Il pericolo delle mine navali nei mari orientali: arma strategica del III millennio

(di Andrea Mucedola)
03/05/21

Nelle fasi finali della Guerra del Pacifico, gli strateghi militari americani combinarono ingegnosamente due sistemi d’arma, il bombardiere a lungo raggio B-29 e le mine navali per devastare l’economia giapponese ed il morale giapponese. Molti pensano che, se non fosse stato per i tempi in gioco, sarebbero bastate solo queste ultime per evitare l’uso delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. L’operazione di posa di migliaia di mine nel Pacifico fu chiamata non a caso Operation Starvation (Operazione "Affamamento").

L’efficacia di queste armi silenziose e infide, erroneamente sottovalutate nelle sale di pianificazione degli Stato Maggiore, venne dimostrata anche in guerra fredda.

Un evento eclatante avvenne durante la guerra di Corea, quando le mine deposte dalla Corea del Nord nella baia di Wonsan ritardarono lo sbarco delle forze statunitensi che avrebbe accorciato una guerra che si rivelò poi sanguinosa e dolorosa per la popolazione. I vetusti mezzi disponibili si dimostrarono non adeguati, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, per operare in un simile scenario. Di conseguenza, l’impervietà dei campi minati, con oltre 2.000 mine di fabbricazione russa (anche se risalenti alla Prima Guerra Mondiale), comportò un ritardo dello sbarco di otto giorni.

Strategicamente fu un disastro perché permise la ritirata delle forze nord coreane facendo fallire il piano di accerchiamento del generale McArthur.

Il Comandante delle Forze Navali dell’Estremo Oriente, l’ammiraglio Turner, dichiarò che la maggiore lezione acquisita durante tale operazione era che la Guerra di Mine, considerata da molti una forma di lotta secondaria, si era rivelata determinante ed in futuro non doveva essere più rilegata ad un ruolo secondario. Gli echi del fallimento di Wonsan, fecero dichiarare al Capo delle Operazioni Navali (CNO), l’Ammiraglio Sherman che: “When you can’t go where you want to, when you want to, you haven’t got command of sea … ”. Un’affermazione importante che fu però dimenticata presto. Più recentemente il blocco del canale di Suez del 1984 e le mine di agosto, rilasciate a Hormuz, per interrompere il traffico mercantile dal Golfo Persico, richiamarono l’attenzione su questa minaccia. Questi eventi avrebbero dovuto creare una mentalità più consapevole nelle Marine sul rischio associato queste armi letali e di poco costo, ma ancora una volta ciò non avvenne.

I danni alla USS Tripoli

Durante la Guerra del Golfo, due navi della Marina americana, la USS Tripoli (foto) e la USS Princeton, furono entrambe gravemente danneggiate da delle mine irachene (tra l’altro non particolarmente sofisticate).

Sebbene in campo NATO molte Marine occidentali svilupparono le lezioni apprese, l’impegno finanziario per acquisire nuovi sistemi fu discontinuo e la minaccia delle mine marine, sebbene responsabile del maggior numero di affondamenti nella storia di questi ultimi tre secoli, non sono tuttora valutate nelle priorità delle Marine militari come dovrebbero. Valutazione discutibile considerando che in questi ultimi anni sono aumentate le aree di instabilità marittima in zone sensibili per il traffico commerciale che possono far prevedere l’impiego di ordigni subacquei anche da parti di fazioni non regolari (v. immagine sotto).

(Esempio recente le mine fatte in casa dagli Houthi nello stretto di Bab al Mandab)

Impiego di mine navali in un ipotetico futuro scenario orientale

Una minaccia che richiede di investire in nuovi sistemi di contromisure mine impiegati da personale dedicato e addestrato. Se in campo occidentale alcune Marine concentrano le loro poche risorse sulle unità di altura, altri Paesi “emergenti” stanno investendo nel campo della guerra di mine. Ad esempio, Russia, Corea e Cina considerano questa minaccia un’alternativa appetibile in caso di crisi, sia con funzioni di deterrenza che offensive.

Oggi affrontiamo un ipotetico caso di un futuro confronto militare tra Cina e Stati Uniti. Nella concezione cinese della guerra navale le mine navali hanno una grande importanza. Non a caso i moderni sottomarini del Dragone rosso possono essere dotati di moderni sistemi per la posa occulta di mine che hanno aumentato il carico utile di questi ordigni del doppio. Sebbene la Marina cinese potrebbe nei prossimi anni raggiungere un livello offensivo preoccupante, grazie alla costruzione di unità navali e subacquee sempre più moderne, uno scontro navale sarebbe poco probabile. Al contrario l’impiego di azioni di disturbo o coercizione con mezzi occulti come le mine navali appaiono più fattibili.

