La Grecia e il dilemma navale europeo: pragmatismo italiano, ambizioni francesi o pressioni americane?

(di Gian Carlo Poddighe)
20/05/25

Gli ultimi anni hanno visto la Grecia al centro di un duplice conflitto sul mare: uno tipicamente navale, la scelta e la fornitura (con o senza costruzione locale) di nuove unità per la Marina ellenica, l’altro tipicamente strategico, la penetrazione cinese, a livello di porti e logistica, meno avvertito ma forse ancora più rilevante del tradizionale “conflitto in sospeso” con la Turchia.

Il primo conflitto ha avuto tre protagonisti, Italia, Francia, Stati uniti, e dopo una conclusione di forza (e di scarso consenso) si ripresenta oggi, in fondo con gli stessi attori ed in una nuova ottica, sia locale che strategica.

Il secondo malgrado la sua gravità è passato in secondo piano (nonostante la prossimità delle elezioni, anche per le implicazioni sociali ed occupazionali).

La Grecia non sarà un attore primario a livello di potere navale, ma ha un notevole peso sulla marittimità e la sicurezza dell’occidente: ha una grande flotta mercantile, maggiore di quelle di paesi di primo rango, compresi gli USA, con un ruolo fondamentale per la sicurezza energetica (anche se la “condotta” di molti armatori greci è stata ed è ambigua, per esempio nel caso delle sanzioni alla Russia). Marittimità anche come infrastrutture, terminali e corridoio balcanico.

La politica estera, quella militare ed in particolare quella navale, sono condizionate dal mai sopito confronto con la Turchia, con posizioni ambigue da parte di quest’ultima che impongono spesso mosse contradditorie ai partner occidentali (ed in particolare europei).

Le sfide poste dalla Turchia (con la sua crescente “autonomia” dalla NATO, le sue ambizioni non solo regionali e non sempre in sintonia) non sono solo un problema greco ma riguardano tutti i partner europei e soprattutto quelli mediterranei.

In questo momento, più che mai, la cooperazione tra Francia, Italia e Grecia non dovrebbe essere una forzatura, una momentanea composizione di una rivalità commerciale che continua a covare sotto la cenere e mina i risultati, ma una responsabilità condivisa nel mantenimento della stabilità regionale.

È in questo contesto che gli accordi di difesa tripartiti devono assumere pieno significato; per limitarsi agli aspetti industriali una maggiore integrazione logistica consentirebbero un'interoperabilità europea più fluida e credibile. Ciò rafforzerebbe la capacità di deterrenza regionale e affermerebbe la maturità strategica dell'Europa di fronte agli attori esterni.

Il caso greco ha portato alla ribalta non solo una opzione ma per la prima volta una scelta italiana “trivalente”: quella dell’immediata cessione di unità pienamente operative (rifuggendo dalla poco elegante se non malevola definizione di “usato strategico”).

La scelta trivalente (politica/industriale/militare quale scelta dell’efficienza) era stata la carta strategica vincente della Royal Navy tra gli anni ‘60 e ‘70 che aveva avvantaggiato l’industria britannica ma anche la stessa Marina sul mercato mondiale nel momento in cui si dovevano sostituire i “residuati” della 2^GM che caratterizzavano le Marine medie e minori dell’epoca.

Per Roma è una lezione di pragmatismo: cedere unità in perfetta efficienza è utile anche per limitare l’usura del personale (la risorsa al momento più critica), è certamente meglio che affrontare i costi di refitting (sempre maggiori della costruzione), è meglio che mantenerlo in banchina o in attività ridotta per motivi di Soft Power.

Questi problemi si riflettono nella delicata partita mediterranea in quanto (è inutile negarlo) Italia e Grecia condizionano enormi interessi economici e strategici, l’accesso sud della UE: con la stessa logica ed altrettanta evidenza una possibile maggiore sintonia tra i due paesi potrebbe non piacere a molti “alleati” nel Mediterraneo e in Europa.

