russa / YouTube / U.S: Army / UralVagonZavod