La facilità di posa di mine navali in maniera occulta consentirebbe ai Cinesi di colpire la “costola morbida” dell’America con la strategia di “破 交” [attaccare i nodi di trasporto], ovvero interdire le rotte commerciali essenziali per la sopravvivenza economica. Un sottomarino potrebbe occultamente rilasciare un campo minato con oltre 50 mine, causando la chiusura di porti e delle vie marittime sensibili per molto tempo.

Non parliamo di fantascienza, le fonti aperte riportano questo uso in tempi moderni: in Vietnam nella baia di Haiphong nel 1973 o durante le operazioni occulte della CIA in Nicaragua nel 1984 che vide il primo uso navale non convenzionale di ordigni rudimentali, quelli che oggi chiamiamo IED.

L’aculeo dello scorpione cinese

I leader cinesi hanno compreso che la Cina non potrà mai diventare una potenza marittima finché non sarà in grado di difendere la sua sovranità nei suoi interessi marittimi, gestendo ciò che definisce il “contenimento dal mare”.

Nel numero di agosto 2015 della rivista navale 现代 舰船 (Modern Ships) venne citato un articolo dell’Università nazionale cinese per la difesa, che prospettava un blocco cinese di Taiwan utilizzando delle mine navali. Il piano cinese prevedeva una prima fase della durata di 4-6 giorni con l’impiego di 5.000-7.000 mine, seguito da una seconda fase con la posa di ulteriori 7.000, sempre rilasciate con mezzi navali e aerei "… allo scopo di bloccare l’intervento nemico straniero, navi cinesi, sottomarini e alcuni pescherecci avrebbero bisogno di posare una certa quantità di mine marine in passaggi marittimi critici della prima catena di isole."

Per chi volesse approfondire, il potenziale delle forze di guerra di mine cinesi è ampiamente descritto nel rapporto del U.S. Naval College “Chinese Mine Warfare: A PLA Navy ‘Assassin Assassin’s Mace’ Capability del 2009, che denunciava che già all’epoca la marina cinese poteva contare su oltre 100.000 mine.

Da un punto di vista oceanografico il mar cinese meridionale si presta particolarmente alla posa di campi minati grazie a fondali relativamente bassi, e consente l’interdizione dei choke point e l’interdizione di vaste aree di interesse geopolitico (lungo la 9 dash line). La minaccia di mine navali nei mari orientali è quindi da considerarsi altamente probabile.

Per contrastare una possibile minaccia di questo tipo sarà necessario intraprendere nuovi programmi di sviluppo di mezzi per le contromisure mine. Questo è particolarmente necessario da parte della U.S. Navy, se non altro per proteggere i futuri assetti strategici navali che potrebbero raggiungere il numero di 308 navi nel 2021 con un picco di circa 313 navi nel 2025.

La nuova policy della U.S. Navy

Ricordo che la nuova politica statunitense di costruzioni navali di fatto va a contrastare le precedenti policy della Difesa, sempre molto “land centric” ed attendiste. Il concetto di potere marittimo globale necessita di mezzi adeguati ridislocati in tutti gli Oceani cosa che, gli Stati Uniti, hanno trascurato, in termini di efficienza e addestramento, negli ultimi decenni con una sempre minore attenzione alle necessità della Flotta per favorire necessità terrestri ed aeronautiche non sempre giustificabili. Questa politica, che forse raggiunse la sua apoteosi con Obama, portò di fatto al decadimento della flotta.

La situazione incominciò a cambiare con Trump, che riavviò la costruzione navale considerandola una priorità assoluta per continuare a “fornire la misura della sicurezza e della potenza marittima di proiezione richiesta alle forze navali nei decenni a venire“.

Biden sembra concordare su questa linea, ed ha approvato i piani del segretario della difesa Lloyd Austin per “rivedere sia il Future Naval Force Study che il piano di costruzione navale in dettaglio e lavorare con la leadership della Marina per sviluppare un piano di costruzione navale ben calibrato“, espandendo anche i dettagli per meglio valutare "i rischi futuri nello svolgimento delle missioni assegnate e nel supportare i requisiti della forza congiunta e lavorare con la leadership della Marina per affrontare tali pericoli".

In estrema sintesi, le linee guida di Austin vogliono spingere la U.S. Navy a sottoporsi ad una modernizzazione e revisione su vasta scala della struttura e delle piattaforme della flotta, che avrà bisogno di "nuovi concetti e capacità per contrastare la Cina attraverso lo spettro del conflitto; aggiornare la posizione delle forze statunitensi nella regione, anche attraverso la Pacific Deterrence Initiative e rafforzando le nostre alleanze e partnership".

