Ucraina e Federazione Russa concordano sul fatto che sia giunto il momento di fermarsi mentre il ciclone Trump si è alla fine abbattuto sulla guerra. Con le conversazioni telefoniche con Putin e Zelensky della settimana in corso, il neo eletto presidente statunitense ha in pratica dato avvio a quei colloqui di “pace” che aveva evocato durante la sua vittoriosa campagna elettorale. A dirla tutta aveva promesso di porre fine a quella sanguinosissima guerra in un giorno. In realtà per giungere a qualche accordo si dovranno attendere settimane se non mesi.
Ma a quali condizioni? Chi ha vinto?
Putin potrebbe dire di aver vinto se ottenesse tutti o la maggior parte degli obiettivi che aveva dichiarato sin da subito: caduta del Governo Zelensky, completa neutralità dell’Ucraina, annessione dei territori ucraini, corrispondenti a quattro regioni a nord della Crimea, alla Federazione per mettere appunto in sicurezza la penisola, fine delle sanzioni economiche. Per l’Ucraina si tratterebbe invece di riottenere tutti i territori occupati a partire dal 2014 da Mosca, essere libera di aderire all’Unione Europea e ottenere rassicurazioni sulla propria sicurezza entrando nella NATO.
Diciamo subito che difficilmente i due contendenti potranno raggiungere tutti quegli obiettivi dichiarati.
Entrambi hanno delle carte da giocare ma molte di quelle in mano agli ucraini dipendono dai suoi alleati. Inoltre Kyiv si trova, in questa fase del conflitto, in difensiva e continua ad essere attaccata su tutto il territorio.
Anche i russi hanno dei punti deboli, pur partendo a inizio negoziati da una posizione di vantaggio derivante dall’andamento attuale delle operazioni militari che la vedono con l’iniziativa in mano: non hanno conquistato interamente le quattro regioni meridionali ucraine, stanno perdendo ogni giorno centinaia di mezzi da combattimento e fino a mille soldati, non riescono a fermare gli attacchi sul suolo patrio da parte di droni e missili ucraini subendo la distruzione di molte raffinerie e depositi di carburante, patiscono per un’economia che presenta degli indicatori (dati ufficiali, che potrebbero essere anche peggiori) molto preoccupanti come l’inflazione che viaggia costantemente da mesi al 10% e i tassi di interesse oltre il 20%, solo per citarne alcuni.
Non sappiamo cosa produrranno i negoziati. Molto dipenderà dall’atteggiamento statunitense che ha in mano due carte importanti con le quali esercitare pressioni pesantissime su entrambi.
Nei confronti dell’Ucraina potrebbe porre fine al supporto militare e impedire almeno temporaneamente, come già affermato da diversi esponenti statunitensi, la sua adesione alla NATO. Sulla Russia invece potrebbe far pesare, al contrario, una eventuale prosecuzione degli aiuti a Kyiv (anche se non gratuiti ricevendo come contropartita le sue terre rare) oppure l’inasprimento delle sanzioni economiche.
Sarà una vera pace?
Tutti chiedono una intesa che porti ad una pace duratura, ma ciò significherebbe accettare dei compromessi pesantissimi che né l’Ucraina né gli oligarchi russi accetterebbero di buon grado. Pertanto è più probabile che si giunga ad un armistizio, lasciando a tempi futuri gli accordi relativi ai territori conquistati dalla Federazione Russa (che erano, e per il diritto internazionale rimangono, ucraini). Non è neanche da escludere che si continui a combattere.
E l’Europa?
L’Unione Europea, essenzialmente a causa della sua struttura della Governance attuale che consente anche ai Paesi più piccoli di porre veti, sta attraversando un periodo di debolezza intrinseca.
Per superare questa impasse e bilanciare la nuova politica assertiva statunitense, i governi di Francia, Germania, Italia, Spagna, Polonia e Regno Unito, in questi giorni hanno sottoscritto, unitamente all’Alta rappresentante per gli affari esteri e sicurezza dell’Unione Europea, una dichiarazione (Weimar Statement) con la quale affermano di essere pronti a rafforzare il loro sostegno all’Ucraina, impegnandosi per la sua indipendenza, sovranità e integrità territoriale di fronte alla guerra di aggressione della Russia.
L’obiettivo, secondo questi Paesi, è raggiungere una pace giusta, completa e duratura che garantisca gli interessi dell’Ucraina ed i loro. Inoltre chiedono che l’Europa partecipi a qualsiasi negoziato e che all’Ucraina siano fornite forti garanzie di sicurezza, condizione che considerano necessaria per la stessa sicurezza transatlantica.
Si tratta di una dichiarazione forte, in un certo senso inaspettata, che tenta di riportare l’Europa tra i protagonisti dei giochi in atto.
Passare dalle parole ai fatti sarà la vera sfida dell’Europa.
Zelensky aveva chiesto ai suoi alleati 200 mila soldati per fornire all’Ucraina le necessarie rassicurazioni in caso di congelamento del conflitto. Gli USA hanno dichiarato che non avrebbero schierato truppe in Ucraina e che l’adesione di Kyiv alla NATO non è al momento ipotizzabile. A questo punto qualcun altro deve assumersi l’onere e non può essere che l’Europa, possibilmente l’Unione Europea. Ma se non si riuscisse a raggiungere un’intesa tra i suoi paesi membri, potrebbe essere avviata un’iniziativa da parte di una coalizione di volenterosi come appunto quella del formato Weimar Plus.
A dire il vero 200 mila soldati sembra una cifra esagerata oltre che non sostenibile nel tempo. Esiste già l’esercito ucraino, in difficoltà ma non battuto, che in caso di cessazione delle ostilità potrebbe essere ridotto anche della metà degli effettivi portandoli a 150 mila soldati.
L’aggiunta di altri 40-50 mila soldati da parte degli alleati potrebbe essere sufficiente ad assicurare la necessaria deterrenza. Si tratterebbe di schierare in maniera permanente due o tre divisioni con alle dipendenze tre brigate più i supporti al combattimento e logistici. In caso di necessità, tali forze dovranno essere raddoppiate schierando eventualmente uno o due corpi d’armata.
Ci sono? L’Italia dispone di un comando di corpo d’armata (NRDC-IT), tre divisioni e una decina di brigate, con un totale di 60-70 mila soldati dell’area operativa. Fermo restando che gli impegni NATO e ONU in atto si dovranno continuare a soddisfare (in particolare con il comando NRDC-IT, una divisione e almeno tre brigate) rimarrebbe comunque disponibile un numero sufficiente di comandi idonei a soddisfare, insieme agli altri alleati, la nuova esigenza in Ucraina. Qualche problema potrà nascere in Italia dalla disponibilità di soldati, stante gli attuali impegni anche sul territorio nazionale con “Strade Sicure”. Da qui la richiesta del capo di SME di incrementare il numero del personale dell’Esercito di alcune migliaia di unità oltre alla necessità di avviare la costituzione di una riserva operativa.
È il momento dell’Europa (o di parte di essa) che insieme alla Gran Bretagna deve farsi sentire sui tavoli internazionali in un periodo storico che vede attori globali e regionali sempre più assertivi e bramosi di seguire un’agenda espansionistica condita da forte egoismo. L’inazione europea potrebbe portare il nostro continente all’irrilevanza e al declino. Dovremmo evitarlo affrontando con coraggio oneri e rischi.
Foto: ministero degli Affari Esteri dell'Ucraina / autore / X