La Grecia non solo si sta armando, ma deve farlo e doveva farlo da molto tempo; insieme all’Italia può avere un ruolo di playmaker e contenimento nella politica mediorientale e nordafricana, oltre ad avere un ruolo nella gestione energetica ed essere, potenzialmente anche una fonte energetica dove già incidono investimenti italiani, settore ancora condizionato da costi eccessivi nell’off-shore, oggetto di contese con la vicina Turchia.

La Grecia ha l’esigenza si essere militarmente credibile, subito, e potenzialmente credibile a breve/medio termine, come paese, per i propri interessi, e come alleato per la condivisione delle responsabilità: questo rientra negli interessi sia dell’Italia che della Francia. La Grecia per essere credibile anche come politica confinaria e interna – per tentare di reggere il passo con la Turchia, che ha fatto passi da gigante nella cantieristica – deve adottare un programma a breve termine, del subito e non del domani.

Il piano di modernizzazione della Marina, dopo molte “oscillazioni”, era basato su tre (eventualmente quattro) nuove fregate derivate dalle TDI francesi (versione per esportazione o tipo Belharra) e sull'aggiornamento di mezza vita tanto di quattro fregate MEKO 200 HN quanto di quattro sottomarini di classe Papanikolis, e pertanto non consente di rispondere nei tempi necessari alle attuali sfide strategiche nell'Egeo e nel Mediterraneo orientale. Questo era già evidente, riconosciuto e dibattuto pubblicamente a gennaio 2024, quando ha cominciato a farsi strada la possibile acquisizione di ulteriori fregate multiruolo per sostituire le vecchie unità classe S (foto); un’ipotesi trasformata in una proposta politica, con la richiesta urgente di nuove fregate multiruolo, con spiccate capacità di difesa aerea, da costruire in Grecia (con la contraddizione di passare dall’urgenza nuovamente a tempi lunghi).

Un quadro che ha inevitabilmente riportato all’ipotesi del ricorso all’usato, unità di superficie di dislocamento contenuto, programma soggetto a ricerca, ispezione e valutazione dei costi.

Nessuna risposta formale da parte governativa a questa ulteriore ipotesi della Marina ellenica, con l’ulteriore variabile, certamente non a tempi ridotti, del programma della futura corvetta europea rimasto in sospeso dalla fine del 2022, con la giustificazione della ridefinizione delle disponibilità e priorità del bilancio.

In effetti sullo scenario ha sempre giocato una forte presenza di interessi statunitensi, con la ventilata possibilità di finanziamenti USA e accordi bilaterale di favore (simili ad altri che hanno caratterizzato altre componenti delle FF.AA) quale condizione per la fattibilità del piano: la prima opzione, un po’ “leonina” prospettava la cessione 4-6 unità LCS tipo Freedom (foto) dagli Stati Uniti, unita costosissime e “difficili”, a cui la Grecia, a fronte di problemi universalmente noti, opponeva la doppia condizione della risoluzione dei problemi di propulsione e della cessione a “valore zero”, salvo i costi del refitting con armi e sistemi appropriati, comunque significativi.

Un'opzione lungamente dibattuta, che come parte in causa (anche se indiretta) condizionava le azioni commerciali dirette dell’Italiana Fincantieri.

Un’opzione insostenibile che - una volta scartata - ha aperto la strada a due percorsi, uno dei quali sempre in ottica di rapporto diretto e previlegiato con gli USA: il primo percorso era (è?) l’adesione al programma FFG-62 della U.S. Navy (classe Constellation), in un’ottica di costruzione “anche” in Grecia.

Quasi un sogno (nel momento della formulazione, oggi meno velleitaria, seppur a futuro), sia per l’indefinizione ed i ritardi accumulati dal programma negli USA sia per la complessità dell’iter legislativo di ambedue le parti e le normative e condizioni contrattuali statunitensi; una presa di coscienza che ha spinto la Marina ellenica a sviluppare un'alternativa, il secondo percorso: procurarsi fregate FREMM direttamente da Fincantieri in una configurazione personalizzata che rispecchi i sistemi statunitensi per garantire interoperabilità e sostenibilità con gli stessi.