Una visione assolutamente lungimirante che però non affronta il nocciolo del problema ovvero la necessità di fondi adeguati per assicurare il rinnovamento della flotta, idealmente più leggera, con meno portaerei e unità combattenti (incrociatori e cacciatorpediniere) a favore di navi senza equipaggio più piccole, multiruolo e flessibili e con una crescita significativa della flotta sottomarina d’attacco. Certo questo costa molto ed in un America che, come il resto del mondo (a parte forse la Cina), non è ancora fuori dal Covid le priorità emergenti sono altre.

Minewarfare III millennio

In uno scenario mondiale non semplice, che vedrà nei prossimi 30 anni una lotta per il predominio dei mari con sempre maggiori attori, la guerra di mine tornerà sicuramente in auge.

Tutte le Marine stanno investendo in nuove e sofisticate armi subacquee, impiegabili anche da piccole piattaforme, e su nuovi sistemi per contrastarle.

La domanda a cui cercheremo di rispondere è quali sono i programmi della U.S. Navy per contrastare la minaccia di mine nei mari orientali.

In campo offensivo la Marina statunitense sta sviluppando nuove mine navali di sbarramento anti sommergibile (Hammerhead1), in sostituzione delle vecchie Mk 60 Captor2 (foto), ed i necessari sistemi di posa occulta (alternativi a quelli tradizionali).

Queste nuove armi potrebbero essere posizionate strategicamente in aree sensibili da mezzi completamente autonomi come l’Orca (XLUUV), che dovrebbe essere in servizio per il 2022, e lo Snakehead Large Diameter UUV nel 2023.

L’Orca XLUUV ha un carico utile di otto tonnellate e sarà in grado di posare numerose mine navali in una singola missione. Tali mine, una volta posate, saranno in grado di comunicare fra di loro tramite dei Wave Gliders, veicoli subacquei senza equipaggio che hanno una durata pressoché illimitata e potrebbero fornire la possibilità di comunicare via satellite anche con i campi minati con Hammerhead.

Secondo la U.S. Navy il futuro delle contro misure mine potrebbe essere l’impiego di sistemi complessi senza pilota (operanti nelle tre dimensioni), gestiti al di fuori del campo minato tramite comunicazioni satellitari e sensori sofisticati.

La U.S. Navy punta sull'MCM3 (foto sotto).

Sebbene lo sviluppo del CUSV (Common Unmanned Surface Vehicle) sia in gran parte completo, l’integrazione delle attrezzature per la bonifica delle mine sul CUSV è ancora in corso. Quanto questo possa porre un limite all’espansione cinese nel Pacifico e nell’Indiano è da vedere a causa delle implicazioni politiche che deriverebbero dall’uso di queste armi. È comunque interessante notare che questa forma di guerra, per lungo tempo trascurata, stia riassumendo anche negli Stati Uniti una sua importanza proprio per la caratteristica di deterrenza ottenibile con uno sforzo relativamente limitato in acque di grande interesse strategico.

In sintesi, le mine navali in un prossimo futuro continueranno ad essere delle armi strategiche altamente costo efficaci, in grado di limitare i movimenti degli avversari in uno scenario sempre più complesso, dove gli attori in gioco dovranno contendersi la supremazia del mare per assicurare i traffici di merci vitali per la loro sopravvivenza. Sicuramente gli oceani torneranno ad essere i protagonisti del futuro dell’Umanità.

1 Il sistema Hammerhead è costituito da diversi moduli. Partendo dal basso abbiamo il modulo di ormeggio che lo tiene ancorato al fondo del mare; il modulo di energia fornisce alimentazione e il modulo di rilevamento è un dispositivo sonar per rilevare la presenza di navi o sommergibili nelle vicinanze. Ricalca il concetto delle Mk 60 Captor, utilizzando una versione modificata del siluro Mark 54 Lightweight, ma è probabile che il sistema di comando e controllo aggiunga una capacità di gestione superiore, impiegando sistemi UUV come relay.

2 Le mine Mk 60 Captor furono le uniche mine per un impiego antisommergibili in acque profonde al mondo, utilizzate durante la guerra fredda esclusivamente dalla Marina degli Stati Uniti per contrastare i sottomarini sovietici. La posa della mina veniva effettuata da elicotteri, aeroplani, navi e sottomarini. La massima profondità operativa dichiarata era di circa 900 metri, con una portata massima di circa 7200 metri. In pratica, la mina era composta da un tubo di lancio che conteneva un siluro Mark 46 modificato con una testa di ricerca acustica, la batteria, i sensori acustici con l’unità processore e il cavo di ancoraggio.

3 MCM Common Unmanned Surface Vehicle è il sistema multiruolo scelto dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sia nel ruolo di scoperta e neutralizzazione di mine navali che di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR). 

Foto: USAF / web / U.S. Navy / Boeing / U.S. DoD