Come scritto dal generale Carlo Jean nel suo manuale di geopolitica, la “competitività geoeconomica” degli Stati nel sistema internazionale si realizza con misure di “colbertismo hi-tech” e con lo sfruttamento delle “nicchie in cui si possano modificare a proprio vantaggio le regole della concorrenza leale e della libertà di commercio”. Parimenti, il professor Marco Doria nei suoi lavoro dedicato all’industrializzazione ligure a cavallo tra ‘800 e ‘900 e alla storia dell’Ansaldo ha evidenziato come l’idea di dotare l’Italia di una forte base industriale attraverso le politiche protezioniste, fosse per la Sinistra storica prodromica alla trasformazione del Paese in una grande potenza.
Questi due esempi non corrispondono a come oggi gli Stati Uniti gestiscono, ad esempio, il settore della cantieristica commerciale. È dottrina consolidata della U.S. Navy l’idea che la Marina mercantile statunitense debba fungere da forza ausiliaria e di supporto alla flotta militare in caso di conflitto aperto. Proprio dagli ambienti della U.S. Navy e degli organi accademici e pubblicisti ad essi collegati sta emergendo una critica molto forte al rigido protezionismo che governa la produzione e l’attività in mare del naviglio mercantile americano.
Sia Biden che Trump hanno riconosciuto il predominio della flotta mercantile cinese – pensata, proprio come quella americana, per essere a “duplice uso” – ed anche per questo è stato emanato il nuovo SHIPS for America Act che, tuttavia, non cancellando le tariffe protezioniste e, soprattutto, non annullando gli effetti del Merchant Marine Act del 1920 (noto anche come "Jones Act"), è apparso ai critici liberisti come estremamente limitato. La crisi della cantieristica americana è anche una crisi strategica del Paese. Basti pensare che nel 1960 la flotta commerciale americana (esclusa la flotta di riserva) era composta da 2.926 navi di oltre 1.000 tonnellate di portata lorda, tra cui petroliere, navi da carico e portacontainer per veicoli roll-on/roll-off. Oggi ce ne sono solo 185. La Cina, al contrario, nel 2024 poteva contare su 9.222 navi di quelle dimensioni nella sua flotta commerciale, mentre il Regno Unito poteva vantarne 1.054.
I regolamenti sul “cargo preference” che imbrigliano la marina mercantile statunitense non giovano neanche alla produzione ed all’appetibilità di mercato delle navi nazionali, con un settore che non è soggetto a una sana concorrenza, con l’aumento dei prezzi per il trasporto merci via acqua, il che a sua volta fa scendere la domanda, portando ad un aumento dei costi unitari per le navi costruite negli Stati Uniti. I sostenitori del protezionismo “temperato” chiedono di replicare quanto fatto subito dopo la Prima guerra mondiale con il Jones Act per rafforzare la produzione, ma questo non risolverebbe, comunque, il problema del mancato “salto tecnologico” in avanti e della competitività dell’intero settore.
Dai liberisti la “cargo preference” viene individuata come una delle cause principali alla drastica riduzione nei numeri e nella qualità della flotta mercantile americana. Un esempio interessante di come i settori strategici non sempre siano giovati da misure protezionistiche. Solitamente si tende a proteggere i settori strategici attraverso interventi pubblici diretti, adottando politiche “vincoliste”, ma il caso della marina mercantile di Washington, così come le proteste di Nvidia nei confronti delle restrizioni sull’export di microchip imposte dall’amministrazione Biden (che Trump ha subito rafforzato), lasciano pensare che, sotto il profilo squisitamente geoeconomico, dunque strategico, a volte sia più opportuno affidarsi alla “mano invisibile” che non a scelte politico-economico estremamente protettive.
Il caso DeepSeek è emblematico da questo punto di vista, dove l’azienda cinese ha utilizzato dei microprocessori inferiori, non avendo accesso a quelli più potenti prodotti negli Stati Uniti, con una differenza sostanziale tra i 5,6 milioni di dollari che ha speso DeepSeek per il modello R1-Zero e i 100 milioni di dollari stimati per lo stesso modello prodotto da un’impresa americana. La costruzione di oligopoli o sistemi concorrenziali imperfetti può avere ricadute pericolose anche per quei settori dell’economia di solito agganciati alla sicurezza nazionale o che hanno dirette ricadute su di essa, sempre più oggetto di misure protezionistiche.
Foto: U.S. Navy