Questo concetto, descritto come FREMM "ellenizzata" o "americanizzata", includerebbe armi statunitensi e sistemi di missione in un’ipotesi di costruzione nazionale, sfruttando le partnership esistenti tra Fincantieri e ONEX presso i cantieri navali Elefsis, supportati dagli Stati Uniti (DFC, Società finanziaria internazionale per lo sviluppo).

Ipotesi sovrapposte, ciascuna con una propria sostenibilità (e probabilità) che hanno come sfondo le divergenze di lunga data negli sforzi di rinnovamento navale della Grecia: un tema ricorrente, come soluzione ponte, o interim, (oltre al 4+4 rappresentato da 4 nuove fregate, oggi le FDI, ed il refitting delle MEKO) è sempre stato quello di quattro nuove corvette o unità “usate”.

È in questo groviglio di possibilità, interessi e scarse probabilità, ma anche di reali necessità che viene ad inserirsi la diretta offerta italiana di FREMM non radiate ma in servizio: è la prima proposta straniera specifica e praticabile in questo più ampio sforzo per sostituire le unità di superficie ancora in servizio e troppo datate.

Non solo l’offerta di queste navi offre soluzioni immediate e capacità all’altezza dei desiderata, ma se la Grecia adottasse questo percorso non solo rispondererebbe all'utilità militare, ma potrebbe continuare – a medio termine – ad accarezzare l’idea di un successivo accordo con gli USA per l’adesione al programma “Constellation”, oggi magari facilitato da un quadro di compensazioni industriali.

Questo diverrebbe il programma principale, di sviluppo e consolidamento a lungo termine, ed il programma 4+4, contrariamente all’impostazione, rimarrebbe un programma complementare, intermedio.

Un’altalena di opzioni e decisioni con molte variabili che apre a più di un interrogativo strategico: molti analisti si sono chiesti quanto Atene sia veramente disposta a impiegare queste navi per difendere i suoi interessi in regioni come il Mediterraneo orientale, in particolare per quanto riguarda le tensioni che circondano la zona economica esclusiva (ZEE) di Cipro.

I trascorsi di mancanza di risposta militare alle azioni navali turche nella regione hanno sollevato dubbi sulla volontà della Grecia di proiettare il potere oltre l'Egeo, anche disponendo di adeguate risorse navali.

Dubbi e critiche che riguardano anche l’altalena dei piani navali greci, comprese l’archiviazione delle costruzioni nazionali, come il programma ALS, dando invece priorità a progetti stranieri molto più costosi, perdendo tempo ed occasioni proprio quando la Turchia ha saputo potenziare non solo la propria flotta ma letteralmente costruire una propria solida base industriale.

La Turchia ha concentrato notevoli investimenti sulle industrie della difesa nazionale, cantieristica compresa, dimostrazione di una pianificazione strategica a lungo termine, qualcosa che molti sostengono sia mancato alla Grecia.

Le trattative tra Grecia ed Italia degli ultimissimi tempi, evidenza di un rapporto riservato solido e duraturo, hanno (inutilmente) innescato una dura polemica tra Francia ed Italia, ma dietro la cronaca c’è un negoziato che svela strategie molto più profonde in un contesto ben più complesso di quello che molti credono si possa risolvere semplicemente dicendo “no” a una vendita come quella delle due FREMM.

Va tenuto conto anche del “fattore politico” contingente, visto che le unità italiane potrebbero essere consegnate in pochi mesi, fattore sensibile per il governo greco che sta perdendo consensi con l’avvicinarsi delle elezioni.

Immagine e condizioni economiche che giustificano un’eventuale rapida decisione dello stesso governo, visto un prezzo noto e molto difficile da rifiutare (formalizzato a marzo 2025); tra l’indifferenza dei media italiani il tema è ormai da diverse settimane al centro dell’attenzione della stampa ellenica, superando persino il clamore di altre vicende artificiosamente gonfiato da alcuni settori.

Le trattative son talmente avanzate che sono già state identificate le unità da cedere, Carlo Bergamini e Virginio Fasan - entrambe operative nella M.M. dal 2013, ed è stato definito ed esposto il valore della cessione, 300 milioni di euro ciascuna (meno della metà del prezzo base delle unità francesi in ordine).

Una notizia che ha creato malumore in Francia, con Naval Group che stava prospettando alla Grecia l’ordine di una quarta fregata FDI e la possibile costruzione locale di ulteriori tre unità: da parte francese l’offerta italiana è stata vista come concreta minaccia in un mercato che ritenevano di dominare con la forma della partnership strategica.

Non si è trattato di una mossa italiana, ma del risultato di una vicinanza e di un’intesa gradita alla Grecia, sia politicamente che militarmente, d’altra parte una mossa greca non configurabile come un tradimento, una violazione dei patti con la Francia.

La Grecia sembra voler rispondere con pragmatismo all’urgenza operativa: la Marina ellenica non può permettersi di attendere il 2028 per la prima nave e forse altri cinque anni per l’operatività di tutta la fornitura.

Molto discutibile la campagna mediatica immediatamente scatenata circa la potenzialità e le differenze tra i due tipi di unità: anche se rimane da dimostrare quanto e con quale incidenza, solo per l’età le fregate FDI francesi (immagine) possono risultare più avanzate, più letali (?), più digitalizzate, ma hanno uno svantaggio incolmabile: non sono ancora né pronte né provate.

Le FREMM italiane invece sono operative, armate, disponibili subito, ma anche e certamente più abitabili; non solo ancora con margini di crescita, ma consone e possibile raccordo con gli obiettivi a lungo termine della Marina greca, sia che questa si orienti verso una maggiore intesa con gli Stati Uniti sia che decida di mantenere la rotta dell’asse preferenziale con la Francia.

Sono pronte, subito: questo è il punto. La Grecia sta compensando un vuoto temporale (non solo di consegna ma anche di integrazione di sistemi e strutture che va ben al di là delle date annunciate) con l’unica offerta concreta disponibile al momento.

Di fronte alla possibilità di rispondere alle necessità della Grecia, l’Italia non si è limitata a dire sì: ha colto l’occasione per dimostrare che il potere marittimo si misura anche nella capacità di agire in tempo reale e che questa compensazione tra alleati può essere un modello applicabile a tutta la difesa europea, di cui tanto si parla e poco si capisce (e meno si agisce).

Da un punto di vista più strategico, l'offerta italiana dimostra come sia possibile rafforzare le sinergie della difesa europea, nel cui ambito occorre essere sempre più capaci di agire con agilità e solidarietà di fronte alle sfide comuni alla sicurezza.

La capacità dell'Italia di cedere rapidamente due fregate operative non esclude né minimizza il progresso tecnologico della fornitura francese ma contribuisce a formare una base coerente per una difesa europea più reattiva. Invece di considerare l'accordo sulle FREMM italiane come una battuta d'arresto, la Francia farebbe bene ad accoglierlo come un segnale positivo: è la dimostrazione di un possibile percorso verso un sistema di difesa europeo che richiede maturazione, capacità di reagire in modo flessibile e concertato alle minacce comuni. Si tratta di evoluzione strategica, non di regressione.

Concludendo: una visione pacata ed obbiettiva dovrebbe riconoscere come la cessione di queste unità sia espressione della strategia dell’influenza.

Cedere, a condizioni di favore, unità operative (non è il caso di usare il termine un po’ dispregiativo di “usato sicuro”) ad alleati, fidati significa bloccare l’ingresso di fornitori/attori extra UE ed extra occidentali (ed in Grecia il pericolo è latente), oltre a consolidare forme di integrazione che hanno cicli almeno decennali, ed in Mediterraneo abbiamo bisogno di rapporti affidabili e sicuri.

Immagini: Marina Militare / Türk Silahlı Kuvvetleri / Hellenic Navy / presidenza del consiglio dei ministri / Naval Group